Alle 18,40 del 27 ottobre 1962, in Lombardia, il sole è appena tramontato e c’è una pioggia leggera. Il bireattore Morane-Saulnier 760, con due passeggeri a bordo, è pilotato da Irnerio Bertuzzi, ex capitano dell’Aeronautica con due medaglie d’argento, una di bronzo e una croce al merito. È un pilota oltre l’eccezionale. Bertuzzi, da un’altitudine di 2000 metri, comunica alla torre di controllo di Linate di essere in dirittura d’arrivo: è l’ultima volta che sentono la sua voce.
Bescapè è un paesino di contadini, in provincia di Pavia. Pompieri, Carabinieri e giornalisti accorrono per quello che sembra un incendio, ma sono i resti brucianti del bireattore. I testimoni vengono intervistati; Mario Ronchi, un contadino, dice: “Il cielo rosso bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutt’attorno… l’aeroplano si era incendiato e i pezzi stavano cadendo sui prati, sotto l’acqua”. Un’altra contadina di Bascapè, Margherita Maroni, dichiara: “Nel cielo una vampata, uno scoppio, e delle scintille venivano giù che sembravano stelle filanti, piccole comete”. Sugli alberi attorno al relitto vengono trovati resti umani. Appena si viene a sapere chi c’era a bordo dell’aereo, però, cambia tutto: i testimoni ritrattano, sostengono di aver visto le fiamme a terra, e di averlo detto fin dall’inizio. I Carabinieri vanno nella sede della RAI per sequestrare i filmati delle interviste, ma li trovano privi di traccia audio. L’inchiesta si apre e chiude molto velocemente: si è trattato di un incidente aereo.
Ma chi c’era a bordo del Morane-Saulner?
Enrico Mattei nasce nel 1906 ad Acqualagna, nelle Marche, uno di quei paesi graziosi, in mezzo al nulla. Primo di cinque fratelli in una famiglia modesta – suo padre è un brigadiere dell’Arma e sua madre una casalinga – è uno studente brillante, ma che non si applica, come tutti i ragazzi che non sanno ancora con certezza cosa vorrebbero fare nella vita. Un giorno, in una casa di campagna, Mattei assiste a questa scena: due cani enormi si avventano su una ciotola di cibo. Un gattino spelacchiato e malconcio si avvicina alla ciotola nel tentativo di mangiare qualcosa, ma uno dei cani gli tira una zampata talmente forte da farlo volare contro il muro e spaccargli la spina dorsale.
Enrico Mattei ha appena compiuto tredici anni quando capisce cosa vuole fare nella vita.
Si trasferisce a Matelica, un altro piccolo paese in cui vengono lavorati pelle, pietra, ferro; entra come fattorino in una conceria, a diciassette anni diventa operaio, a diciannove è già vicedirettore, a venti direttore. Nel 1928, complici le politiche economiche del fascismo, la conceria fallisce. Così Mattei si trasferisce a Milano e si reinventa come venditore di vernici: in tre mesi diventa rappresentante per un’azienda tedesca. Studia chimica e viaggia molto per l’Italia. Nel 1931 apre una propria azienda con appena due operai, che in tre anni diventano venti.
Grazie all’aiuto e alle lezioni private del vicino di casa, Marcello Boldrini, riesce a laurearsi in ragioneria. Nel 1936 sposa una ballerina; poi, nel 1944, in pieno ventennio fascista, gli viene chiesto di entrare nella Resistenza per occupare nel comando militare del CLN il posto di rappresentante per la Democrazia Cristiana. Mattei accetta: affida l’azienda a due dei suoi fratelli e si mette all’opera. Cura i collegamenti interni, trova soldi, risorse e armi. Sotto di lui le forze partigiane democristiane passano da 2mila uomini a 65mila unità. I fascisti lo arrestano, ma lui riesce a evadere e a guerra finita gli viene concesso l’onore di marciare in prima fila nel corteo per la Liberazione di Milano. La Resistenza gli conferisce la medaglia d’oro e il generale USA Mark Wayne la stella di bronzo.
È ora di ricostruire l’Italia. Mattei torna a vestire i panni del civile e viene nominato commissario speciale all’Agip, una piccola azienda fondata durante il ventennio che si occupasse di “cercare, acquistare, trattare e commerciare petrolio”. L’Agip è sempre stata sfortunata: aveva scavato oltre 350 pozzi tra Italia, Albania, Ungheria e Romania senza trovarne una goccia. Aveva avuto delle microscopiche concessioni in Iran, ma le aveva cedute. Nei corridoi si mormora che Agip sia l’acronimo di Associazione Gerarchi In Pensione. Mattei dovrebbe semplicemente liquidarla, ma, appena entrato, si pone una domanda che nessuno si è fatto prima: perché abbattere l’unica azienda petrolifera statale? Chi lo vuole?
Be’, molta gente. Innanzitutto gli americani, perché ci hanno appena liberato e puntano a espandere il loro dominio petrolifero. Lo vogliono anche le aziende private Edison e Montecatini, per evitare la concorrenza statale. In questo clima di guerriglia, Mattei contatta il suo predecessore, allontanato per motivi non chiari. Si chiama Zanmatti. Lui gli rivela che con le ultime trivellazioni del 1944 era stato trovato del metano a Caviaga, in provincia di Lodi, ma il fascicolo era stato subito chiuso e secretato: il fronte avanzava e non ci si poteva permettere che il gas finisse in mani sbagliate. Mattei vola a Caviaga, dove trova ancora attrezzature, macchinari e i vecchi operai disoccupati. Perché, finita la guerra, non è ripartito niente?
Dal nulla riceve la telefonata di Giorgio Valerio, presidente di Edison, che si offre di comprare tutte le attrezzature dell’Agip per 60 milioni di lire. È un’offerta esorbitante: perché qualcuno dovrebbe acquistare dei rottami a peso d’oro? Mattei rifiuta. Riassume Zanmatti e tutti i vecchi tecnici, chiede un prestito in banca, unifica Agip Roma e Agip Milano. Il 17 ottobre 1945 diventa vicepresidente dell’azienda e riapre gli impianti di Caviaga. Nel marzo 1946, dal pozzo numero 2 esce metano.
Ora bisogna solo portarlo nelle case degli italiani.
A livello di burocrazia sarebbe un inferno, ma Enrico ragiona da cattolico e agisce da partigiano: scava viadotti durante la notte, posa i tubi, e la mattina dopo li ricopre, chiedendo scusa. Quando arrivano avvocati, multe e processi, li paga – se avesse fatto tutto legalmente avrebbe dovuto pagare il doppio e perdere il quadruplo del tempo, forse senza ottenere nulla. Ora Enrico non è più solo un imprenditore, di fatto è diventato un condottiero. Se trovasse il petrolio renderebbe l’Italia autosufficiente dal punto di vista energetico; indipendenza energetica significherebbe indipendenza economica, che significherebbe a sua volta indipendenza politica. Mattei ha la visione di un’Italia che rialza la testa dopo la guerra e che va avanti sulle proprie gambe, senza dover rendere conto a nessuno.
Questo mette in grave difficoltà il piano di colonizzazione che altre potenze avevano messo in atto fin dal 1928 con l’accordo della linea rossa e gli accordi di Achnacarry. Sette aziende avevano stabilito quali sarebbero state le zone d’estrazione e i prezzi di vendita del greggio: di fatto si trattava di un cartello, che prevedeva di spartirsi il 75% del petrolio estratto da Africa e Medioriente. C’erano dentro le statunitensi Esso, Mobil, Texaco, Chevron e Gulf oil, la Shell dall’Olanda, e la British Petroleum. Mattei le chiamava le “sette sorelle”. Sorellastre: oltre a imporre clausole contrattuali vergognose, trattavano gli operai locali alla stregua di schiavi e si imponevano ai governi, considerandoli miserabili. Avevano già deciso di fare dell’Italia un cliente: tra loro e i portafogli nazionali c’era solo Mattei.
Iniziano così a fargli la guerra. Grazie agli agganci con la politica italiana, il 9 maggio 1947 riescono a infilare nel cda Eugenio Cefis, il suo uomo di fiducia Raffaele Girotti e un avvocato siciliano, Vito Guarrasi, detto “Don Vito”. Personaggio spaventosamente controverso, cugino di Enrico Cuccia, Guarrasi, ha mani dappertutto – sul lotto di una banca, sul quotidiano comunista L’Ora (dove lavora il giornalista Mauro De Mauro) – ed è socio della Ra.Spe.Me, che opera nel settore medico. Il suo socio è Alfredo Dell’Utri, padre di Marcello. I nuovi membri rimuovono Mattei dalla carica di vicepresidente, ma non riescono a estrometterlo. Ottengono l’accesso agli archivi segreti delle ricerche Agip e fanno chiudere Caviaga, mentre una raffineria di Marghera viene venduta alla British Petroleum. La Edison si prepara a trasformare l’Agip in una società divisa un terzo a lei, un terzo all’AGIP e un terzo alla società Metano, che poi è un nome fittizio per coprire una partecipata Edison. Mattei ha bisogno di più forza per difendersi, così nel 1948 entra in politica. Tramite agganci e conoscenze arriva fino a De Gasperi in persona. Quando la Democrazia Cristiana vince le elezioni, De Gasperi spazza via il CDA dell’AGIP e nomina presidente Marcello Boldrini. Lui mette vicepresidente Mattei, che sceglie i suoi uomini tra vecchi commilitoni e compaesani. Gli USA contrattaccano e stanno per far approvare una legge mineraria capestro, quando succede qualcosa che nessuno avrebbe potuto prevedere: a Cortemaggiore l’Agip trova il petrolio.
È una sacca da pochissimi ettolitri, ma a Mattei basta. Contatta la stampa e i fotografi. Da bravo venditore ingigantisce talmente tanto la questione che le azioni salgono, la legge sullo sfruttamento minerario cade e, anzi, il Parlamento decide di riservare allo Stato le ricerche nel sottosuolo della Val Padana. Mattei estrae metano a Cornegliano, Pontenure, Bordolano, Correggio e Ravella. Indice un concorso per il logo e sceglie il cane a sei zampe che sputa fuoco. Lo slogan “il miglior amico dell’italiano a quattro ruote” è di Ettore Scola. Inventa le stazioni di servizio coi gabinetti, la pulitura vetri gratis, il controllo di olio e pneumatici; dove non arrivano i metanodotti, porta il gas con le bombole; vende l’idrogeno derivato dal metano alle aziende di fertilizzanti, facendone crollare i prezzi del 70% e permettendo a chiunque di coltivare campi. Abbassa anche il prezzo della benzina, mettendo in crisi la Edison e la Montecatini. Nel 1952 fonda l’Eni (con vicepresidente sempre Boldrini) e trasforma la vita degli italiani.
Quando il petrolio di Cortemaggiore sta per finire, Mattei si rende conto che è ora di cercarlo all’estero. Nel dicembre del 1959 incontra a Montecarlo un rappresentante della Shell: gli propone di aprire insieme una raffineria in Tunisia, ma il rappresentate rifiuta: “Tratto coi petrolieri, non coi venditori”. È guerra aperta. Mattei finanzia Il Giorno, un quotidiano da cui diffonde le idee per una politica estera che si distingua da quella colonialista degli altri Paesi.
È una filosofia che prende il nome di “Neoatlantismo” e che alle sette sorelle non piace – perché ci vuol poco a capire che vincerà. Mattei offre ai Paesi produttori di diventare suoi partner e si impegna a estrarre solo il 50% del greggio. Non guarda il terzo mondo dall’alto in basso, ma come se si trattassero di pari – anche lui, una volta, era povero e ignorante. Offre tecnologia, borse di studio, addirittura scuole di formazione a Metanopoli, la città che ha fatto edificare in Val Padana. E non truffa mai, perché Mattei è un venditore e sa che gli accordi capestro all’inizio fruttano, ma poi non fanno che crearti nemici.
Nel 1957 ottiene l’autorizzazione a cercare petrolio in tre zone dell’Iran. Il dipartimento di Stato americano scrive che “Gli obiettivi di Mattei in Italia e all’estero dovrebbero destare preoccupazioni. Mattei rappresenta una minaccia per gli obiettivi della politica che gli Stati Uniti intendono perseguire in Italia”. L’anno successivo Mattei arriva anche in Giordania. Il 9 settembre 1960 nasce l’Organisation of Petroleum Exporting Countries, detta OPEC. Ne fanno parte Venezuela, Iraq, Iran, Kuwait, Arabia. Il suo sogno è un’unificazione mondiale del patrimonio energetico: ricreare un cartello, ma in maniera equa ed etica. Il mondo sta abbracciando la sua visione.
A Metanopoli ormai ci sono studenti provenienti da tutto il mondo. Nello stesso anno Mattei osa ciò che nemmeno le sette sorelle potevano prevedere: chiude un accordo con l’URSS per ottenere “quantitativo molto considerevole di petrolio”, grazie al quale copre il 25% del fabbisogno dell’Eni e a un prezzo mai visto prima. È il colpo definitivo al cartello delle sette sorelle. Il 12 novembre, sul New York Times, un articolo accusa lui di essere filosovietico e l’Italia “di non rispettare i patti del dopoguerra”, oltre ad aver compromesso “futuri equilibri politici”.
Nel 1962 Mattei muore, a bordo del suo aereo. L’inchiesta si chiude “nell’impossibilità di accertare le cause dell’incidente”. Ma non è un incidente. Qualcuno ha messo 100 grammi di esplosivo Compound-B nel cruscotto, perché detonasse all’attivazione del carrello: chi? Il regista Francesco Rosi decide di girare un film sulla vicenda e si avvale dell’aiuto del giornalista de L’Ora, Mauro De Mauro. Dopo alcune indagini, il reporter confessa a un collega di avere in mano “una roba grossa che farà tremare l’Italia”. Ed è per questo che viene neutralizzato. Non viene ucciso per strada com’è tipico degli omicidi mafiosi: viene sequestrato senza rivendicazioni, né richieste di riscatto. Anche le indagini sulla sparizione di De Mauro subiscono depistaggi. Nel 1973 esce un libro chiamato Questo è Cefis – L’altra faccia dell’onorato presidente. Lo pubblica la AMI di Graziano Verzotto, uomo di Enrico Mattei e informatore di Mauro De Mauro. Il libro è scritto da un misterioso Giorgio Steimetz, sul cui vero nome ancora oggi si nutrono dubbi. Il libro subisce l’opera di censura più potente che si sia vista in epoca moderna. Viene ritirato da tutte le librerie, persino dalla Biblioteca nazionale di Roma e da quella di Firenze – che per legge dovrebbero ricevere una copia di ogni libro stampato in Italia. Dentro pare ci sia una biografia non autorizzata del presidente, che dopo la morte di Mattei è passato alla Montedison – frutto della fusione di Edison e Montecatini. Ma qualcuno riesce a leggere il libro, ed è Pier Paolo Pasolini. Quando viene assassinato nel 1975 sta scrivendo Petrolio: il personaggio di Cefis avrebbe il nome di Troya. Purtroppo il libro è incompleto, si arresta al capitolo “Lampi sull’Eni” di cui esisteva solo una nota, chiamata “appunto 21”.
Passano gli anni. Arriva la crisi energetica del 1973, poi quella del 1979. Le sette sorelle vacillano, mentre l’Occidente scopre che affidare il proprio fabbisogno energetico a una risorsa presente nei luoghi più instabili del pianeta non è una buona idea. Negli anni ’90, il pentito Gaetano Iannì, ex capomafia, rivela che il misterioso sabotatore dell’aereo di Mattei sarebbe Peppe Di Cristina, all’epoca criminale potentissimo, dietro incarico di Cosa Nostra. Anche il boss Tommaso Buscetta conferma e ricostruisce le ultime ore di Mattei in maniera ben dettagliata e credibile. Stando alla sua versione, la richiesta sarebbe provenuta dalle famiglie mafiose di Philadelfia, con cui Cosa Nostra voleva stringere di nuovo i rapporti. Nel 1995 il sostituto procuratore Vincenzo Calia apre nuove indagini sul delitto Mattei, dopo aver scoperto che le prime erano state fatte a dir poco male. Trova nella sede dei servizi segreti due note, scritte a mano: dicono che il fondatore della P2 è stato un certo Eugenio Cefis, il quale avrebbe poi passato il comando a Licio Gelli quando le cose già stavano andando male. Di recente il senatore Marcello Dell’Utri è stato interrogato in merito al famigerato “appunto 21” del libro di Pasolini. Perché sembra sia uno dei pochi ad averlo letto.
Nel 1909, nel libro The meaning of truth, William James scrisse che il più grande nemico di qualsiasi nostra verità è il resto, della nostra verità. Probabilmente non sapremo mai cos’è successo davvero. Erano gli anni di piombo, in cui poteri immensi avevano scelto di combattersi sul nostro territorio. C’erano petrolieri, CIA, KGB, SISDE, SISMI, Gladio nera, Gladio rossa, israeliani, palestinesi, ex fascisti, ex partigiani, massoni, anarchici, politici comprati, preti. Districare quella matassa, o cercarvi una logica, è difficile. E spesso ha un risultato parziale. Mattei oggi è ricordato dall’Eni con affetto, rispetto e nostalgia. Quel gattino è diventato una tigre capace di cavarsela dove gli eredi delle sette sorelle annaspano. E tutto perché l’Eni ha messo in pratica quello che Mattei aveva insegnato: che i contratti capestro creano solo nemici.
O terroristi.
Questo pezzo è stato pubblicato la prima volta il 23/01/2018.