Quando Francesco De Gregori nel '76 subì un processo pubblico durante un concerto a Milano - THE VISION

Settant’anni appena compiuti, quasi mezzo secolo di carriera alle spalle e più di quarant’anni di matrimonio con Alessandra Gobbi, conosciuta sui banchi di scuola e madre dei suoi due figli. Si potrebbe riassumere con queste poche righe la vita di Francesco De Gregori. Ma per comprendere a fondo chi è stato e chi è oggi il “poeta ermetico” della musica italiana, nato a Roma il 4 aprile 1951, è necessario andare oltre un elenco di tappe e traguardi raggiunti. La vita di De Gregori è una linea discontinua con due denominatori comuni, la musica e le parole, che lo accompagnano da decenni e gli consentono di convivere con i suoi interrogativi ancora in cerca di risposta. Da sempre riservato, De Gregori non ha mai voluto essere considerato un poeta o, peggio, un profeta. Sa di non poter rispondere, con i suoi testi, alle domande esistenziali dell’uomo, ma sa anche di essere riuscito a trovare parole nuove ed eterne per raccontare ciò che dell’esistenza è più incomprensibile. 

Il cantautore di Alice e Pablo ricerca l’oblio in un modo che oggi sembra quasi anacronistico. Lontano da qualunque divismo, ha dedicato tutta la sua vita a giocare con il linguaggio offrendo la sua visione trasversale e garbatamente ironica della realtà. Con una poetica fatta di guerre e di ritorni e una disillusione mai troppo amara, De Gregori ha dato vita a una scrittura evocativa, ricca di suggestioni combinate con numerosi riferimenti letterari, storici e politici. La sua scrittura “impegnata”, però, non gli ha impedito di lasciare ampio spazio ai sentimenti, scelta che negli anni gli ha attirato molte critiche negative. Il cantautore è stato spesso attaccato di non fare della politica il fulcro dei propri brani e di fingersi simpatizzante della sinistra solo per attirare consensi. A questo proposito, forse non tutti ricordano un episodio che più di quarant’anni fa rischiò di porre fine alla carriera di De Gregori, allora appena venticinquenne.

Dopo gli inizi al Folkstudio di Roma e il sodalizio con Antonello Venditti, Francesco De Gregori esordisce da solista nel 1973, con l’album Alice non lo sa. Solo due anni dopo, la pubblicazione dell’album Rimmel gli regala un successo inatteso, segnando un momento apicale nella sua carriera da solista. Per De Gregori ha inizio un periodo di soddisfazioni che subiscono però una battuta d’arresto il 2 aprile del 1976, subito dopo l’uscita del nuovo album Bufalo Bill. Quel giorno, il cantautore romano deve suonare al Palalido di Milano, per la seconda tappa di un tour partito il giorno prima da Pavia. De Gregori fa un primo concerto nel pomeriggio di fronte a un pubblico di giovanissimi che, stando ad alcune ricostruzioni, mostra di non gradire particolarmente i suoi nuovi brani. Ma il secondo concerto della giornata, quello serale, registra presto il sold out e molti fan rimangono fuori dai cancelli senza biglietto. A questo punto, per evitare disordini e lo sfondamento dei cancelli, gli organizzatori decidono di far entrare gratuitamente tutti coloro che non hanno acquistato la prevendita. Ma il concerto quella sera non va come previsto, e il cantautore si ritrova a vivere uno dei momenti più spaventosi e mortificanti della sua carriera.

A pochi minuti dall’ingresso di De Gregori sul palco, infatti, alcuni gruppi della sinistra extraparlamentare – prevalentemente membri di Autonomia operaia – e di collettivi politici studenteschi prendono posizione dietro il palco, iniziando a inveire contro il cantautore. Alcuni di loro salgono poi sul palco e interrompono l’esibizione di De Gregori. Saliti sul palco, i rivoltosi iniziano a leggere un comunicato contro l’arresto – a loro dire ingiusto – di un membro della sinistra extraparlamentare; in seguito aggrediscono un De Gregori atterrito, accusandolo di strumentalizzare i temi cari alla sinistra e di percepire per i propri concerti cachet troppo alti senza destinarli alle lotte dei lavoratori. A causa del trambusto generale, la performance può ricominciare solo dopo più di venti minuti, mentre tra il pubblico qualcuno urla la frase “In sala ci sono più fascisti che compagni”. Intorno alle 22.30 De Gregori porta a termine il concerto e si ritira nel suo camerino. Ma il gruppo di manifestanti decide di assediarlo anche lì.

Con minacce esplicite (“Esci o sfasciamo tutto”), De Gregori viene costretto a salire nuovamente sul palco e a rispondere alle domande dei suoi aggressori. Come ha sottolineato lui stesso anni dopo, al Palalido De Gregori è stato vittima non di una contestazione ma di una vera e propria aggressione. “La contestazione è quando tu prendi una persona e contesti delle cose. Quella fu un’aggressione, non ci fu nessun dialogo”. I rivoltosi urlano frasi come “Suona per i lavoratori, non ti mettere in tasca i soldi”, “Se sei un compagno, non a parole ma a fatti, lascia qui l’incasso”, “Prima si fa la rivoluzione, poi si potrà pensare alle arti o alla musica. Lo diceva anche Majakovskij che era un vero rivoluzionario e si è suicidato. Suicidati anche tu”. “Va’ a fare l’operaio e suona la sera a casa tua”. Accuse pesanti e anche un invito a togliersi la vita vengono indirizzati al cantautore che, sempre più spaventato, fatica a rispondere. A un ragazzo che gli chiede quanto abbia percepito per la performance di quella sera, De Gregori risponde con voce flebile: “Credo un milione e due, ma poi c’è la Siae”. Chi quella sera può assistere alla scena, riporta che De Gregori è pallido e per lo più silenzioso mentre i rivoltosi lo apostrofano con i peggiori epiteti. 

In quell’aprile del 1976 Francesco De Gregori subisce il primo processo pubblico nella storia della musica italiana. L’episodio lo lascia sconvolto al punto da indurlo a sospendere immediatamente il tour appena intrapreso e ad annunciare il ritiro dalle scene. “Non canterò mai più in pubblico. Stasera mancava solo l’olio di ricino, poi la scena sarebbe stata completa”, dichiara non appena rientrato in camerino a seguito di quella estenuante serata. Poco tempo dopo, il cantautore ribadisce l’intenzione di abbandonare per sempre la carriera musicale, lamentando di non provare più gioia nell’esibirsi e di percepirsi ormai come un artista che aveva perso la sua spontaneità. Durante un’intervista, De Gregori parla di una crisi personale iniziata dopo il grande successo di Rimmel, che avrebbe a suo dire alterato il rapporto diretto con il pubblico. Un rapporto ormai modificato dalla sua aura di “divo” – in cui non è mai riuscito a riconoscersi – e ancor di più compromesso dal trauma che il processo al palazzetto milanese ha arrecato non solo all’artista ma anche all’uomo. Nel commentare la vicenda, il cantante amplia il discorso raccontando quanto sia diventato difficile per gli artisti, in quegli anni, portare a termine i concerti. L’aggressione subita da De Gregori arriva in seguito a episodi di contestazioni e disordini avvenuti durante numerosi concerti milanesi lungo tutto il corso degli anni Settanta.

Il primo ottobre del 1970, durante un concerto dei Rolling Stones proprio al Palalido, le forze dell’ordine avevano dovuto affrontare circa tremila persone in una guerriglia durata più di due ore. Furono lanciati sassi contro le vetrate del Palalido, i chioschi vennero saccheggiati e le lattine vuote usate come arma di lancio. In quegli anni si era diffusa l’abitudine – da parte di membri della sinistra radicale che non avevano acquistato il biglietto – di forzare i cancelli ed entrare al concerto al grido di “la musica non è in vendita”. Il 5 luglio del 1971, durante il concerto dei Led Zeppelin al velodromo Vigorelli, gli scontri tra pubblico e forze dell’ordine furono estremamente violenti e la performance fu presto interrotta da una protesta per l’alto costo del biglietto. Il 14 febbraio del 1975 fu il concerto di Lou Reed – ancora al Palalido – a essere interrotto da disordini e guerriglie condotte da radicali di sinistra; il cantante fu costretto a fuggire gridando “Fuck you everybody”, e l’episodio fu ricordato come uno dei più gravi nella storia del palazzetto che solo un anno più tardi ospitò Francesco De Gregori.

In un’intervista a Muzak, rilasciata nell’aprile del 1976, De Gregori definì l’episodio al Palalido un grave errore politico, affermando che esso “ricaccia a destra autori e gruppi potenzialmente disponibili a iniziative di sinistra, incentiva i concerti a tremila lire”. Continuò dicendo che disordini di quel tipo cadono nell’errore di “fare oggettivamente il gioco della cultura del potere e della musica tranquillizzante”. Nel 1990 invece, in un’intervista a Ciao 2001, il cantautore ipotizzò che i giovani che lo aggredirono in realtà lo adorassero e che avvertissero che lui era in realtà dalla loro parte. Un’affermazione che suona indulgente nei confronti di un attacco duro quanto incomprensibile, che lasciò sbigottito anche Roberto Vecchioni che, quella sera, si trovava al Palalido. “Mi vergognai di quello che stava succedendo – dichiarò – provai anche un certo dolore. Ma come, stiamo cercando di costruire una canzone nuova e ci troviamo ancora davanti a queste cose?”. Il cantautore brianzolo riteneva ingiusto accusare De Gregori di non schierarsi politicamente, poiché i suoi brani erano effettivamente politici se letti dalla giusta prospettiva.

Roberto Vecchioni, foto di Andrea Tedeschi

Vecchioni si è ispirato a questa vicenda per scrivere il brano del 1977 Vaudeville che recita: “E spararono al cantautore / In una notte di gioventù, / Gli spararono per amore / Per non farlo cantare più / Gli spararono perché era bello / Ricordarselo come era prima, / Alternativo, autoridotto, / Fuori dall’ottica del sistema”. Ma Vaudeville non fu l’unica canzone a trarre spunto dal processo pubblico a De Gregori. Anche Edoardo Bennato, nel brano del 1987 Era una festa, canta “Niente canzoni, stasera è di scena / un processo alla celebrità / Francesco non se lo aspettava, vedeva intorno a sé solo ragazzi come lui / gli dicono Compagno sei in errore, la tua avventura adesso si conclude / noi invece andiamo avanti e non ci fermeremo mai”. Anche Ligabue ha menzionato l’episodio in un brano del 2010, Nel tempo, in cui dice “C’ero nel Settantasette / A mio modo e col mio passo / Il processo a De Gregori”. Il mondo del cantautorato italiano è stato compatto nel prendere le difese di un artista ingiustamente messo alla gogna da chi non lo aveva compreso.

Francesco De Gregori e Lucio Dalla, 1978

Benché avesse annunciato il ritiro, De Gregori tornò a esibirsi già nell’autunno del 1976. Dopo un piccolo tour in alcune province del sud e del centro Italia, però, il cantautore decise di allontanarsi dalle scene per un anno. La rinascita di De Gregori coincise con il sodalizio con Lucio Dalla, con numerosi sold out negli stadi e nei palazzetti di tutta Italia. Da lì in poi, la carriera di De Gregori non si fermò più. Eppure ancora oggi, quando gli si chiede di parlare del processo al Palalido, il cantautore si mostra amareggiato e liquida l’argomento con poche, lapidarie, parole; l’episodio ha infatti segnato indelebilmente una carriera fatta di accelerate e rallentamenti, di urgenza creativa e di avversione per le etichette. “Non sono mai stato geloso del mio ruolo, che non so neanche bene quale sia. Non sono neanche sicuro dell’efficacia di quello che ho scritto trenta o quarant’anni fa, figuriamoci del ruolo”. Parole che rivelano una profonda coscienza della precarietà di un successo che, in pochi minuti, è in grado di scaraventare giù dal piedistallo e annientare la voglia di fare musica e condividerla. De Gregori questo lo ha imparato a sue spese, quando era ancora troppo giovane e impreparato per reggere un attacco simile. Per questo motivo forse, nonostante i 21 album registrati in studio e i 16 di registrazioni live, ancora oggi sembra fuggire dagli sguardi che lo celebrano come un divo, conscio che l’idolatria altrui talvolta cela pericoli più grandi dell’indifferenza.

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