Quando tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento Sigmund Freud iniziò a formulare le sue teorie sull’inconscio, la letteratura cominciò a indagare parallelamente la psiche umana con una profondità di sguardo e di analisi prima sconosciute. Di fronte al ripiegarsi dell’uomo su se stesso, e al suo bisogno di venire a capo di alcuni, radicati, conflitti interiori, la letteratura rispose con quello che venne chiamato romanzo psicologico, che si proponeva di penetrare i recessi delle mente dell’individuo provando a spiegarne e metterne in luce le contraddizioni. In Italia, Italo Svevo, con i suoi romanzi disseminati di flussi di coscienza e di monologhi interiori, riesce a imporsi nel panorama letterario del ventesimo secolo con i protagonisti dilaniati dall’apatia. Lo scrittore triestino riesce a usare la letteratura come mezzo di autoanalisi nonché di riflessione sulla mente umana.
Svevo pubblica il suo primo romanzo nel 1892 e sceglie di collocare al centro dei suoi scritti la figura dell’inetto, il maschio adulto pieno di vizi e privo di virtù, privo di consapevolezza e incapace di assumersi qualunque tipo di responsabilità. Ne La coscienza di Zeno così come in altri suoi romanzi meno celebri, Svevo ritrae personaggi in lotta con un “antagonista” che si annida nei meandri della loro psiche, che li mette di fronte a sfide ardue e li costringe a cercare la strada. Accade in Una vita, il primo romanzo dell’autore, il cui protagonista è Alfonso Nitti, giovane di poco carattere e con uno straordinario talento nell’attirare a sé i fallimenti, sia sul piano relazionale sia in ambito lavorativo. Non esistono impedimenti sociali o esterni nell’esistenza di Alfonso: il suo unico nemico è la propria indolenza, che gli impedisce di realizzare le sue ambizioni e di portare a termine qualunque progetto a breve o lungo termine.
Anche in Senilità, pubblicato nel 1898, viene schizzato il ritratto di uomo che, pur giovane, è già pigro e inerme come un vecchio signore. Emilio Brentani, impiegato trentacinquenne, coltiva una passione infelice per una donna e allo stesso tempo ha un rapporto intenso ma ambivalente con la sorella. Anche lui, come il protagonista di Una vita, rappresenta il prototipo dell’inetto vittima di sé stesso e della propria immaturità esistenziale. Entrambi i protagonisti sono simboli dell’incapacità dell’uomo moderno di scendere a compromessi con la precarietà dell’esistenza, nonché di imparare a coesistere con le proprie pulsioni. È con La coscienza di Zeno, pubblicato nel 1923, però, che la parabola dell’inetto prende forma, tracciando un percorso che dalla piena incoscienza porta a una consapevolezza che sembra gettare le basi per una rinascita, all’insegna dell’autorealizzazione.
Il romanzo si apre con un insolito meccanismo narrativo: l’autore finge infatti che lo psicoterapeuta di Zeno Cosini, protagonista del romanzo, abbia deciso di pubblicare gli appunti presi dal suo paziente durante il periodo di psicoterapia. Dietro questa scelta, che viola evidentemente qualsiasi codice deontologico, ci sarebbe l’intento, da parte del dottore, di vendicarsi del suo paziente: quando Zeno decide infatti di interrompere le sedute di analisi, il suo terapeuta vive questa scelta come un tradimento, e decide di vendicarsi dell’ex paziente. Grazie a questa violazione del segreto professionale, viene resa pubblica la vita di Zeno, costellata da grosse problematiche affettive e da un costante senso di inadeguatezza.
Il primo conflitto interiore cui allude Zeno Cosini ha a che fare con la sua dipendenza dal fumo o, meglio, si manifesta attraverso il vizio del fumo. La dipendenza da nicotina è infatti il sintomo tramite cui il protagonista esprime i suoi contrastanti sentimenti per il proprio padre, morto quando lui aveva trent’anni. Il conflitto con la figura paterna attraversa tutto il romanzo di Svevo: alla luce delle scoperte di Freud sul complesso edipico, il rapporto con le figure genitoriali e, in particolar modo, il sentimento controverso per il genitore dello stesso sesso, diventano la trama dell’intera esistenza dell’individuo. La conflittualità irrisolta con il padre – di cui Zeno ha sempre ricercato invano l’approvazione e la stima – plasma la vita del protagonista e ne influenza le relazioni sentimentali, che quasi sempre si rivelano insoddisfacenti e squilibrate. Il rapporto col padre per Zeno è motivo di angoscia profonda: anche sul letto di morte, infatti, il padre dà uno schiaffo al figlio, non si capisce se inavvertitamente o meno, ma di fatto il gesto si imprime nel protagonista come un trauma profondo. Zeno non saprà mai la verità sulla natura di quello schiaffo e per tutta la vita sarà perseguitato dal dubbio.
Anche sul piano affettivo Zeno è incapace di guardarsi dentro con onestà e capire ciò di cui ha bisogno. Sposa una donna, Augusta, per ripiego, salvo poi restare legato a lei da un sentimento filiale, perché è in grado di accudirlo quasi come una madre. Nella vita di Zeno aleggia ancora una volta il fantasma del complesso edipico non elaborato: la madre morta quando lui era solo un adolescente, il rapporto di amore-odio per il padre, la relazione asimmetrica con la moglie ma anche la passione iniziale per Ada – la sorella di Augusta – il cui rifiuto sarà per lui motivo di enorme frustrazione. Così, quando Ada accetterà il corteggiamento di Guido, amico di Zeno, il sentimento di rivalità e competizione si farà ancora più accentuato in lui, portandolo a crogiolarsi ancora di più nelle sue insicurezze. Ma Zeno è anche un fedifrago: decide infatti di intraprendere una relazione apatica e per nulla passionale con Carla, per la quale prova sentimenti contraddittori, talvolta vicini all’odio. Anche l’amante è per Zeno una proiezione della sua incapacità di desiderare e amare: invece di crescere come un individuo senziente resta ripiegato sulle sue nevrosi.
Con La coscienza di Zeno, Italo Svevo riflette sull’alienazione dell’uomo, sulla sua tendenza a cercare sempre all’esterno la matrice dei suoi disagi profondi, sul suo senso di emarginazione e di inadeguatezza, invece che dentro di sé. Gli uomini “malati” sono, secondo l’autore, quelli incapaci di attraversare gli abissi della propria psiche e che per mancanza di consapevolezza o di coraggio non riescono a portare a termine un percorso di conoscenza di sé e in seguito di realizzazione. Ma non solo: l’uomo non sano è anche colui che non sa coltivare il dubbio, che è tanto presuntuoso e fermo sulle proprie convinzioni da credere di non doversi mai mettere in discussione, di non avere bisogno di scendere a compromessi con gli altri o di reinventarsi. Non resta spazio nemmeno al retorico e fattivo positivismo. Chi, nella realtà precaria in cui tutti ci muoviamo (oggi ancor più di allora), si convince di avere certezze, è in realtà profondamente malato; per questo motivo Zeno Cosini, a un certo punto della storia, si accorge di essere sulla via della guarigione.
Oltre ad aver dato una scossa alla sua condizione economica, che per anni lo aveva lasciato bloccato e insoddisfatto, Zeno realizza infatti che “la vita è inquinata alle radici” e che “qualunque sforzo di darci la salute è vano”. Le ferite che ciascuno di noi si porta nell’anima non possono guarire mai completamente, senza lasciare traccia, poiché viviamo in una realtà caduca e in una società che noi stessi abbiamo contribuito a rendere marcia, possono però cicatrizzare.
Con il suo romanzo più celebre, Svevo realizza una non velata critica alla società priva di valori, prefigurando il degradante scenario contemporaneo e mettendo in scena personaggi privi di etica, i quali, per un senso di rivalsa personale e per appagare la propria sete di vendetta, calpestano qualunque principio e trasgrediscono anche la deontologia del proprio mestiere – proprio come fa lo stesso analista, rivelando i segreti più profondi del suo paziente. La tendenza dell’uomo alla sopraffazione dei suoi simili, al sopruso, alla competizione, nonché alla cieca devastazione dell’ambiente che lo circonda, rimandano all’immagine particolarmente attuale di un mondo alla deriva, schiavo del profitto ma anche di vizi e convinzioni fallaci, vacue (“L’uomo diventa sempre più furbo e sempre più debole, e la sua furbizia cresce in proporzione alla sua debolezza”). L’unica rinascita possibile è dunque quella avviata da Zeno, che alle sue fondamenta ha il crollo di qualsiasi certezza e nella scelta di coltivare il dubbio come unico strumento di salvezza, come punto di partenza verso una rielaborazione individuale del proprio sistema di valori e come motore per la costruzione di una solida identità, da cui eventualmente far partire un positivo cambiamento sociale.