Nel 1931 lo psicoanalista austriaco Wilhelm Reich – allievo di Sigmund Freud – ne La lotta sessuale dei giovani mise a confronto la vita dei pochi giovani che conducevano una vita sessuale appagante con coloro che, al contrario, avevano risentito degli influssi inibitori della famiglia, della scuola della Chiesa e che, per questo motivo, non erano in grado di vivere liberamente la propria dimensione erotica. Secondo Reich, la meccanica della repressione sessuale funzionava in questo modo: l’individuo era portato a impiegare un certo quantitativo di energia psichica per reprimere i propri impulsi, e, di conseguenza, poteva investirne poca nelle attività intellettuali e nello sviluppo del pensiero critico. In quest’ottica, famiglia, scuola e Chiesa sembravano gli strumenti dell’ordinamento sociale borghese, finalizzato a rendere gli individui meno soddisfatti sessualmente e, dunque, più facilmente manipolabili sul piano intellettuale. Ma se Reich legava il concetto di repressione del piacere sessuale alla società capitalistica, è vero che la condanna del desiderio è un processo iniziato molti secoli prima. La tendenza ad apporre lo stigma sul piacere sessuale e, in generale, su tutte le pratiche non finalizzate alla procreazione all’interno di una relazione coniugale, è infatti uno dei cardini della religione cattolica.
A questo proposito, negli anni Settanta, il filosofo francese Michel Foucault ha posto in particolar modo l’attenzione sul lento processo che ha portato l’uomo a sviluppare vergogna e senso di colpa per le proprie pulsioni, a partire da un sistema repressivo che si è instaurato a partire dall’età medievale. Ne Gli anormali – raccolta di lezioni tenute al Collège de France – Foucault punta l’attenzione sul discorso della sessualità legata ai concetti di anomalia e di alienazione mentale; nel farlo, muove dalla pratica della confessione e della penitenza eteroinflitta a essa associata. Scrive che “in Occidente, la sessualità […] non è ciò che si è obbligati a tacere; è ciò che si è obbligati a confessare”; a partire da questa considerazione, Foucault intreccia il discorso sulla condanna del piacere sessuale a quello della pratica della confessione. È infatti attraverso la confessione che la Chiesa divenne il principale strumento di controllo non solo della vita sessuale dei fedeli, ma anche di tutte le pulsioni e fantasie individuali e non agite. A proposito dei peccati di concupiscenza, nella lezione del 19 febbraio 1975 Foucault opera una distinzione tra le modalità in cui era organizzata la confessione prima e dopo il concilio di Trento, che terminò nel 1563.
Nel periodo della penitenza “scolastica”, la confessione della sessualità era organizzata secondo formule giuridiche. Il penitente era tenuto a rivelare eventuali infrazioni delle regole sessuali, tra le quali Foucalt menziona la fornicazione, l’adulterio, lo stupro, il ratto, la lussuria, la sodomia, l’incesto e la bestialità. Questo filtraggio delle restrizioni e degli obblighi sessuali concerneva in modo quasi esclusivo l’aspetto relazionale della sessualità. Ma a partire dal Sedicesimo secolo, la pratica della confessione subì una trasformazione: l’aspetto relazionale perse infatti il suo ruolo primario, lasciando spazio all’esplorazione meticolosa del corpo e della mente dell’individuo, che Foucault definisce “anatomia della voluttà”. Da questo momento in poi, il corpo, con le sue sensazioni e i suoi piaceri, diventò il principio di articolazione della lussuria, oggetto di uno studio e di un controllo spietati da parte delle istituzioni religiose. “Ora il peccato della carne abita all’interno del corpo stesso”, scrive Foucault. “Interrogando il corpo, le diverse parti del corpo, si potrà inseguire il peccato della carne. Il punto di focalizzazione dell’esame di coscienza, quanto al sesto comandamento, dev’essere adesso il corpo con tutti gli effetti di piacere che vi hanno sede”.
Nella tradizione scolastica, la confessione non consisteva nell’esame degli atti dell’individuo, ma nell’esame dell’individuo in sé. Il fedele che andava dal prete per ottenere una penitenza adeguata al peccato commesso non era tenuto a confessare solo i peccati commessi, ma anche le proprie intenzioni non agite e i pensieri, ritenuti anch’essi peccaminosi. In un manuale di confessione della diocesi di Strasburgo del 1722, infatti, si chiedeva esplicitamente che l’esame di coscienza cominciasse proprio dai pensieri: “Si deve andare dai pensieri semplici ai pensieri morosi, vale a dire ai pensieri sui quali ci si attarda; poi, dal consenso agli atti più o meno peccaminosi, per arrivare infine agli atti più criminali”. Fu così che le fantasie sessuali, il desiderio e il lavorio dell’immaginazione vennero marchiati come atti impuri, alla stregua di altri comportamenti licenziosi.
Nella seconda metà del Cinquecento, la pratica della penitenza si diffuse nei seminari istituiti dal Concilio di Trento, che oggi possiamo considerare alla stregua delle scuole normali del clero. Come sanzione delle infrazioni – e come analisi delle circostanze nelle quali le infrazioni sono state commesse – essa ha portato a quella che Foucault definì una “tecnologia dell’anima e del corpo, dell’anima nel corpo, del corpo portatore di piacere e desiderio”. Si instaurò così un processo circolare tipico delle tecnologie di sapere e potere: le strutture di disciplinamento produssero istituzioni di potere e specializzazioni di sapere, all’interno delle quali si profilava non più solo la relazione legittima o illegittima, ma il corpo solitario e animato dal desiderio. Il corpo, sede del piacere, fu oggetto di squalificazione da parte delle istituzioni (religiose e non), nonché di sorveglianza rigida e costante.
Nel trattato Pratica del Sacramento della Penitenza, Louis Habert spiegò che la concupiscenza iniziava con un’emozione del corpo, puramente meccanica, prodotta da Satana. A questo proposito, va detto che il legame tra corpo convulsivo e possessione demoniaca fa parte della storia politica del corpo, e della repressione legittimata dei suoi impulsi. “Per controllare, contenere, cancellare definitivamente tutti i fenomeni di possessione,” scrive Foucault, “che intrappolavano la nuova meccanica del potere ecclesiastico, si è cercato di far funzionare la direzione di coscienza e la confessione […] all’interno dei meccanismi disciplinari attivati dalla stessa epoca, che fossero nelle caserme, nelle scuole e negli ospedali”. La carne complessa, attraversata da sensazioni e scossa da convulsioni, andava studiata al fine di comprenderne tutti i meccanismi di funzionamento. Nelle sue lezioni, Foucault sottolinea anche che il processo di controllo repressivo aveva al centro dei discorsi sui turbamenti carnali il corpo dell’adolescente o, meglio, il corpo del masturbatore.
Foucault descrive l’evoluzione del controllo della sessualità anche all’interno delle istituzioni di formazione scolastica cristiana. Nella lezione del 5 marzo del 1975, il filosofo muove dalla condanna della masturbazione, considerata una pratica che impoverisce l’individuo nelle sue risorse fisiche e sociali. Ciò che stupisce Foucault è che la crociata contro l’autoerotismo si rivolgesse in modo particolare ai bambini e agli adolescenti, piuttosto che agli adulti lavoratori. Stigmatizzare la masturbazione era tipico degli ambienti borghesi e la repressione da parte delle istituzioni si mosse in due direzioni principali: da un lato ci fu una riorganizzazione degli spazi che ospitavano i più giovani, dalle classi ai dormitori, di modo che gli adulti potessero sorvegliarli costantemente; dall’altro tutte le famiglie vennero istruite affinché controllassero i figli e impedissero loro l’autoerotismo: “Il corpo dev’essere letto come un ritratto o come il campo dei possibili segni della masturbazione”). In questa crociata, le istituzioni religiose furono largamente supportate dalla medicina, che contribuì a suffragare la credenza fallace secondo cui la pratica masturbatoria costituiva la causa di numerose malattie veneree.
La condanna di pratiche quali l’esplorazione del proprio corpo e l’autoerotismo è proseguita per molti secoli e ha lasciato tracce considerevoli anche nella realtà odierna. Lo stigma apposto sul corpo dal piacere e dal desiderio condiziona ancora oggi buona parte di individui giovani e meno giovani. Il disagio sociale che ne deriva è il prodotto di una mescolanza tra una scarsa consapevolezza del proprio corpo e un conseguente ripiegamento sul proprio individualismo, quasi mai supportato da un autentico ascolto di sé e dei propri bisogni. La scarsa consapevolezza del proprio corpo può indurre l’individuo a cercare l’isolamento sociale. Le pulsioni e i desideri possono infatti rappresentare ancora oggi una fonte di disagio e di profondo senso di colpa e di vergogna.
Come spiega Foucault nelle sue lezioni, ogni individuo alienato – in quanto incapace di esplorare sé stesso e riconoscere i propri impulsi – rischia di diventare vittima delle strategie del potere coercitivo, nonché dello spostamento del focus del mondo occidentale dal principio di piacere al principio di prestazione, di cui Herbert Marcuse ha parlato nel suo Eros e civiltà.
Ancora oggi risentiamo del processo che ha portato l’uomo a considerare il proprio corpo come la sede di tutti i suoi mali. Tracciando la storia della condanna del piacere sessuale, Foucault ci fornisce ottimi strumenti di decodifica di una realtà che ancora squalifica il corpo di desiderio. Questo tipo di squalifica può avere, tra le varie conseguenze, quella di innescare l’odio reciproco tra gli esseri umani; come scrive Alexander Lowen – paziente e allievo di Wilhelm Reich – tanto più l’individuo ha fatto esperienza della privazione, tanto più sarà portato ad assumere comportamenti spietati verso i propri simili. Se vogliamo ristabilire un dialogo autentico con i nostri bisogni più profondi, e realizzarci in tutte le nostre potenzialità, oggi sappiamo che è necessario portare avanti il lungo processo di sradicamento di certe credenze fallaci, che per secoli hanno contribuito a rendere gli individui meri strumenti di un potere ingiusto, repressivo e castrante.