Questa la nostra selezione di libri letti a settembre 2025 - THE VISION
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Da un saggio che analizza la nuova creator economy al memoir dell’artista statunitense David Wojnarowicz, tra fotografia e AIDS, passando per riflessioni sull’accostamento della fisica quantistica alle filosofie orientali, su come indagare la vita sottomarina ci aiuti a capire cosa significhi “vivere” e sull’Italia oltre l’immagine dell’overtourism, ecco cosa abbiamo letto a settembre 2025.

Sul filo della lama. Memorie della disintegrazione, di David Wojnarowicz (Miraggi edizioni)

“Vivere ai margini dei margini”. È così che David Wojnarowicz, artista, scrittore, fotografo e attivista statunitense morto nel 1992 a 37 anni, avrebbe descritto la sua vita. Ed è proprio in quei margini che si muove Sul filo della lama. Memorie della disintegrazione, il suo memoir finalmente tradotto anche in Italia. Un testo che non è un libro ordinario, né per forma né per contenuto: è una testimonianza carnale, rabbiosa, spesso lirica, della vita ai margini, della solitudine, dell’identità queer vissuta in un contesto ostile, della crisi dell’AIDS negli anni Ottanta e dell’arte come strumento di sopravvivenza e resistenza. Wojnarowicz scrive alternando frammenti autobiografici, riflessioni politiche, visioni oniriche, sogni e incubi urbani in una struttura spezzata, non lineare, che rifiuta le forme canoniche del memoir. La disintegrazione del titolo è non solo fisica – legata alla malattia, alla perdita, all’emarginazione – ma anche narrativa: ogni tentativo di comporre una linearità viene distrutto dall’urgenza di dire, di denunciare, di ricordare. Anche la sua arte è così. Lavora con ogni mezzo: pittura, fotografia, collage, video, scrittura. Il suo immaginario è fatto di simboli ricorrenti – il volto di Rimbaud usato come maschera, uomini con la testa di toro, cartine geografiche, animali, simboli religiosi, corpi spezzati, immagini pornografiche – sempre intrecciati con riflessioni feroci su sessualità, identità, religione, capitalismo, morte.

Wojnarowicz racconta l’infanzia segnata da abusi in famiglia, la vita da sex worker adolescente, le prime esperienze sessuali vissute in un’America che criminalizza il desiderio omosessuale, le morti degli amici, la presenza costante dell’AIDS come spettro e come condanna. Non cerca né pietà né espiazione: scrivere per lui è un atto di militanza e insieme di disperata affermazione di sé. Eppure dentro questa ferita che è esistere pulsa una forma di amore profondo, per la vita, per la bellezza, per chi non ha voce. Dopo aver scoperto di essere sieropositivo, trasforma il corpo malato in uno strumento di denuncia. Attacca frontalmente l’omofobia istituzionalizzata, il silenzio del governo Reagan, la complicità della Chiesa e delle case farmaceutiche. Usa l’arte come forma di lotta, con performance e opere che gridano indignazione, pietà, furia. Il suo diario personale, infatti, si fa eco di urgenze ed esigenze collettive, in cui l’arte, soprattutto, non è solo denuncia ma anche cura, alleanza, gesto di connessione, tentativo disperato ma tenace di spezzare l’isolamento del singolo. “Trasformare il privato in qualcosa di pubblico è un’azione che ha ripercussioni enormi nel mondo preconfezionato”, diceva. E aveva ragione, lo è ancora oggi.

Rivoluzione creator. Che cosa fanno, come lo fanno e perché, di Andrea Girolami (il Mulino)

“La creator economy è una novità dirompente, ma anche la risposta a una promessa fatta tempo fa. È nuova perché, per la prima volta nella storia, chiunque abbia qualcosa da dire possiede gli strumenti tecnologici e le piattaforme per far arrivare la propria voce al mondo. Ma è anche la risposta a un miraggio: sin dagli albori, internet prometteva un mondo in cui tutti saremmo stati sullo stesso piano, un’agorà globale dove confrontarsi e scambiare opinioni e talenti”. Così Andrea Girolami apre Rivoluzione Creator, il suo ultimo libro edito da Il Mulino, che esplora un fenomeno apparentemente marginale sottolineandone la centralità nell’intrattenimento e nella comunicazione globale. Giornalista e autore della newsletter Scrolling Infinito, Girolami parte da un’osservazione personale: a metà 2022, dopo la pandemia, ha avvertito un vero “click” nella creator economy, diventata la forza dominante della comunicazione digitale, con radici che risalgono ai primi blog, ai forum e persino alle prime radio online.

Il libro propone un’analisi profonda, lontana dal linguaggio superficiale e qualunquista con cui si parla spesso di social, influencer e creator, invitando a una riflessione seria sull’economia digitale mondiale. Tra aneddoti personali, foto e storie che raccontano l’ascesa dei contenuti digitali, Girolami percorre il cammino dai primi youtuber fino agli algoritmi social, con un focus speciale sulle interviste a una serie di creator italiani realizzate per il suo format su YouTube. I protagonisti – Valentina Barbieri, Gabriele Vagnato, Alessandro Della Giusta, Giulia Torelli, Turbopaolo, Cartoni Morti, Cooker Girl e Camihawke – condividono aneddoti, segreti e ambizioni, trasformando il testo in un racconto vivo e autentico, lontano dalle teorie astratte e vicino alle esperienze reali di chi è riuscito a catturare l’attenzione di milioni di utenti. Spunti e narrazione bilanciano un discorso denso, rendendo Rivoluzione Creator meno accademico di un saggio tradizionale e più simile a un manifesto per l’era digitale, utile tanto ai professionisti del settore quanto ai semplici curiosi.

Il tao della fisica, di Fritjof Capra (Aboca)

Quando uscì per la prima volta, nel 1975, Il Tao della fisica di Fritjof Capra – fisico e teorico dei sistemi tra gli intellettuali più originali e influenti della nostra epoca – fece l’effetto di un sasso gettato molto forte in uno stagno molto molto calmo: le onde non smisero di propagarsi, e in molti si trovarono spiazzati. Era difficile, e lo è ancora oggi, accostare la fisica quantistica – con il suo linguaggio matematico, la sua visione rivoluzionaria e i principi che contraddicono l’intuizione – a un mondo apparentemente, in particolare per la retorica e i pregiudizi che ci abbiamo costruito intorno in occidente – lontanissimo: quello delle filosofie orientali. Eppure, Capra ci riuscì con un’intuizione ancora potente, che ha la forza delle cose semplici: mettere insieme due discipline che, pur non avendo mai dialogato, raccontano e mostrano la stessa visione dell’universo.

Leggere oggi Il Tao della fisica – ripubblicato da Aboca a cinquant’anni dalla prima edizione americana – significa fare esperienza di una tensione rara: quella di chi cerca l’unità oltre la complessità, di chi prova a vedere le connessioni invece che le divisioni. L’intuizione alla base del libro, infatti, è che ogni essere vivente sia portatore di energia, come infatti è, e che quindi abbia un legame ben più sottile e profondo di quanto il nostro senso dell’Io sia portato a pensare e a percepire con il mondo. Capra ci porta nei laboratori di fisica delle alte energie e, nello stesso tempo, ci fa viaggiare tra i testi sacri dell’induismo, del buddhismo, del taoismo. Quello che ne emerge non è una fusione ingenua o una retorica New Age, né una forzatura, ma un’affinità sorprendente, il ritratto teorico di un cosmo che non ha un centro assoluto ma un’armonia che si manifesta nei dettagli.

C’è qualcosa di liberatorio nel lasciarsi attraversare da queste pagine. È come accettare che non tutto debba essere spiegato con la logica cartesiana, che possiamo concederci un pensiero che non ci divide dagli altri, ma ci fa sentire davvero parte dell’universo. In tempi in cui la scienza e la spiritualità sembrano spesso collocate agli antipodi, incapaci di incontrarsi, Il Tao della fisica rimane una lettura necessaria, che ci ricorda che possiamo cambiare sguardo, spostare il confine del pensabile e del percepibile. Forse è proprio questa la caratteristica che lo rende più radicalmente attuale: mostrare che il mondo non è un insieme di parti isolate, ma una trama sempre viva e cangiante di relazioni, e che per comprenderlo davvero dobbiamo imparare a vederlo dobbiamo imparare a osservarlo in maniera più simile a una danza che a un macchinario.

Vivere sulla terra, di Peter Godfrey-Smith (Adelphi)

A volte basta un dettaglio minuscolo per rimettere in discussione tutto quello che pensavamo di sapere sulla vita: un mollusco che si muove in un modo inaspettato, una colonia di batteri che sembra ragionare, una manta che fluttua nell’acqua stagliandosi con la potenza simbolica di un’apparizione, di un animale guida, di una dea. Peter Godfrey-Smith, professore di Storia e filosofia della scienza all’Università di Sidney e appassionato subacqueo, parte proprio da qui: dal fatto che per capire cosa significa “vivere” bisogna andare a vedere come la vita si comporta, letteralmente, sotto la superficie.

In Vivere sulla terra – terzo pannello di un’ideale trilogia dopo Altre menti e Metazoa – Godfrey-Smith – non scrive un manuale, né un trattato: costruisce un percorso che è insieme intellettuale e narrativo, con un operazione simile a quella di Rachel Carson in Storie dalle profondità del mare. Ci guida attraverso i principi della biologia evoluzionistica e della filosofia, ma lo fa con lo sguardo incantato di chi osserva un paesaggio per la prima volta. Il risultato è una riflessione radicale e accessibile sulla nostra esistenza, che non ha paura di porsi le domande fondamentali: che cos’è la vita? Cosa accomuna gli organismi più semplici a noi, che ci pensiamo al vertice della scala evolutiva? Leggere questo libro è un po’ come immergersi in apnea: bisogna avere il coraggio di lasciare la superficie, di trattenere il fiato e di scendere in profondità, sapendo che ogni metro guadagnato cambierà la percezione che avevi prima di te stesso e del mondo che sta in superficie. 

Le pagine scorrono con la naturalezza di un racconto, eppure a ogni capitolo ci si accorge di essere entrati in territori che riguardano l’etica, l’ecologia, la politica, con naturalezza, in maniera emozionante, e senza inutili zavorre. Perché parlare di vita significa inevitabilmente parlare del modo in cui la trattiamo, del nostro ruolo in una rete fragile di connessioni, della maniera in cui esistiamo e ci comportiamo con gli altri. In un’epoca in cui la sopravvivenza sta tornando a essere una questione urgente e squisitamente pratica, Vivere sulla terra appare come una lettura necessaria, perché ci ricorda che non siamo mai osservatori neutrali, non potremo mai esserlo, fisiologicamente, ma siamo parte integrante della stessa danza biologica che tentiamo di studiare e di cui tanto ci resta ancora oscuro. E che forse, per salvarci, dobbiamo imparare a guardare noi stessi con lo stupore con cui osserviamo un polpo che ci scruta dal buio del mare.

Cronache dall’Italia nascosta, di Ivan Carozzi (Blackie Edizioni)

In un’Italia diventata una vetrina a cielo aperto, dove frotte di turisti intasano i borghi, le città si bloccano per nozze miliardarie e molti caffè sono ormai arredati per essere un potenziale set social, vive ancora un Paese dall’anima profonda, fatto di storie dimenticate e commoventi che ci rimettono in contatto con un’umanità che vive e ha vissuto al di fuori degli schermi. In Cronache dall’Italia nascosta, Ivan Carozzi si fa autore di un mosaico di brevi aneddoti: nel suo racconto della provincia italiana, l’umile diventa eroe, il passato si intreccia al presente e la magia emerge dai laghi, dagli alberi e dai volti incisi dal tempo. Se la Valle d’Aosta è “un coriandolo”, il Molise è “misterioso e appartato tra le regioni” – e Maria, della provincia di Nuoro, è una contadina le cui opinioni valgono tanto quanto quelle di un grande intellettuale, tanto da meritare un documentario ad hoc

In un intreccio di storie che ricorda quasi i romanzi di Queneau, il libro si configura come un’antologia di “miracoli italiani” lontani dai circuiti battuti, un antidoto alla provincialità turistica che Carozzi, raffinato narratore, scava con ironia e profondità. Non è un semplice itinerario: è un’esplorazione antropologica, dove il passato e il presente si intrecciano in pieghe invisibili, rivelando un’Italia che “convive con presunti santi e indefessi peccatori”, come recita la quarta di copertina. Ogni regione è presentata schematicamente con gli stessi indicatori: numero di abitanti, reddito pro-capite, spirito guida,  edifici e luoghi simbolo, scene madri, espressioni peculiari, alberi degni di nota. Nel complesso, Cronache dall’Italia nascosta è un invito a spegnere il telefono e a lasciarsi trasportare da storie vere raccontate come favole: un saggio narrativo che, con prosa elegante e umorismo tagliente, riscatta l’Italia dalla sua immagine posticcia. Per chi cerca il popolo autentico e le curiosità mai fine a se stesse, è un piccolo piacere divorare un capitolo alla volta.

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