Questa la nostra selezione di libri letti a marzo 2025 - THE VISION
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Dal memoir di Caroline Darian, figlia di Gisèle Pelicot, che racconta dall’interno la tragica vicenda francese di abusi, a un’indagine sul futuro dell’India, che cerca di decostruirne i miti e pregiudizi sottolineando come sia lanciata nel diventare una superpotenza, passando per romanzi di formazione sull’identità, ecco cosa abbiamo letto a marzo 2025.

Un’altra idea dell’India. Viaggio nelle pieghe del subcontinente, di Matteo Miavaldi (ADD Editore)

Il 31 dicembre 1960, a cavallo del nuovo anno, Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini incominciavano il loro viaggio in India, prima che l’anno successivo li raggiungesse anche Elsa Morante. L’evento a cui devono prendere parte, con un soggiorno di sei settimane, è un convegno dedicato al centenario della nascita del poeta e filosofo indiano Tagore, che si svolge a Mumbai. Moravia partecipa in qualità di inviato per il Corriere della Sera, Pasolini per Il Giorno. Pur raccontando la medesima esperienza, i resoconti dei loro incontri con l’India offrono due prospettive distinte, quasi contrastanti. Se ne L’odore dell’India Pasolini si identifica con questa terra senza mai accettarla, in Un’idea dell’India Moravia accetta una terra “gigantesca, ossessionante, onnipresente”, ma senza idetificarvisi. Per lui diventa il “paese delle cose incredibili che si guardano tre volte stropicciandosi gli occhi e credendo di aver avuto le traveggole”, ed è proprio ispirandosi al suo disincanto analitico che, oltre sessant’anni dopo, il giornalista Matteo Miavaldi prova a sfatare miti e stereotipi per raccontare l’India contemporanea nel suo saggio Un’altra idea dell’India. Viaggio nelle pieghe del subcontinente.

“Abbiamo bisogno di un racconto nuovo. Dobbiamo riuscire a parlare di India oltre gli stereotipi, capire cosa succede in un Paese che sta facendo qualcosa che dall’India non ci saremmo mai aspettati. Sta cambiando,” scrive Miavaldi. Eppure, decostruire l’immagine stereotipata dell’India è un compito tutt’altro che semplice. Spesso dipinta come terra di spiritualità, nonviolenza e misticismo, la narrazione su questo Paese tende a rimanere intrappolata in cliché ormai consolidati. Attraverso un’indagine sul campo, ricca di incontri e aneddoti, Miavaldi mette in luce i sottili meccanismi della propaganda costruita dal primo ministro Narendra Modi, al potere da oltre dieci anni, facendo emergere il lato più inquietante dell’India contemporanea, tra conflitti identitari e di casta. In un momento in cui la più grande democrazia del mondo, nonché quinta economia globale, rivela il suo volto meno rassicurante, questo viaggio-reportage offre uno sguardo penetrante su come questa terra sia diventata il luogo dove “tante idee di India si scontrano ogni giorno, lanciate verso il futuro di superpotenza”.

 

Mentre tutto brucia, Paulina Spiechowicz (Nutrimenti)

L’esordio di Spiechowicz afferra il lettore o la lettrice per le caviglie e lo trascina negli anni ‘90, nel folto delle pinete romane, dei campi rom, ma anche delle piscine dei ricchi del Lido di Ostia, o magari nel suo mare. Spiechowicz, con una voce sicura ed evocativa, crea un incantesimo narrativo, che ci trasporta accanto all’orecchio di ogni personaggio, come se fossimo davvero tanto vicino da potergli suggerire cosa fare o non fare, solo che nei libri non funziona così, e non possiamo far altro che osservare questi personaggi, ciascuno rotto a suo modo, mentre si dipana la storia. Una storia forte, ma composta da tanti piccoli dettagli, che ci permettono di tornare ogni tanto in superficie a respirare, anche quando “tutto brucia”.

Ambientato nella periferia romana di Ostia durante l’estate del 1994, che cambierà per sempre l’esistenza dei protagonisti, questo romanzo di formazione cattura la metamorfosi dell’adolescenza, seguendo la vita di due fratelli, Kamil e Beatrice, rispettivamente di sedici e diciassette anni, che tornano in Italia dopo un anno trascorso in Polonia con il padre. Il romanzo affronta temi universali come la ricerca dell’identità, il senso di appartenenza e le difficoltà legate all’integrazione culturale. Kamil e Beatrice, figli di genitori polacchi emigrati in Italia, si trovano sospesi tra due culture, senza sentirsi completamente parte di nessuna delle due. Questo sradicamento li porta a confrontarsi con il proprio senso di incompletezza e a cercare modi diversi per colmare quel vuoto.

Ribelle e in cerca della sua identità, Kamil si riavvicina al branco di amici che aveva lasciato, cercando nel gruppo la propria forza e un possibile senso di integrazione. La sua voglia di sentirsi parte di qualcosa lo spinge a nascondere le proprie fragilità, mostrando una facciata dura e aggressiva. Beatrice, al contrario, non si illude di poter trovare tanto facilmente il suo posto nel mondo, in qualsiasi Paese essa si trovi. La sua solitudine viene scossa dall’incontro con Nico, un ragazzo finito in carcere per spaccio, che rappresenta per lei una possibilità di scoperta e cambiamento. Nico stesso è in cerca di redenzione, vuole in tutti i modi lasciarsi alle spalle il passato per provare a costruire un futuro diverso accanto a lei.

L’autrice dà voce a una generazione ancora in cerca di sé stessa, offrendo al lettore uno sguardo crudo e toccante sulla difficoltà di diventare adulti. “Mentre tutto brucia” ci invita a riflettere su come le esperienze che viviamo durante la nostra infanzia e la nostra adolescenza, momento cruciale della nostra crescita, possano plasmare il nostro futuro e su quanto sia importante trovare il nostro posto nel mondo, ed essere circondati da un ambiente che ci aiuti a farlo, cosa che raramente purtroppo accade.

 

Il male maschio, Enrico Dal Buono (La Nave di Teseo)

Dal Buono, al suo quarto romanzo, scortica il maschio come fosse un archetipico Satiro Marsia, e lo fa con estrema perizia chirurgica, forse anche perché il suo Andrea Occasi, è – non a caso – un anestesista, professione che riverbera nel suo essere capace di analizzare con distacco e alla perfezione qualsiasi cosa lo circonda, soprattutto il dolore, e purtuttavia non essere in grado di gestire il suo, così come i suoi istinti. Si potrebbe dire che Occasi non sia in grado di reprimere il male, appunto. Occasi ha installato su se stesso una serie di difese che gli permettono di sopravvivere in qualità di maschio, e la sopravvivenza dell’umano, come di tutti gli animali, è quella di arraffare, e di accumulare abbondanza: di relazioni, di esperienze, di protezione, di donne, di beni, di denaro. È molto semplice in realtà la metafisica del male maschio, semplicissima. Eppure, Dal Buono è riuscito con un certo spregio del pericolo, nella difficile sfida di renderla interessante, curiosa.

Occasi ci fa pena e a volte anche un po’ schifo, ma ci fa anche tenerezza, ed è sicuramente un tizio che qualsiasi donna si porterebbe almeno una volta a letto, uno che attira l’attenzione nei locali. Insomma, Occasi, come forse ogni uomo, attiva nella donna una sorta di ruolo materno, ma il materno non è solo accogliente, è anche mostruoso e normativo e punitivo. Il male maschio appare quindi come una sorta di cura Ludovico, ma raffinata, e ironica, brillante senza suonare mai compiaciuta, perché alla fine Occasi, che incarna una sfumatura che appartiene a tutti i maschi – e pure a certe donn – è uno sfigato, è anche lui una vittima delle sue pulsioni, della società, della famiglia, è un individuo diseducato, incapace di governarsi, che decide di assecondare senza alcuno sforzo quegli istinti, anche se gli fanno male, e fanno male agli altri, alle persone a cui vuole bene, perché semplicemente può farlo, e dunque “why not”. Finché non arriva Yaya a rieducarlo.

Questo romanzo gira il dito nella piaga di uno degli enigmi sociali più scientificamente affascinanti del contemporaneo e sicuramente un very first world problem femminista: perché gli uomini sono così, e con così si intende “teste di cazzo”? Come si fa a cambiarli? È possibile?

 

E ho smesso di chiamarti papà, Caroline Darian (Utet)

La vita può cambiare da un momento all’altro, spesso a segnare la linea tra il prima e il dopo è una telefonata. Nel caso di Caroline Darian, la notizia non è arrivata direttamente a lei ma a suo marito. Sua madre, Gisèle, conoscendo la natura della tragedia che stava colpendo la famiglia, aveva preferito assicurarsi che la comunicazione avvenisse in un contesto il più possibile sicuro, e di persona. Ma nell’esatto istante in cui la chiamata è arrivata al marito, Paul, la vita di Caroline, almeno virtualmente, non è stata più la stessa. 

La vicenda di Gisèle Pelicot – vittima, per anni, del marito Dominique, che la drogava di nascosto per farla stuprare da decine di sconosciuti, documentando tutto con foto e video – ha fatto il giro del mondo. Il processo a porte aperte, seguito da decine di testate e chiuso nel dicembre 2024 con la condanna all’ergastolo, non ha restituito però il profondo dramma umano di un padre di tre figli che si dimostra, di colpo, un mostro. 

Nelle pagine di diario di E ho smesso di chiamarti papà, a raccontare i fatti dall’interno è Caroline. Lo smarrimento di scoprire il crudele trattamento verso la madre, che a causa della sedazione chimica aveva anche manifestato forti problemi neurologici, è stato amplificato dalla scoperta di nuove immagini che coinvolgono altre vittime, tra cui le due nuore e persino lei stessa. Il dubbio più terribile si insinua, le toglie il sonno, la serenità, la salute mentale: suo padre ha drogato e abusato anche di lei? Certamente l’ha sedata, non troppi mesi prima, nel suo stesso letto matrimoniale, per fotografarla.

Accanto all’orrore, emergono ricordi di un passato apparentemente normale, lettere immaginarie e dialoghi impossibili con un padre ormai irriconoscibile, e disconosciuto. Ma da questo abisso nasce anche una battaglia: quella contro la sedazione chimica, un grave problema ancora molto sottovalutato. Gisèle e Caroline, inoltre, decidono di rompere il silenzio, trasformando la vergogna in denuncia. La vergogna va riversata sugli uomini che manipolano, drogano e violentano, nel loro delirio psicotico e patriarcale di dominazione.

 

Doping, April Henning e Paul Dimeo (66thand2nd)

Lo sport ha un fascino magnetico: nelle sue infinite forme, coinvolge milioni di spettatori in tutto il mondo, suscitando emozioni, passioni e un forte senso di appartenenza. Eventi grandiosi come le Olimpiadi ne amplificano la portata, evocando ideali di lealtà, solidarietà e benessere. L’attività fisica è considerata essenziale per la crescita dei bambini, anche sotto il profilo educativo, e per la salute degli adulti. Tuttavia, nel mondo dello sport – sia professionistico che amatoriale – il rapporto con i farmaci è ben più complesso della semplice retorica su uno sport “pulito” e privo di sostanze dopanti.

Attraverso una serie di casi che spaziano dagli inizi del XX secolo fino ai giorni nostri, Doping: A Sporting History esplora l’evoluzione delle politiche antidoping, ricostruendo le loro origini fino alla nascita dei Giochi Olimpici moderni. Dall’idea di purezza sportiva tra le due guerre alla crisi degli stimolanti nel dopoguerra, fino alle tensioni della Guerra Fredda, il doping si è trasformato da questione apparentemente risolvibile a rompicapo, alimentato dai progressi della farmacologia e dalle contraddizioni nei sistemi di regolamentazione. L’istituzione dell’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA), alla fine del Novecento, ha rappresentato un punto di svolta, ma il rigore delle misure attuali solleva interrogativi sulle conseguenze indesiderate di un controllo sempre più pervasivo.

Nel definire le politiche antidoping, infatti, gli atleti stessi vengono raramente coinvolti e considerati, trattati come soggetti “sospetti”. Eppure, oggi esistono sistemi di sorveglianza e sanzioni che, in qualsiasi altro contesto, sarebbero considerati inaccettabili, legittimati dal potere pressoché monopolistico della WADA.

Dal caso di Tommy Simpson, il ciclista morto sul Mont Ventoux con anfetamine nel taschino, fino all’esclusione della squadra russa dalle Olimpiadi invernali del 2018, i due accademici April Henning e Paul Dimeo tracciano un racconto avvincente e provocatorio. La loro proposta è un approccio che metta al centro la tutela e il benessere degli atleti, i veri protagonisti dello sport, spesso sacrificati in nome di un’astratta idea di onestà e integrità che rischia di essere più di facciata che sostanziale.

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