Nel 1978 Horst Rieck, cronista per la rivista Stern impegnato in un’inchiesta sulla prostituzione minorile a Berlino, incontrò in un tribunale distrettuale nel quartiere di Moabit – sede di un famoso carcere – l’allora sedicenne Christiane Vera Felscherinow, testimone d’accusa in un processo contro un uomo d’affari che sfruttava minorenni. Rieck notò la ragazza seduta in un corridoio insieme al padre e le chiese se sapesse qualcosa della questione dello sfruttamento della prostituzione. “Ci puoi scommettere”, gli rispose. La ragazza sarebbe poi diventata famosa in tutto il mondo come Christiane F., dopo che i due cronisti della Stern – Rieck e Kai Hermann – ebbero raccontato la sua vicenda di prostituta ed eroinomane minorenne, prima in una storia a puntate pubblicata sulle pagine della rivista e poi nel libro diventato cult intitolato Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino. Lo scalpore suscitato dal libro e la sua fortuna nella cultura mainstream lo fecero prima diventare materiale di adattamento cinematografico – nel 1981 per la regia di Uli Edel – e serie televisiva poi – diretta da Philipp Kadelbach e rilasciata in maggio di quest’anno su Amazon Prime.
Il libro, a metà fra l’autobiografia e il lavoro d’inchiesta, è stato uno dei primi a far luce sulla diffusione dell’eroina nelle città europee a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. Sotto gli occhi delle autorità che rifiutavano di riconoscere il problema, parchi e stazioni delle maggiori città si riempirono di tossicodipendenti in cerca di una dose, disposti a fare di tutto per ottenerla: dalla prostituzione, al furto, allo spaccio. “La gente allora non sapeva nulla. Di tanto in tanto c’erano rapporti sulle morti per eroina nella toilette, tutto qui,” ha raccontato in una recente intervista Horst Rieck. “Avevo scritto questa storia sulla prostituzione infantile, e la senatrice per la famiglia dell’epoca, Ilse Reichel-Koß, si rivolse immediatamente al caporedattore e disse: ‘La prostituzione infantile in Kurfürstenstrasse non esiste’”.
Kurfürstendamm – centro nevralgico di Berlino Ovest – e la vicina fermata della metro “Bahnhof Zoo”, sono invece diventati famosi per essere stati i luoghi d’incontro di Christiane e dei suoi amici – come viene anche ben rappresentato nel film di Uli Edel – dove i ragazzi trovano i soldi per le dosi di eroina facendo marchette. Ma se il film sorvola su molti dettagli della discesa di Christiane nella dipendenza da eroina, il libro è invece uno spaccato duro di quella esperienza, un racconto asciutto della questione giovanile e del rapporto degli adolescenti con quella droga.
Per Christiane tutto ha inizio con il suo trasferimento dalla campagna, dove viveva la nonna, a Gropiusstadt, quartiere-dormitorio nel distretto di Neukölln alle porte di Berlino che prende il nome dal famoso architetto tedesco. La ragazza, appena adolescente, si trova così a fare i conti con una realtà molto diversa da quella a cui era abituata, più brutale, rispetto a quella semplice e genuina dei luoghi della sua infanzia. Appena arrivata nel nuovo quartiere, dove non ci sono né spazi verdi né tranquilli luoghi di ritrovo dove potersi svagare, si rende conto che a Berlino vige la legge del più forte, persino nei giochi per bambini, dove non mancano mai la vittima e il carnefice.
Il primo approccio con le droghe – hashish in primis – viene da una compagna di classe e dalla curiosità verso un gruppo di ragazzi. Più le cose sembrano andare male a casa, dopo la separazione tra un padre incostante e violento e una madre affettuosa ma spesso assente, più cresce la volontà di trovare un gruppo all’esterno; dove ritrovare quei sentimenti che sembrano ormai perduti tra l’indifferenza degli abitanti di questa città spaccata. “Il gruppo era diventato la mia famiglia. Lì trovavo qualcosa di simile all’amicizia, alla tenerezza e in un certo senso anche all’amore”, scrive Christiane nel libro. Il problema è che questa nuova famiglia si riunisce tutti i pomeriggi alla Haus der Mitte, il circolo evangelico di Neukölln dove circolano molti ragazzi della zona che sperimentano le prime droghe – hashish, acidi e analgesici – tra una discussione e l’altra sul grande David Bowie e beandosi – in un’assurda guerra tra poveri – di essere diversi dagli “etilici”. In poco tempo però iniziano a comparire i primi “bucomani”, guardati da Christiane con malcelata ammirazione, come se l’eroina fosse l’ultimo stadio verso la trascendenza: il totale disinteresse per le cose del mondo, per gli affetti e per quella stessa famiglia che aveva cercato di rincorrere in mezzo al fumo dei cilum sui divanetti della Haus.
Ben presto, però, la droga inghiotte tutto, a partire dai discorsi dei ragazzi, che vertono ormai solo sullo “sballo”, sui “trip”, sul Valium e su una nuova discoteca del centro, il Sound, “la più moderna discoteca d’Europa”, dove c’è il giro serio: quello dell’eroina. Christiane vive questa escalation a livello inconscio – dice nel libro – come se guardasse srotolarsi sotto i suoi occhi una vita che non è la sua, vissuta con il pilota automatico inserito. In tutto questo, “Station To Station”, di David Bowie, le ronza nelle orecchie: “It is too late”, è troppo tardi, dice il testo. La canzone la perseguita come un mantra e scandisce il conto alla rovescia verso il primo buco. Nel film il momento in cui Christiane si rende conto di essersi preparata psicologicamente all’eroina da molto tempo appare ben dettagliato, come un richiamo della foresta cui è difficile resistere se si continuano a frequentare le stesse compagnie e gli stessi luoghi, dove la droga diventa l’unico argomento.
Forse sarebbe bastato che sua madre smettesse di credere alle sue scuse inventate all’ultimo per giustificare le notti passate fuori casa, o che un insegnante si accorgesse delle sue assenze e le strappasse dal volto quella maschera da dura che si era costruita – per farla uscire dal giro prima che fosse appunto “troppo tardi”. Invece sua madre non la incontrò mai strafatta sulla metropolitana mentre andava al Sound, come successe per caso alla sua amica Kessi, a cui in questo modo furono probabilmente risparmiate molte cose: dalle “marchette”, ai furti, alle numerose entrate e fughe dai centri di recupero. Eppure, fuori da qualsivoglia retorica, ciascuno ha il suo percorso, la sua storia e la sua vita.
“Mi accorsi che senza il Sound, e la gente del Sound, non potevo più vivere per niente. Senza di loro la mia vita era completamente senza senso,” dichiara Christiane che nel frattempo aveva incontrato altri “bucomani” – la maggior parte con alle spalle famiglie problematiche come la sua – compreso un certo Detlef, che si prostituiva a Bahnhof Zoo. È lui a iniziarla all’eroina. I due iniziano una relazione e dopo ogni buco si giurano a vicenda che sarà l’ultimo. Facendo inizialmente affidamento sul suo nuovo ragazzo per procurarsi le dosi – dopo aver capito che il solo lavoro di quest’ultimo non basta a mettere insieme i soldi per entrambi – anche Christiane inizia a frequentare i luoghi della prostituzione di Berlino.
La sua è una doppia vita: quella d’adolescente qualunque che si reca a scuola la mattina – mezza addormentata dopo essersi “sparata” una dose appena sveglia – e quella della “bucomane” impegnata tutti i pomeriggi a procacciarsi clienti alla stazione per comprarsi la droga. “Senza rifletterci sopra gran che mi ero già scissa in due persone radicalmente diverse,” dice Christiane. “Scrivevo lettere a me stessa. Christiane scriveva lettere a Vera. Vera è il mio secondo nome. Christiane era la quattordicenne che voleva andare dalla nonna, in qualche modo era la buona; Vera era la bucomane”. Una descrizione, questa, che sembra sfiorare la schizofrenia. Come sottolineato anche dalla Fondazione Veronesi, infatti, nei soggetti predisposti, l’abuso di certe sostanze stupefacenti, in determinate condizioni, può favorire l’insorgere di questo disturbo.
Tra entrate e uscite dai centri di recupero, dove la madre cerca di mandarla dopo aver scoperto la sua dipendenza, Christiane incontra anche quei clienti che vanno con le minori pagandole direttamente in droga, un modo più veloce di procurarsela senza passare per l’intermediazione della stazione. Ed è al processo di uno di questi uomini che Christiane viene fermata dal cronista della Stern – dopo svariati tentativi di disintossicazione a soli 15 anni – che l’avrebbe trasformata, suo malgrado, nel simbolo di una generazione perduta.
Nel libro, il pastore evangelico responsabile della Haus der Mitte, dove Christiane provò le prime droghe è interpellato – in un breve stralcio – a proposito della diffusione dell’eroina a Gropiusstadt. Secondo lui i principali acquirenti di questa droga erano i giovani della classe operaia senza un posto di lavoro o una formazione professionale. L’eroina, in questo complesso abitativo ad altissima densità – all’epoca ci vivevano 45mila persone – era una risposta al peggioramento delle condizioni di vita delle classi medio-basse. Le poche prospettive di impiego, le condizioni economico-sociali svantaggiate, i rapporti familiari disfunzionali, erano tutte caratteristiche che il pastore evangelico individuò come concause dello scoppio dell’epidemia di eroina tra i giovani di quella zona di Berlino. “La logica di queste città satellite come Gropiusstadt si basa sulla redditività del capitale e non è orientata alle necessità di vita degli individui,” dice il pastore. “La droga è stata uno dei mezzi peggiori per derubare questi individui della coscienza di appartenere alla categoria delle vittime dello sviluppo industriale. […] Non può essere seriamente contestato che tra aumento dell’abuso di droga tra i giovani della classe operaia e il peggioramento massiccio delle loro condizioni di vita esista un nesso che nel frattempo è stato perfettamente utilizzato a scopi commerciali”.
Del resto, secondo il World Drug Report del 2020, alcuni meccanismi rinvenibili soprattutto nei contesti socio-economici svantaggiati sono ancora un fattore di rischio per l’avvicinamento al mondo della droga. Nelle famiglie caratterizzate da basse condizioni socio-economiche e uso di sostanze da parte dei genitori, il rischio di abuso da parte degli adolescenti sembra infatti essere più alto. In queste famiglie mancherebbe inoltre l’assenza di supervisione e il controllo da parte dei genitori, che sembra anch’esso portare all’abuso di sostanze, così come la mancanza di attività di svago, che sembra più accentuata in famiglie socio-economicamente svantaggiate. Il pensiero va subito ai casermoni di Gropiusstadt, alle vele di Scampia o al Corviale a Roma e al desiderio di evasione che inevitabilmente ispirano, in un crescendo che rischia di portare facilmente verso l’esaurimento e la morte, inquinando ogni aspetto dell’esistenza.
Nella Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia per l’anno 2020 si legge che l’intervento delle istituzioni per arginare la diffusione della droga tra i giovani si concentra soprattutto sulla prevenzione in famiglia e nelle scuole. Tuttavia, ciò non è abbastanza. Continua, infatti, il trend positivo dei decessi per overdose in Italia, con 373 casi registrati nel 2019 (+11%), in cui l’eroina si conferma ancora come la principale responsabile. Parlare della diffusione della droga e dei motivi che spingono ad abusarne equivale a rendere visibile ed evidente un problema sotterraneo che molti, come le istituzioni berlinesi quarant’anni fa, preferirebbero ancora oggi ignorare. D’altronde, è il desiderio stesso di dissociarsi dal mondo attraverso l’abuso di sostanze a rendere manifesto il fallimento delle istituzioni.