Se oggi sappiamo come il PFOA sia arrivato a contaminare anche gli animali che vivono al Polo Nord e le aree più remote degli Oceani è merito dell’avvocato ambientalista statunitense Robert Bilott. La sua storia è raccontata nel film di Todd Haynes Cattive acque, in uscita oggi in Italia e basato sull’articolo del New York Times Magazine “The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare”, pubblicato nel gennaio del 2016. Nel 2006 una ricerca della School of Public Health della State University di New York ha scoperto la presenza di PFOA nel sangue e nelle uova di albatross, leoni marini e pinguini. La percentuale degli esemplari contaminati non varia tra i campioni prelevati nell’Oceano Atlantico e quelli nel Pacifico. Nel 2012 uno studio del dipartimento di Biologia dell’Università norvegese di scienze e tecnologia ha scoperto alte concentrazione anche nei salmoni che vivono nelle acque settentrionali dell’Oceano atlantico. L’anno successivo, un team di ricerca canadese e danese ha lanciato l’allarme sulla presenza del PFOA anche nella materia cerebrale degli orsi polari.
L’acido perfluoroottanoico (PFOA), così come l’acido perfluoroottansolfonico (PFOS), fa parte della famiglia delle sostanze organiche perfluoroalchiliche (PFAS). Si tratta, per il ministero della Salute, di “composti chimici, prodotti dall’uomo e pertanto non presenti naturalmente nell’ambiente, stabili, contenenti lunghe catene di carbonio, per questo impermeabili all’acqua e ai grassi”. Le industrie li usano per rivestire capi di abbigliamento, carta a uso alimentare, padelle e pentole antiaderenti, in modo da aumentare la loro refrattarietà alle alte temperature, ai grassi e all’acqua. Un’altra loro caratteristica è la resistenza una volta rilasciati nell’ambiente, che mantiene inalterata la loro composizione chimica virtualmente in eterno.
La decennale battaglia legale tra la multinazionale del settore chimico DuPont e Robert Bilott – interpretato dall’attore e attivista ambientale Mark Ruffalo, anche produttore del film – ha inizio nel 1998, quando l’avvocato viene contattato da Wilbur Tennant, un allevatore del West Virginia. Bilott è uno dei 200 avvocati dello studio Taft di Cincinnati e il suo lavoro è proprio assistere i grandi gruppi industriali della chimica nelle cause di tematica ambientale. Pur con un certo scetticismo, decide di accettare la richiesta Tennant di raggiungerlo nella sua proprietà di Parkersburg: da ragazzo ha passato intere estati nella vicina cittadina di Vienna, a casa della nonna, e l’allevatore per convincerlo ha fatto leva proprio su questo.
Quella dei Tennant è una delle numerose famiglie di piccoli allevatori degli Stati Uniti: dopo aver iniziato poco più che adolescenti con appena sette mucche, nel corso dei decenni hanno acquistato nuovi capi e acri di terra per metterli a pascolo. Nel 1998 Wilbur e i suoi fratelli possiedono più di 600 acri di proprietà e 200 mucche. Poi all’improvviso le bestie iniziano ad ammalarsi e a morire, una dopo l’altra. Quando Tennant chiama Bilott, gli racconta che più di 153 sono morte nel corso degli ultimi anni. L’allevatore ha raccolto centinaia di fotografie e di video per testimoniare le condizioni di salute delle mucche poco prima di morire o subito dopo: molto magre, con le pupille di un innaturale blu brillante, gli zoccoli deformati e altre disfunzioni. In alcuni video, Tennant ha documentato anche autopsie che ha svolto lui stesso, quando tutti i veterinari della zona si sono rifiutati di essere coinvolti, scoprendo gravi alterazioni del tessuto e colore degli organi interni degli animali.
La misteriosa moria di animali è iniziata subito dopo la decisione del fratello di Wilbur, Jim Tennant, costretto da necessità economiche, di vendere 60 acri dei terreni di famiglia all’azienda chimica DuPont, che con il suo stabilimento di Washington Works garantisce centinaia di posti di lavoro a Parkersburg e nelle cittadine circostanti. Il colosso chimico vuole utilizzare la terra comprata dai Tennant come deposito di stoccaggio di una parte dei suoi rifiuti, ribattezzato Discarica “Dry Run”, come il corso d’acqua che lo attraversa. Corso d’acqua che raggiunge anche i pascoli dove vengono allevate le mucche dei Tennant.
L’avvocato decide di aiutare Tennant a fare luce su quanto sta accadendo. Dopo le prime ricerche scopre che la sostanza che sta avvelenando le mucche del suo assistito non è neanche segnalata nell’elenco delle sostanze pericolose stilato e aggiornato periodicamente dall’Environmental Protection Agency (Epa), l’agenzia federale degli Stati Uniti incaricata di tutelare la salute ambientale e umana del Paese. Quando Bilott fa pressione sulla DuPont per avere chiarimenti, l’azienda gli risponde inviandogli decine di scatoloni che contengono 110mila pagine di documenti, sperando che la mole di lavoro lo faccia desistere dal cercare la verità su quanto accaduto.
Dopo settimane di catalogazione e lettura, Bilott trova numerosi rimandi al PFOA, un composto chimico sconosciuto non solo all’Epa, ma anche ai più autorevoli testi di medicina. In particolare, i documenti forniti dalla DuPont fanno spesso riferimento al PFOA-C8, meglio noto come Teflon. Scoperto nel 1938 e impiegato in ambito militare durante la Seconda guerra mondiale, questo materiale è stato poi utilizzato su larga scala nell’industria civile, a partire dalla produzione delle padelle antiaderenti. Proprio la DuPont è stata la prima nel mondo ad attrezzare uno stabilimento per la sua produzione. Nel corso dei decenni l’azienda chimica ha svolto diversi studi interni sulla sostanza, scoprendo la sua capacità di causare il cancro tanto negli animali quanto negli esseri umani. Alcuni report riservati dell’epoca sostenevano anche la maggiore incidenza di malformazioni alla nascita nei bambini delle operaie impiegate nelle linee di produzione dove era presente il PFOA.
Questo non ha impedito alla DuPont di riversare, tra il 1951 e il 2003, quasi 7100 tonnellate di PFOA-C8 nei corsi d’acqua limitrofi al suo stabilimento di Washington Works, fino a contaminare il vicino fiume Ohio. Cinquant’anni che hanno permesso a questa sostanza chimica di raggiungere gli Oceani di tutto il mondo e i suoi abitanti: il PFOA, infatti, è un composto inalterabile in grado di accumularsi giorno dopo giorno nel flusso sanguigno, senza possibilità di smaltimento da parte del corpo umano e animale. Il PFOA riversato nei terreni dei Tennant ha ucciso decine dei loro capi di bestiame e fatto ammalare di cancro Wilbur e sua moglie Sandy. Grazie al report compilato da Bilott e inviato al Dipartimento di giustizia di Washington e all’Epa, nel 2005 l’ente ambientale multa la DuPont per 16,5 milioni di dollari – una cifra irrisoria rispetto al fatturato annuale dell’azienda – per aver insabbiato i rischi legati allo smaltimento del PFOA. Wilbur muore quattro anni dopo per un attacco di cuore a 67 anni e sua moglie lo segue due anni più tardi per le complicazioni del cancro.
Dopo la sentenza Bilott decide di non fermarsi al procedimento che riguarda la famiglia Tennant. È ossessionato dall’idea che tutti gli abitanti di Parkersburg e delle cittadine nei dintorni dello stabilimento di Washington Works dovranno convivere per il resto della loro vita con le conseguenze di quanto fatto e nascosto per anni dalla DuPont. Secondo i calcoli in suo possesso, almeno 100mila persone hanno bevuto o sono entrate in contatto per anni con acqua contaminata dal PFOA. Bilott cerca allora di organizzare una class action collettiva; per farlo gli servono dati medici certi da presentare in tribunale come prova: la sostanza chimica, infatti, non è riconosciuta come tossica dal governo e questo impedisce di muovere accuse sulla sua responsabilità legale. La DuPont accetta di finanziare una serie di studi per verificare un eventuale legame tra il PFOA e i suoi effetti collaterali per la salute, a patto che prima dell’uscita dei risultati non vengano intentate cause individuali contro l’azienda.
Per Bilott, “C’era una lacuna nei dati. I report medici interni alla compagnia si limitavano ai loro impiegati nelle fabbriche. La DuPont avrebbe potuto sostenere – come ha poi fatto – che anche se il PFOA causasse problemi per la salute, lo farebbe solo per i lavoratori esposti a lungo alla sostanza e non con gli abitanti che bevono l’acqua dei dintorni. Questa mancanza permette alla DuPont di sostenere di non aver fatto nulla di sbagliato”. Allo studio richiesto dall’avvocato partecipano 70mila abitanti del West Virginia, che donano il loro sangue per una serie di test. La ricerca costa alla DuPont 33 milioni di dollari, ma le fa guadagnare sette anni di tempo, quelli impiegati dagli scienziati per elaborare i dati ottenuti.
È soprattutto in quel lungo periodo che la determinazione di Bilott sembra venire meno: spesso riceve telefonate dai parenti dei suoi assistiti che lo informano dell’ennesima morte per cancro. “Il pensiero che non eravamo stati in grado di mostrare questa azienda come responsabile di ciò che aveva fatto in tempo perché queste persone potessero vederlo”, dice lo stesso avvocato, lo mette in crisi, con ripercussioni anche per la serenità del rapporto con la moglie Sarah – interpretata nel film Cattive acque da Anne Hathaway. La tensione di quegli anni costringe Bilott, addirittura, al ricovero in ospedale per un’ischemia.
Quando nel dicembre del 2011 arrivano i risultati, i ricercatori hanno pochi dubbi e parlano di “probabili legami” tra il PFOA e l’insorgere di cancro ai reni e ai testicoli, disfunzioni della tiroide, picchi del colesterolo e ulcere intestinali. Ora che il nesso è evidente, la DuPont cerca di limitare i danni portando in tribunale uno alla volta gli oltre 3500 contenziosi intentati nei suoi confronti, tattica giù usata con successo dalle grandi lobby del tabacco: a un ritmo di quattro processi l’anno le cause dovrebbero esaurirsi nel 2890. Dopo la vittoria di Bilott nei primi tre contenziosi e i risarcimenti milionari imposti alla DuPont, nel 2017 l’azienda chimica ha deciso di accettare la class action guidata dall’avvocato e di accordarsi per una maxi multa da 671 milioni di dollari.
L’utilizzo a livello industriale e la produzione di PFOA sta venendo progressivamente abbandonato dalla DuPont e dagli altri gruppi chimici, ma tracce di questa sostanza sono ormai presenti nel sangue del 99% delle forme di vita presenti sulla Terra. La vittoria costata anni di lavoro a Bilott non deve farci dimenticare, come ricordano i titoli di coda di Cattive Acque, che nella zona grigia delle normative esistono altre 60mila sostanze chimiche non regolamentate da nessuna legislazione. Migliaia di sostanze in grado di fare gli stessi danni che il PFOA ha causato nel West Virginia e da lì nel resto del Pianeta.