Da quando esistono i social, anche il modo in cui si rappresentano i personaggi dello spettacolo è cambiato in modo radicale. I paparazzi sono stati sostituiti da Instagram stesso, che tramite le storie ci mostra la quotidianità che un tempo era perlopiù segreta, immaginata e agognata. Vita privata e vita pubblica si mescolano in modo sempre più omogeneo e anche l’attivismo, termine che un tempo usavamo per descrivere azioni concrete e mosse perlopiù in prima persona, ha assunto connotazioni molto diverse. Un artista, un cantante, un’attrice che vuole usare la sua eco mediatica in modo semplice e immediato oggi può tranquillamente agire con un post. Se da un lato dunque una celebrità può trasformare il suo profilo pubblico in una sorta di vera e propria vetrina per battaglie che si portano avanti perlopiù su un piano comunicativo incessante e spesso effimero – per la velocità con cui si viene fagocitati dal successivo tema caldo; dall’altro sembra anche che molti personaggi pubblici preferiscano mantenere un certo distacco dai temi spinosi e concentrarsi su questioni meno connotate da un punto di vista politico. Certe questioni importanti è bene che vengano affrontate anche solo attraverso un post, ma alle volte sembrano gesti di facciata più che vere e proprie prese di posizione – basti pensare al famoso caso del riquadro nero ai tempi dei movimenti Black Lives Matter, fenomeno che in inglese è stato chiamato “virtue signaling”.
Nonostante oggi il modo di comunicare sia molto più semplice e immediato quindi, specialmente per figure pubbliche, ci sono stati anni in cui artisti e artiste non avevano alcun problema a invischiarsi in prima persona in affari molto seri e rilevanti, rischiando anche il lavoro in molti casi. Uno degli esempi più noti è sicuramente quello di Gian Maria Volonté e della sua carriera percorsa in parallelo con una vita di attivismo, ai limiti della legalità – come quando aiutò Oreste Scalzone a fuggire con la sua barca – e con una forma di militanza che ha lasciato il segno tanto quanto i ruoli che ha interpretato. Ma per quanto sia simbolica e immortale la storia di Volonté, non solo per il cinema ma anche per la politica, spesso purtroppo non si dà la stessa attenzione a quella di Carla Gravina; una donna centrale per la biografia dell’attore – con cui ha avuto una lunga relazione affettiva – che ha avuto per la militanza artistica italiana un ruolo centrale tanto quanto quello del compagno.
Gravina, infatti, è una grande attrice e attivista che per colpa del bigottismo e delle imposizioni morali dell’Italia degli anni Sessanta non ha avuto le stesse possibilità del suo compagno per diventare un simbolo del cinema italiano impegnato. Quando i due si conobbero, all’inizio degli anni Sessanta, interpretando Romeo e Giulietta a Verona, Gravina era già un’attrice molto più nota di Volonté, ma la figlia che nacque da questa relazione fu uno scandalo così importante da allontanarla per alcuni anni dal cinema: De Laurentiis, per esempio, annullò il contratto settennale che aveva con lei. Gravina aveva appena vent’anni e Gian Maria Volonté era un uomo sposato, la figlia Giovanna – che prese infatti il cognome della madre, ma che ebbe un rapporto molto bello con il padre che ha in più occasioni ricordato – era infatti una macchia sul curriculum di un’attrice che aveva appena decollato nel mondo dello spettacolo, interpretando ruoli in film come Guendalina di Alberto Lattuada e I soliti ignoti di Mario Monicelli.
Non è una storia isolata la sua, purtroppo: negli anni Sessanta la stessa cosa è successa anche a Stefania Sandrelli e a Mina, entrambe “colpevoli” di aver avuto relazioni e gravidanze da uomini sposati, ed entrambe capaci di far fronte al peso di un’onta simile diventando comunque icone del cinema e della musica italiana. Sarebbe interessante sapere cosa è successo invece a tutte quelle altre artiste che, al contrario di Gravina, Mina e Sandrelli, non hanno avuto la stessa possibilità di riscattarsi nonostante gli ostacoli imposti da una società che scaricava tutta la colpa del “peccato” sulla donna indisciplinata e immorale, ma questo purtroppo non lo sapremo mai.
Non solo la gravidanza da Volonté, anche le scene di nudo potevano inficiare la carriera di un’artista: negli anni Settanta, infatti, per Gravina il destino si ripete, e un contratto per una serie di pubblicità della gomma da masticare Brooklyn viene annullato per via delle sue apparizioni senza vestiti in alcuni film. Sembra assurdo oggi pensare che queste cose potessero davvero compromettere la carriera di un’attrice come lei, con una bellezza così particolare e un talento spontaneo per la recitazione scoperto per caso quando da quattordicenne era stata fermata fuori dalla scuola da Lattuada. Ma sembra ancora più assurdo leggere le sue parole nelle interviste recenti – ora che sta per compiere ottant’anni e si è ritirata dalle scene ormai da trenta per vivere all’insegna dei viaggi – in cui il commento a queste vicende che avrebbero potuto bloccarla e impedirle di continuare la carriera di attrice è sempre estremamente lucido e razionale. Non sembra esserci traccia di vittimismo o di risentimento – nemmeno nei confronti di Volonté con cui ha avuto una storia travagliata e complessa.
Carla Gravina, infatti, oltre a essere una professionista del cinema e del teatro, è stata anche una militante, attivista, battagliera, per nulla succube o arrendevole nei confronti di una realtà che sapeva essere sbagliata e voleva cambiare mettendosi in prima linea. Non solo con le lotte femministe, che ha portato al cinema interpretando ruoli in film d’autore come Maternale, ma anche da deputato: venne eletta col Pci nella circoscrizione di Milano in sostituzione a Luigi Longo e rimase in carica dal 1980 al 1983. Una parentesi politica che sancì un’altra pausa alla sua carriera da attrice, stavolta per coronare anni di impegno sociale su più fronti grazie a un ruolo istituzionale con un partito come il Pci che, in quegli anni, sapeva essere anche un luogo in cui la cultura poteva confluire e partecipare attivamente alla vita politica del Paese. Un rapporto tra politica attiva e arte che oggi è relegato ai minimi storici, per una serie di motivi che dipendono soprattutto dalle scelte dei partiti, che hanno completamente abbandonato qualsiasi funzione culturale nella società.
La grandezza di un’attrice come Carla Gravina, dunque, sta proprio in questa straordinaria lezione di perseveranza, un mix di strafottenza e capacità di adattamento anche alle situazioni in cui gli ostacoli si raddoppiano, che l’ha portata a interpretare ruoli memorabili nonostante le avversità, cosa che la rende non solo un esempio di vera e propria militanza sia artistica che politica, ma anche un’icona del nostro cinema – oltre che del teatro, luogo dove lavorò con registi del calibro di Giorgio Strehler e Luca Ronconi. Gravina è una figura che, in un film come La terrazza, appare in tutto il suo splendore sia artistico che caratteriale e ideologico, con un personaggio che la fece trionfare a Cannes grazie a un ruolo che sembrava scritto su di lei da Ettore Scola. Carla – così si chiama la giornalista che interpreta e che non a caso porta il suo stesso nome – è una donna che rivendica la propria autonomia intellettuale e fisica da un marito ormai stanco e invecchiato. Marcello Mastroianni è uno degli emblemi del tramonto, che Scola rappresenta in questo suo film capolavoro che sancisce la fine di un’epoca; Carla Gravina è la sua opposizione, è la rivincita del nuovo contro l’assoggettamento di un marito che crede di averle insegnato tutto e di averla resa ciò che è. Oggi lo chiameremmo mansplaining, ai tempi de La terrazza era invece un lungo dialogo al ristorante tra Carla e Luigi scritto dai due sceneggiatori più importanti della commedia all’italiana, Age & Scarpelli.
Guardare al passato per rimpiangerlo non ha senso, ma conoscerlo per prenderne esempio è fondamentale. I tempi sono cambiati, i partiti non sono più ciò che erano cinquant’anni fa, così come l’attivismo, e una donna che fa l’attrice, per fortuna, oggi non viene più ostacolata per aver avuto un figlio con un uomo sposato. Carla Gravina è un’icona del cinema italiano impegnato, della militanza e del ruolo attivo che un personaggio pubblico può avere; tutto ciò oggi sembra lontano anni luce. Scrivere un post per denunciare qualcosa di sbagliato è un’azione che può creare delle conseguenze reali, ma i gesti non sono sempre così consequenziali e dobbiamo stare attenti a non confondere la realtà con un semplice messaggio che spesso rischia di cadere in un flusso senza un reale senso, se non quello dell’autocompiacimento. Dopo un anno in cui siamo chiusi in casa a vivere attraverso schermi e chat, dobbiamo ricordarci com’è la vita al di fuori di un account, senza denigrare il futuro o fare del banale luddismo, ma prendendo atto di quanto è necessario per cambiare il mondo anche essere nel mondo. In questo senso la storia di Carla Gravina è un ottimo promemoria.