La bisessualità è un tema affrontato dall’opinione pubblica nella maggior parte dei casi in maniera superficiale e il dibattito nato dal Ddl Zan non ha migliorato affatto la situazione. In particolare, la bisessualità maschile costituisce un vero e proprio vuoto all’interno della comunità LGBTQIA+. Conoscere queste realtà è tuttavia una necessità vitale per evitare discriminazioni dettate dall’ignoranza, a partire proprio dal testo di quel Decreto di Legge che si prefigge l’obiettivo di combatterle.
Nell’articolo 1 del ddl Zan viene riportata una definizione di bisessualità errata e figlia di stereotipi difficili da abbandonare. Tale orientamento viene indicato come “attrazione verso entrambi i sessi”, partendo dunque dal presupposto che i sessi biologici siano solo due, con buona pace delle persone intersessuali. Un ulteriore elemento problematico risiede infatti nello stretto binarismo sessuale che finisce per rendere del tutto sfalsato il quadro di attrazione delle persone dell’ombrello BI+ (pansessuali e bisessuali) rispetto alle persone non cisgender.
Come fatto notare da diverse associazioni di categoria, infatti, dall’errore nel definire il sesso biologico all’interno del Decreto ne derivano ulteriori legati alla definizione di genere e, soprattutto, di identità di genere. Per una definizione più corretta di bisessualità si rimanda alla traduzione in italiano del Bisexual Manifesto, scritto nel 1999 e in cui si legge: “La bisessualità è una identità fluida ed intera. Non presumete sia per sua natura binaria o duogama, che abbiamo ‘due’ lati o che dobbiamo essere impegnati simultaneamente con entrambi i generi per essere soddisfatti. Anzi, non presumete che ci siano solo due generi. Non fraintendete la nostra fluidità per confusione, irresponsabilità o un’incapacità ad impegnarsi. Non equiparate la promiscuità, infedeltà o comportamenti sessuali rischiosi con la bisessualità. Questi sono tratti umani che attraversano tutti gli orientamenti sessuali. Nulla dovrebbe essere presunto in base alla sessualità di chiunque, inclusa la propria”.
Ci si trova dunque di fronte a un grave paradosso, se si considera che è proprio dalla definizione di bisessualità riportata dal testo di legge che poi dovrebbero derivare, in caso di approvazione, implicazioni giuridiche. Spaventa constatare la vicinanza tra questa definizione e quella usata dal medico Alfred Kinsey negli anni ‘50, che nella sua “scala” di identificazione della sessualità nel contesto statunitense, definiva la bisessualità come l’attrazione in egual misura verso uomini e donne, posizionandola al centro esatto di una linea progressiva che vedeva ai suoi estremi rispettivamente eterosessualità e omosessualità per così dire pure.
Nessuna delle associazioni che, a parole, affermano di battersi anche per la comunità BI+, d’altra parte, si è occupata davvero delle istanze delle soggettività bisessuali, soprattutto nell’impedire che si vedessero cancellate dalla società italiana. A loro parziale discolpa, occorre sottolineare che in Italia, allo stato attuale, non esiste un associazionismo bisessuale strutturato. Ci si trova di fronte, pertanto, a voci isolate e a uno sparuto gruppo di collettivi che deve costantemente lottare contro l’indifferenza sia della società eterocisnormata sia delle organizzazioni LGBTQ+.
La percezione di essere isolati e di essere costantemente ai margini di un discorso che dovrebbe in teoria riguardare da vicino è una costante del bagaglio esperienziale delle persone bisessuali. Al di fuori di ambienti sociali e relazionali ristretti, dove le persone bisessuali si sentono al sicuro nell’esprimere la propria identità, la bisessualità tende a essere vista con morbosità se interessa le donne, con confusione se invece riguarda gli uomini. Spesso, per quanto riguarda gli uomini nello specifico, bisessuale e omosessuale sono termini che vengono confusi. Se dalla società nel suo complesso si passa al mondo gay, poi, la situazione non è troppo diversa. Ancora oggi le persone bisessuali vengono accusate di non avere il coraggio di prendere posizione, ammettendo la propria omosessualità. Tale pregiudizio, però, risulta nei fatti pericoloso, in quanto fornisce il pretesto per tentativi di “persuasione”, talvolta con l’ausilio della forza. Se le donne bisessuali finiscono per diventare oggetto di sistematica feticizzazione e ipersessualizzazione, gli uomini bisessuali tendono a subire un maggior tasso di violenze sessuali subite sia rispetto a gay che ad eterosessuali.
Nel 2010 uno studio del Centers for Disease Control and Prevention, organo di controllo del ministero della salute statunitense, ha stimato che il 37% degli uomini bisessuali americani abbia subito violenza sessuale almeno una volta nella vita contro il 26% e il 29% rispettivamente di gay ed eterosessuali. Le persone bisessuali, oltre a vivere mediamente tassi più alti di violenza, hanno generalmente molte più probabilità di sviluppare patologie mentali e, a conseguenza di ciò, avere un maggior tasso di povertà. La mancanza di reti di supporto e di fondi dedicati specificatamente ai bisogni delle persone bisessuali non rende ovviamente più facile la loro condizione.
Per chi è apertamente e consapevolmente parte dell’ombrello BI+, cercare di trovare risposta a questi problemi non è compito facile, anche andando in profondità nei (pochi) lavori dedicati ai Bisexual Studies. La definizione della bisessualità per come oggi è strutturata, infatti, è frutto di un percorso complicato cominciato a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80, una volta terminato il processo di rivendicazione del termine stesso. “Bisessuale”, infatti, era un termine usato in ambito medico e psichiatrico per indicare comportamenti patologici. Un esempio emblematico in tal senso è stato quando la comunità bisessuale americana ha dovuto implorare Micheal Bailey, uno studioso che nel 2005 aveva pubblicato l’esemplificativo Gay, Straight or Lying, in cui sosteneva l’inesistenza dell’orientamento bisessuale per gli uomini, di lavorare su un nuovo studio che contraddicesse le sue affermazioni. L’operazione nel complesso riuscì con un nuovo lavoro pubblicato nel 2011 in cui l’autore finalmente ammise l’esistenza della bisessualità maschile.
Ancora oggi esistono pochi testi utili per interpretare la realtà delle persone bisessuali. Tra questi abbiamo il saggio The Epistemic Contract of Bisexuality Erasure, scritto dal professor Kenji Yoshino nel 2000 e nel quale vengono riportati tre punti all’interno del contratto epistemico in grado di spiegare come mai eterosessuali e omosessuali siano accomunati da azioni, più o meno consapevoli, di biasimo e discriminazione nei confronti delle persone appartenenti all’ombrello BI+.
La prima ragione sta nella necessità di rendere chiaro l’orientamento sessuale attraverso uno stretto binarismo. Entrambe le comunità concordano sul fatto che una netta demarcazione tra attrazione verso il proprio genere e attrazione verso l’altro genere costituisca un elemento di stabilizzazione molto importante. In parole povere, riconoscendo la bisessualità le due comunità dovrebbero rispettivamente chiedersi: quanti etero sono realmente etero e quanti gay sono realmente gay? Per gli etero, in particolar modo, un’identità netta va di pari passo con la conservazione del proprio privilegio, per cui l’interesse a preservare una netta linea di demarcazione appare evidente. Per la comunità gay, d’altra parte, buona parte della strategia si basa sul rendere di fronte alla società tale orientamento come del tutto equiparabile a quello etero.
A questo aspetto si lega la seconda ragione identificata da Yoshino, ossia l’importanza della sessualità quale fattore discriminante per la creazione della propria identità sociale. Questo vale in particolar modo, per quanto concerne gli uomini, nella comunità gay, il cui separatismo sessuale costituisce il terreno fertile nella creazione dell’intero ecosistema sociale che ruota attorno alla cultura gay. Per le persone bisessuali, tale base di partenza è impraticabile e ciò porta a quella che diversi attivisti considerano come un’alleanza naturale tra ombrello BI+, comunità trans e non binaria e comunità asessuale. Tutti questi gruppi condividono non solo l’essere ai margini nella comunità LGBTQIA+ ma, e soprattutto, il rifiuto del separatismo sessuale il quale, ed è questo il caso del lesbismo politico degli anni Settanta, si estende quale elemento sociale a tutto tondo.
La terza ragione, forse quella che più va a colpire in profondità le corde della bifobia, è che le persone dell’ombrello BI+ costituiscono solo per il fatto di esistere una sfida all’istituto della monogamia. Il nostro stesso ordinamento riconosce legalmente esclusivamente il legame monogamo e, come prevedibile, per le comunità gay e lesbiche, una parte importante della lotta verso l’emancipazione è stata investire risorse nel garantire la propria fedeltà a questo istituto. Per le persone pansessuali dell’ombrello BI+ ciò non è possibile. Da questa radice si biforcano le varie implicazioni di stereotipi sul queste persone quali inaffidabili, lascive e manipolatrici.
Il testo di Yoshino si poneva la domanda essenziale sul perché le persone bisessuali fossero così invisibili nella società. A più di vent’anni di distanza la risposta appare più facile del previsto, se non altro per gli uomini dell’ombrello BI+. Gli uomini bisessuali sono invisibili agli occhi della società in quanto costituiscono una variante difficile da comprendere secondo i principali dettami collettivi che caratterizzano le relazioni sentimentali e sessuali. Un uomo bisessuale rappresenta uno schiaffo metaforico al condizionamento educativo noto col nome di mascolinità mononormativa ed egemonica. Non può essere considerato un perpetratore del patto machista per cui tanto più un uomo aderisce ai canoni considerati desiderabili in termini di privilegio maschile, tanto maggiori saranno i benefici sociali che ne trarrà. Come ogni elemento allogeno, la società tende a non riconoscere l’uomo bisessuale all’interno del suo alveo.
Tuttavia, più che a un pericoloso virus che minaccia di colpire il cuore del sistema monosessualocentrico, come indicato da Shiri Einsner nel suo BI : Notes for a Bisexual Revolution per la bisessualità femminile quella maschile risulta più simile a una particella di pulviscolo che viene tenuta al di fuori dell’atmosfera controllata di una stanza tramite appositi filtri, intrappolata in una fase di stasi da cui sembra impossibile uscire. Nel frattempo, al di fuori delle proprie bolle si consuma il più grande fallimento dell’attivismo bisessuale maschile, con milioni di uomini bisessuali che vivono un’esistenza tormentata in quanto privi degli strumenti necessari per riconoscere ed eventualmente accettare il proprio orientamento.