Negli anni ’90 in Italia non esistono etilometri, gli italiani vanno a fare aperitivo in un posto, cena in un altro, dopocena in un altro ancora e poi corrono nelle discoteche, spendendo valanghe di soldi, per poi mettersi alla guida ubriachi tanto da spingere lo Stato a fare pubblicità progresso. Gli adolescenti vanno a scuola con lo zaino Invicta, scrivono i compiti sulla Smemoranda, le ragazze venerano la serie TV Beverly Hills 90210 e i ragazzi sbavano davanti a Non è la Rai. Film come L’Attimo fuggente, Profumo di donna, 110 e lode, Scuola d’onore, raccontano storie di studenti brillanti e di buona famiglia destinati al successo tra istituti prestigiosi, giacche di tweed, camicie button down e libri didattici; Il crollo del Muro e la sconfitta del comunismo fanno esplodere l’Occidente in un’orgia di gioia, ricchezza, benessere e speranza. La pubblicità della vodka Artic del 1993, con una delle hit più suonate nelle discoteche di quegli anni che promette sesso, jet privati e spiagge caraibiche, cristallizza bene quell’atmosfera esaltata. Boldi e De Sica ridono delle scalate sociali dei nuovi ricchi con le unghie ancora sporche di terra, creando un format demenziale che proseguirà per tutto il decennio.
Com’è possibile questo benessere nazionale? Da dove vengono tutti questi soldi? A nessuno sembra interessare. Nella cronaca nazionale, i casi di corruzione passano nell’indifferenza in terza o quarta pagina. C’era già stato lo scandalo delle Patenti facili, quello di Lombardia informatica, e quello del Banco Ambrosiano e P2. Ma opinionisti, intellettuali e – soprattutto – giornalisti li definiscono casi isolati, schegge impazzite o mele marce.
Il crollo della prima Repubblica inizia la notte del 17 febbraio 1992.
Viene arrestato Mario Chiesa, all’epoca presidente del Pio Albergo Trivulzio, un ospizio. I Carabinieri guidati dal magistrato Antonio Di Pietro lo colgono in flagranza di reato mentre ritira una tangente di sette milioni di lire dalle mani di Luca Magni, gestore di una piccola società di pulizie. Per essere precisi, lo fermano mentre cerca di far sparire i soldi nello scarico del WC del suo ufficio. La tangente serviva per vincere l’appalto per le pulizie dell’ospizio, ma Chiesa, dopo averne intascata una, si era fatto avido, ne aveva chiesta un’altra e poi un’altra ancora, così Magni si era rivolto ai Carabinieri. Il mattino dopo, sul Corriere della Sera esce il solito trafiletto: “Tangenti all’ospizio, arrestato il presidente”. Ma stavolta c’è un problema, anzi ce ne sono due. Il primo è che Mario Chiesa, fin dagli anni ’70, si era impegnato in politica col Partito socialista italiano, sognava di candidarsi a sindaco di Milano e si era legato alla famiglia Craxi. Il secondo è la sua ex-moglie, con cui è in corso una battaglia legale per l’assegno di mantenimento. Anche se in modo indiretto, Craxi è coinvolto. Così, durante un’intervista in TV, definisce Mario Chiesa “Un mariuolo che getta un’ombra su tutta l’immagine di un partito.” Chiesa capisce che i suoi contatti lo hanno abbandonato al suo destino: potrebbe comunque tacere, scontare la pena e, una volta uscito, godersi i soldi. Ma sua moglie rivela ai magistrati l’esistenza di due conti correnti in Svizzera, chiamati Fiuggi e Levissima, che vengono subito sequestrati. Di Pietro chiede all’imprenditore l’origine di quei fondi, e Chiesa non ha più scappatoie: per alleviare la pena decide di collaborare, e racconta vent’anni di corruzione, coinvolgendo 16 aziende e dimostrando di aver dovuto pagare alcuni politici per lavorare, tra cui gli ultimi due sindaci di Milano, Carlo Tognoli e Paolo Pillitteri, entrambi socialisti.
Ai primi di maggio del 1992 vengono consegnati gli avvisi di garanzia ai due sindaci del Psi; Tognoli è accusato di ricettazione, Pillitteri di ricettazione e corruzione. Pochi giorni dopo tocca a Mario Lodigiani, vicepresidente dell’omonima azienda di costruzioni, una delle più grandi d’Italia. In meno di tre mesi finiscono in carcere venti persone tra politici e imprenditori mentre Augusto Rezzonico, un ex-senatore della Dc ed ex-presidente delle Ferrovie nord, confessa di aver preso una tangente miliardaria e di averla versata a Gianstefano Frigerio, il segretario regionale della Dc. Dice che erano soldi per il partito. È il turno del tesoriere nazionale della Democrazia cristiana, poi del primo repubblicano, Antonio Del Pennino.
Il 23 maggio c’è il primo suicidio: Franco Franchi, coordinatore dell’Usl di Milano si chiude in garage e si uccide con il gas di scarico della macchina. Era anche lui sotto indagine e secondo alcuni non avrebbe retto all’accusa di una falsa laurea in Giurisprudenza. Il 27 maggio arriva l’avviso di garanzia a Gianni Cervetti, del Partito democratico della sinistra, indagato per tangenti sui lavori della metropolitana e per fondi da Mosca. Tra i politici milanesi si diffonde il panico, alimentato ogni giorno da una nuova notizia sul giornale. La sensazione di essere finiti in una tagliola che sta per chiudersi da un momento all’altro è devastante.
Renato Amorese, segretario del Psi, guida fino all’aperta campagna di Lodi, poi si spara in testa con una Beretta calibro 9. “Sono un fallito, è per quello che già sai. Ti chiedo perdono,” scrive in un biglietto per la moglie. Spedisce anche una lettera a Di Pietro dove scrive di essere un uomo d’onore e di avergli detto la verità. Sale la tensione tra politici, imprenditori e cittadini. Fomentata dalle voci indignate dei giornalisti, la gente scende in strada organizzando fiaccolate e manifestazioni. Sfilano slogan come “Politici e padroni ridateci i $oldoni”, “Resistere, resistere, resistere ai ladri”. Si vendono magliette con “Milano ladrona Di Pietro non perdona”. Il Consiglio Superiore della magistratura capisce che la cosa è troppo grossa per un uomo solo e crea un pool per seguire l’operazione denominata “Mani pulite”. In un clima di panico generale, con l’opposizione che accusa ormai apertamente Craxi e i socialisti di essere tutti ladri e disonesti, il 3 luglio 1992 Bettino prende la parola in un’aula stracolma. Con voce ferma e un linguaggio dotto, pronuncia l’impensabile.
“Tutti sanno, del resto, che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale. I partiti, specie quelli che contano su apparati grandi, medi e piccoli; giornali, attività propagandistiche, hanno ricorso o ricorrono all’uso di risorse aggiuntive in forma irregolare o illegale. Se gran parte di questa materia dev’essere considerata criminale, allora gran parte del sistema è di natura criminale. Non c’è nessuno, responsabile di organizzazioni politiche importanti, che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo, perché presto, o tardi, i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.”
Il leader del partito di maggioranza dichiara quindi all’intera nazione che nel Paese non esiste nulla di legale, e che, in fondo, lo sanno tutti. L’aula di Montecitorio è stracolma, ma nessuno fiata, nessuno si alza per controbattere. C’è solo un lungo silenzio. Il giorno dopo, l’opposizione si scatena sui giornali. Achille Occhetto dice che i comunisti sono diversi, e minaccia di denunciare Craxi, ma evita con attenzione qualsiasi faccia a faccia . Imprenditori, politici, pubblici amministratori di ogni schieramento sono nel panico assoluto perché molti di loro hanno qualcosa da nascondere. Partita dalla procura di Milano, Mani pulite si espande nel resto d’Italia. Il clima di tensione sale con la velocità di una rivolta e la ferocia di un linciaggio. Quando Di Pietro arriva a casa degli indagati, questi cominciano a confessare fin dal citofono. Hanno nascosto soldi nei pouf da salotto o nelle imbottiture delle sedie. Il 14 luglio Gianni De Michelis riceve un avviso di garanzia per tangenti sulla “bretella d’oro”, il collegamento dell’aeroporto di Venezia alla tangenziale di Mestre.
Nel frattempo muore suicida anche Giuseppe Rosato, dipendente del comune di Rovigo, sospettato di fare da cassiere per due politici del Psi. Quattro giorni dopo Mario Majocchi, vicepresidente dell’Ance e amministratore delegato della più grossa azienda di costruzioni edili del Comasco, si spara in testa: era stato interrogato per una tangente riguardante i lavori sulla Milano-Serravalle. A settembre si uccide con un fucile da caccia l’onorevole Sergio Moroni, del Psi. Anche lui era stato accusato di tangenti per le discariche lombarde e alcune ristrutturazioni in un ospedale di Lecco. Balzamo, tesoriere del Psi, muore d’infarto, dichiarando fino alla fine di avere la coscienza a posto. Il 15 dicembre 1992 Bettino Craxi riceve un avviso di garanzia: concorso in corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Il pool di Mani pulite ha calcolato tangenti per 36 miliardi, distribuiti in quattro conti correnti distribuiti tra Lugano, Panama e Ginevra. A gennaio 1993 riceve il secondo e poi terzo avviso. Quando il ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, si dimette, accusato di concorso in bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano, l’intero governo vacilla.
Craxi abbandona il suo ruolo da segretario del Psi l’11 febbraio 1993. Il 30 marzo lascia anche il ministro delle Finanze, Franco Reviglio, dopo aver confessato che quando era presidente dell’Eni, aveva accettato sei miliardi da destinare al Psi, senza conoscerne l’origine.
Per i democristiani la situazione non è migliore. Valerio Cirillo, un consigliere comunale di Pescara, muore lanciandosi dal sesto piano. Lascia un biglietto con scritto “Sono innocente, non sono un corrotto.” A fine aprile anche Gino Mazzolaio, ex-segretario amministrativo della Dc di Rovigo, si getta in un fiume dopo aver ricevuto un ordine di custodia cautelare. Lascia un biglietto alla moglie e ai due figli: “Non so più resistere a quanto sta succedendo pur essendo completamente innocente. Vi chiedo scusa per il gesto che sto per compiere, pregherò per voi da lassù.” La Camera, con voto segreto, salva Craxi negando alla magistratura l’autorizzazione a procedere, ma è tutto inutile. Nell’immaginario pubblico, i politici sono tutti ladri e corrotti e Craxi è un traditore. Nella sede della Dc di Roma arriva un fax che recita: “Democristiani, anche solo uno alla volta, ma suicidatevi tutti. Abbiamo tempo e pazienza. E voglia di godere.” Quando Craxi decide di uscire dalla porta principale dell’Hotel Raphael e affrontare i suoi contestatori, la folla esplode in urla e fischi. Poi comincia a lanciargli contro sassi, sigarette, e soprattutto monetine. Come tutti i linciaggi è una scena ripugnante, ma segna la caduta degli Dèi che avevano dominato l’Italia dal dopoguerra fino a quel momento.
Ma l’Italia può reggere il colpo, perché ha un’alternativa: quel nemico sconfitto con la caduta del muro di Berlino, i tanto odiati comunisti sembrano uscirne puliti. Il popolo italiano crede di essersi liberato dei cattivi e che ora i buoni, quel Pci eterno sconfitto, rimetteranno le cose a posto. È qui che iniziano i veri problemi, perché non è affatto finita.
L’11 maggio 1993 vengono arrestati Renato Pollini, ex-tesoriere del Pci, e Fausto Bartolini, ex-direttore del Conaco, il consorzio delle cooperative rosse edili. Si parla di tangenti versate alle ferrovie ai tempi dello scandalo Lenzuola d’oro, e di imprese private come Sasib, Ansaldo e Socimi che avrebbero versato miliardi ai comunisti. Il Pds di Occhetto prende le distanze, ma dura meno di una settimana: viene arrestato il sindaco di Genova, Claudio Burlando, insieme a sette suoi collaboratori, l’accusa è truffa e abuso di atti d’ufficio. Ognuno di loro ha qualcosa da raccontare e una lista di nomi da riferire. Mentre a San Vittore si suicida Gabriele Cagliari, ex-presidente dell’Eni, il sindaco di Genova fa un nome: Raoul Gardini, colui che avrebbe istituito i fondi neri per pagare le tangenti all’Enimont.
Purtroppo, però, il pool arriva troppo tardi: Gardini si suicida sparandosi un colpo alla tempia mentre è a letto. Nessuno ha sentito lo sparo, anche se in casa c’erano il figlio e il maggiordomo. È un brutto colpo per Di Pietro, ma ci sono altre strade. Il Pds viene assalito e smembrato, rivelando tangenti per appalti nell’edilizia e addirittura nella sanità, dove l’arresto che fa più scalpore è quello di Duilio Poggiolini, ex-direttore del servizio farmaceutico del ministero della Sanità. Il 30 settembre 1993 trovano il suo tesoro: 300 miliardi tra conti, pietre preziose, monete d’oro antiche e di varie nazionalità, diamanti. Crolla tutto. Dopo il Pds, nel mirino finiscono i Servizi segreti militari con lo scandalo fondi neri. Il 7 dicembre del 1993 viene arrestato Patelli, cassiere della Lega. Pochi giorni dopo, il 17 dicembre, mentre il Paese è scioccato nel vedere ogni idolo, amico o nemico, cadere sotto la scure della magistratura, c’è lo scontro in aula tra Craxi e Di Pietro, durante il processo Enimont. Su quel confronto si potrebbero scrivere libri, per l’impatto visivo e psicologico che ha sulla popolazione italiana.
Tangentopoli finisce lì, lasciando sessanta milioni di italiani esausti, senza più un partito in cui credere, un leader da seguire o un’ideologia a cui aggrapparsi: sono tutte morte sotto le macerie del muro di Berlino. Craxi poco dopo scappa ad Hammamet dove di solito passava le vacanze.
Il 3 giugno 1995 Antonio Di Pietro si toglie la toga e passa da inquisitore a inquisito: deve rispondere di concussione e appropriazione indebita, da cui verrà prosciolto. Tangentopoli si risolverà con 25.400 avvisi di garanzia, 4.525 arresti, 1.069 politici coinvolti, 1.300 tra condanne e patteggiamenti, e molti suicidi. L’Italia, diceva Montanelli, è paese di mille rivolte e nessuna rivoluzione; Tangentopoli non fa eccezione. Molti hanno criticato i metodi, la carcerazione preventiva, i magistrati elevati a rockstar, il clima giustizialista rapidamente degenerato nel Terrore di Robespierre, e la catena di morti. Fu una rivolta strana davvero. Il numero di arresti rispetto a quello delle condanne effettive è sproporzionato, ed è un fatto che ci siano stati errori e orrori. La Storia, però, raramente si muove in punta di piedi. Tangentopoli è accaduta nell’Italia di trent’anni fa, in cui i magistrati saltavano per aria o venivano giustiziati per strada, in cui la mafia metteva macchine imbottite di esplosivo vicino agli stadi. Anni dopo, Di Pietro dirà che Mani pulite fu bloccata grazie alla delegittimazione portata avanti da “Servizi deviati” per conto di alte autorità politiche, riferendosi a due provvedimenti del Copasir del 1995 e del 1996, in cui si parla di Tangentopoli come una “minaccia alla stabilità del paese”. Dopotutto nel 1993 si era scoperto che anche i controllori erano corrotti. Cossiga, durante un’intervista a Radio24, parlando di Tangentopoli dice “Ma io sono ottimista, sa. Basta che noi smettiamo di essere quello che siamo. L’altro giorno un ministro, mio amico, ha detto una cosa vera: che in Italia c’è un rapporto tra forze dell’ordine e popolazione che è più alta di quella della Svezia. E un altro gli ha risposto che sì, è vero, ma c’è un piccolo particolare: la Svezia è abitata dagli svedesi, mica dagli italiani.”
A livelli diversi, con cifre diverse, l’intero sistema era corrotto. Negli anni ’90, l’Italia era “un paradiso” in cui se un imprenditore voleva lavorare con la pubblica amministrazione doveva appartenere a un cartello d’imprese che foraggiavano e finanziavano la politica. Farne parte garantiva commesse, appalti, simpatie politiche, e i costi di tutto si scaricavano sul debito pubblico. Per lavorare si dovevano pagare le tangenti a chi faceva entrare nel cartello, poi si dovevano pagare i politici che davano l’appalto, sul cui guadagno si doveva pagare una percentuale al cartello, versarne una al politico e alla fine riuscire a chiudere se non in positivo, almeno in pari. Più che un paradiso, gli anni ’90 sono stati gli anni degli strozzini. Il merito di Tangentopoli è stato senza dubbio quello di aver portato alla luce l’enorme sistema di corruzione su cui purtroppo si fondava il Sistema Paese, determinandone fortune e sfortune.
Probabilmente però non riuscì a debellarlo del tutto. Su un piano socio-culturale invece gli effetti delle inchieste del pool di Milano furono profonde: se prima la compostezza dei modi, la perfetta padronanza della lingua, la preparazione quasi enciclopedica conferivano autorevolezza alla politica, da quel momento si creerà nell’immaginario collettivo la diffidenza verso quell’impostazione. E forse la convinzione che un politico onesto debba essere per forza giovane, incompetente, sciatto, ignorante e volgare. Le conseguenze non tarderanno ad arrivare.