Andrea Pazienza, storia di un genio che non voleva esserlo
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Alle 17 di un giorno non preciso del 1978, alcuni giovani assaltano con bottiglie e molotov la sede milanese del Corriere della Sera, considerato il perno del sistema borghese dell’epoca. Tra le diverse foto scattate dai giornalisti durante la guerriglia ne spicca una in particolare: verrà usata nel 2003 dal Premio Strega Antonio Pennacchi per il suo piccolo capolavoro Il Fasciocomunista. Lo scatto in bianco e nero ritrae un giovane con una bandiera arrotolata nella mano sinistra e un foulard che copre il volto, a eccezione degli occhi. È snello, agile. Sta correndo verso qualcosa, lontano da un polverone bianco creato da gas ed esplosivi. Quel giovane viene immortalato una frazione di secondo prima che tocchi terra col piede, proseguendo la sua avanzata verso l’ignoto. Sta volando, e lo farà per sempre, fra i detriti di una guerriglia vissuta e la fitta coltre color lino che si staglia sullo sfondo e che impedisce di sapere cosa si cela oltre.

Ecco, se a quel ragazzo togliete la bandiera dalla mano e mettete un set di carta, matite, biro e pennarelli, avrete dipinto nell’eternità Andrea Pazienza. Quel pazzo e geniale fumettista morto per overdose la notte tra il 16 e 17 giugno 1988 a Montepulciano, in Toscana. Paz era e sarà sempre quel giovane e dinamico studente corsaro, spaventato dalle sue azioni e divertito da ciò che più gli riusciva meglio: disegnare e raccontare il suo rapporto con la realtà. Un autore sconfitto dalle sue turbe all’età di 32 anni, ma vittorioso su tutto ciò che si possa definire “arte” ai giorni nostri. Pazienza aveva capito così tante cose del nostro essere umani che anche se fosse sopravvissuto, con ogni probabilità, avrebbe smesso di parlare col pubblico in pochi anni. In 9 anni di attività fumettistica, e 13 da artista riconosciuto, ha rivoluzionato la nostra cultura e il nostro modo di concepirla, anche se la maggior parte delle persone ancora non lo sa.

Andrea nasce a San Benedetto del Tronto il 23 maggio 1956. A 18 mesi di vita i suoi genitori si complimentano con lui per un disegno. Non lo fanno per via di un qualche consiglio da psicologi new age che prevede di relazionarsi al proprio bambino come fosse un genio, ma perché il piccolo è davvero un genio. Mostra a mamma e papà un bellissimo orso, con tratti decisi e cura per alcuni particolari e li stupisce. Da quel momento in poi è inarrestabile. Questo aneddoto, insieme a molti altri, si trova nel libro di Tony Di Corcia dedicato ad Andrea Pazienza, dal titolo La femmina è meravigliosa. L’autore si è concentrato nel raccontare il fumettista attraverso gli occhi di tutte le donne che hanno segnato la sua esistenza. Sua madre, ovviamente, parla dell’infanzia di Andrea. Ma c’è spazio anche per una curiosità circa suo padre. Il piccolo Paz è suo allievo alle scuole medie, e in disegno avrebbe meritato almeno un 8. Interviene però la preside a mitigare il giudizio, per timore che gli altri alunni abbiano qualcosa da ridire. Eppure, come si vedrà nel corso del tempo, al ragazzo non importava affatto dei voti o del giudizio degli altri.

Nell’autunno del 1974, dopo gli studi dai Gesuiti a Pescara, dov’è il più giovane, Andrea decide di iscriversi al Dams di Bologna, fondato appena tre anni prima. A Pazienza Bologna non piace, così affollata e senza la possibilità di avere la propria privacy, ma sarà una città fondamentale nel suo percorso, così influenzata dal ’68, un momento in cui per i ragazzi i sogni sembrano potersi realmente avverare. La prima tappa della sua carriera è la mostra di alcuni suoi quadri a Pescara, il 9 maggio 1975. Isabella Damiani, la sua più cara amica, sale a bordo di una Fiat 127 blu e raggiunge Andrea insieme a suo fratello maggiore e alcuni amici. E là, in mezzo a quelle opere d’arte a metà tra il Pop e l’onirico, scorge un dipinto che non si aspetta, che tutt’ora tiene in casa per tenere vivo il ricordo di Paz. S’intitola Isa d’estate ed è un autentico capolavoro che la ritrae in vesti rinascimentali. Isa è sospesa in uno spazio senza tempo, ma è tutto giocato sull’imprimere la figura di Isabella all’interno del quadro, allontanandola dalla realtà nel modo più tenero possibile. Come primo passo nel mondo dell’arte, Andrea anticipa i tempi. E come in tutti i passi che percorrerà fino alla sua morte, non se ne cura affatto. Il suo obiettivo non è certo l’avanguardia, quanto piuttosto soddisfare l’impulso del disegno e del racconto. Usare il suo talento come una cura per i suoi mali, prima ancora di regalare piaceri ai lettori e agli spettatori.

Andrea Pazienza, Isa d’estate, 1975

Sempre nel 1975, Andrea disegna la copertina e nove illustrazioni per un libro intitolato Due dadi nel gioco. Un’opera tutt’altro che indimenticabile, ma che gli insegna una cosa importante: così com’era avvenuto per la sua mostra a Pescara – dove qualche facoltoso personaggio aveva deciso di acquistare alcuni suoi quadri – Paz viene finalmente pagato per fare qualcosa che gli viene del tutto naturale, che gli fa bene e lo diverte. Nel febbraio del 1977, un martedì qualsiasi, presso la sede di Linus, Andrea Pazienza si presenta alla corte della direttrice Fulvia Serra. Tira fuori dalla sua enorme cartella una serie di paesaggi, ma sono cose che non vanno bene per un giornale di quel tipo: troppo normali, belli e banali. Allora Andrea tira fuori il coniglio dal cilindro: dieci pagine, che stende sul tavolo della redazione con mano tesa, con sopra le avventure di un tale che si fa chiamare Pentothal. Fulvia, come viene riportato sempre nel libro di Tony Di Corcia, non nasconde il proprio stupore: “Scrittura e disegni erano meravigliosi, mi catturarono già dalla prima lettura. Una storia vera quanto incredibile di bellezza e contorsioni. Bloccai la stampa di Alter Alter, la testata nata come Alterlinus per un vezzo dell’editorialista Oreste del Buono. Chiesi di sostituire dieci pagine con la storia di Andrea e sul numero di aprile esplose l’avventura di un nuovo autore: giovane, bello, irripetibile”. E così, per 120mila lire a tavola – solo l’artista Hugo Pratt era più pagato di lui nella redazione di Linus – Andrea comincia a raccontare le avventure di un giovane Holden italiano che vive i tumulti di una Bologna ormai a lui cara, ma nella quale sente di non poter capire molte cose.

“Sembra quasi che siano le tavole di Pentothal a poterlo consolare,” dirà il saggista ed esperto di fumetti Luca Raffaelli. Inutile dirlo, era vero: Pentothal è un concentrato di ansie e paranoie inseriti in tavole sublimi. Un matrimonio civile tra forma e contenuto, che nel corso del tempo scoprono di non andare sempre d’accordo, ma di non poter vivere l’una senza l’altro. Gli stili cambiano disegno dopo disegno, così come la capacità narrativa di Andrea. Per un lettore alle prime armi, leggere Pazienza è tutt’altro che semplice. Le straordinarie avventure di Pentothal sono le vicissitudini mentali di un giovane che non può scappare dalla sua realtà: una Bologna dominata dalla rivoluzione del 1977. E della quale, senza vergogna e timore di passare per l’ignorante di turno, capisce poco e si sente sempre in ritardo col tempo che scorre. Incubi dai quali Andrea vuole svegliarsi, incredibili sogni o aneddoti quotidiani che ricalcano fedelmente un piano reale stralunato. Tutto viene visto dagli occhi di Pentothal, assiduo frequentatore della Traumfabrik, un luogo che aveva cambiato l’esistenza del suo autore. Al numero 20 di via Clavature infatti, nella primavera del 1976, l’artista Filippo Scozzari aveva dipinto il portone di rosso, scrivendo a caratteri cubitali “Traumfabrik”, che in tedesco significa “Fabbrica dei sogni”. Una grande casa aperta a tutti. Un’occupazione che oggi chiameremmo “centro sociale”, ma in cui all’epoca la gente credeva davvero, passando intere giornate a lavorare nel tentativo di cambiare la realtà e di fare la cosiddetta “controinformazione”, che si opponeva all’informazione “di regime” della televisione e dei giornali, per primo il Corriere della Sera. Sono gli anni in cui nascono Rosso o Il Manifesto. Alcuni resistono e, per dirla come allora, si imborghesiscono. Altri spariscono, come Lotta Continua. È in questo fermento che Andrea, insieme ai grandi compagni d’avventura dell’epoca, approda in riviste autonome come Il Male, Cannibale, Corto Maltese e Frigidaire. Ed è proprio all’interno della Traumfabrik che realizza Le straordinarie avventure di Pentothal.

L’11 marzo 1977 accade un evento destinato a cambiare la vita di Andrea: alcuni studenti di sinistra irrompono in un’assemblea di Comunione e Liberazione nella sede della Facoltà di Anatomia in via Irnerio. Non ci si ferma agli insulti, si avanza con le botte e con le armi in tutto l’ateneo. E tra Molotov e poliziotti pronti a sparare, il 24enne militante di Lotta Continua, Francesco Lorusso, viene ucciso da un carabiniere in via Mascarella. Per tutti è uno choc, come lo sarà l’invasione dei carri armati di “Cossiga con la K” in via Zamboni per sedare un’autentica rivoluzione. Lo è anche per Andrea, che si precipita nella sede in cui stampano Alter Alter e chiede di sostituire al volo l’ultima pagina delle sue avventure. Era già stata consegnata, ma Paz passa la notte a rivederla tutta, e quello che ne viene fuori si può considerare uno dei momenti più alti della sua carriera: la magnifica tavola di un Andrea-Pentothal con l’occhio sbarrato, appoggiato su se stesso ad ascoltare la radio che invita i compagni studenti a non disperdersi e la voce della sua mente che sovrasta le esplosioni e il panico: “Sono tagliato fuori. Sono completamente tagliato fuori”. Con la descrizione del motivo per cui ha deciso di modificare l’ultima pagina, sorge un nuovo Andrea, onesto con se stesso, coerente con una realtà che dipingeva per sé e senza alcuna pretesa di spiegare o insegnare qualcosa a qualcuno. Ma fa anche di più: rompe la quarta parete, comunica direttamente con i lettori, come nessuno ha mai fatto prima. Non con un tema del genere, non in modo così intimo. Andrea reinventa un espediente artistico destinato a rivoluzionare il mondo del fumetto, dei romanzi e del cinema italiano. Ma non se ne rende nemmeno conto, troppo concentrato a sopravvivere e a produrre tutto ciò che possa farlo stare meglio.

A partire dal 1978 il suo nome viene pronunciato dalle menti più illustri dell’epoca, seguito da un “ho un lavoro per te”. In questo modo, Andrea disegna le copertine per i dischi della PFM, di Claudio Lolli e Roberto Vecchioni. Nel 1980 disegna la locandina del film La città delle donne di Federico Fellini, nel 1983 quella di Novecento, straordinario poema epico-proletario di Bernardo Bertolucci. Come accadrebbe oggi con un talento riconosciuto, chiunque vuole collaborare con lui o avere le sue opere al servizio di questo o quel prodotto. Nessuno osa criticarlo. Ma Andrea sente di avere altro da dire, e capisce che il suo alter ego arrabbiato, triste, confuso e incapace di rapportarsi davvero alla realtà deve evolversi, svegliandosi dalla sua anestesia. È in questo contesto che nasce il personaggio di Zanardi.

Uscito nel 1981 sulla rivista Frigidaire, nato dallo stesso gruppo che aveva fondato Cannibale, Zanardi appare in “Giallo Scolastico”, la prima avventura che vede coinvolto un cinico e arrogante figlio di puttana con qualche sentimento e tanto odio da sputare fuori. “È cattivo come lo può essere un ripetitore Rai,” si dice in una delle celebri battute del fumetto. Zanna fa uso di ogni droga esistente sulla faccia della terra, è spietato e senza scrupoli. Pazienza ci presenta un personaggio che ricalca parte del suo essere e soprattutto la maggior parte della società. Il mito del ’68 è ormai lontano. E nonostante siano passati appena 4 anni dai moti rivoluzionari bolognesi, Zanardi è ciò che l’Italia è: il “noi” lascia il posto a un “io” senza precedenti. Il culto della personalità si dilata ben oltre la politica e abbraccia altri tipi di icone: sport, musica, moda. E soldi. Tanti soldi, che tutti ambiscono a fare e per cui tutti ora vivono. Andrea, che non ha mai pensato al denaro mentre disegnava, sente la necessità di trasporre la sua percezione del reale in un personaggio che ispirerà Gipi, Crepax, Manara, ma anche gli esperti del mondo della comunicazione come Umberto Eco o Jacopo Fo, col quale Andrea collabora alla testata Avaj (nome formato dalle iniziali dei fondatori, tra cui Andrea e Jacopo). Diventa poi insegnante di fumetto alla Libera Università di Alcatraz, fondata da Dario Fo a Santa Cristina di Gubbio. Il suo modo di raccontare e le storie che crea (dallo Zanna a un presidente Pertini caricaturale, da Pentothal alle disavventure di un Pippo della Disney sempre sballato) non passano più inosservate. Negli anni ’80 si assiste al fenomeno della “Milano da bere”, ma anche alla riappacificazione dei rivoluzionari col mondo che li circonda. Andrea no, non farà mai pace con la realtà, ma chi ruota intorno a lui sì. Ed è per questo che il suo genio continua a essere il prediletto di riviste e clip audiovisive. Anche il mondo del cinema non se lo lascia sfuggire: nel 1988 Roberto Benigni lo vuole per la sceneggiatura del film Il piccolo diavolo, mentre il fumettista e amico Sergio Staino lo vuole come attore protagonista per Cavalli si nasce. In questa pellicola avrebbe dovuto interpretare un pittore che prima disegnava scene erotiche sui muri delle chiese, e poi le ricopriva con immagini dei santi. Una commedia abbastanza inusuale, su cui il volto di Pazienza non s’imprime, perché è il suo ultimo anno di vita.

Cominciato nel 1984 e terminato solo tre anni dopo, Pazienza fa pubblicare agli Editori del Glifo i volumi di Pompeo. Fino all’estremo. In quelle tavole, chiamate anche Gli ultimi giorni di Pompeo, Andrea realizza una sorta di testamento biologico di buone e cattive intenzioni. Lascia in eredità al mondo il diario di ciò che era diventato in quegli anni, di come e quanto sentiva pesante il reale sulle sue spalle. In una straziante e stupefacente varietà di stili e intrecci narrativi, Pompeo abbraccia il lettore un’ultima volta, comunicandogli che questa è davvero la fine.

È l’ultimo stadio evolutivo di Pentothal: dopo l’anestesia e l’odio per il mondo, c’è l’accettazione della propria nullità e l’approdo verso il mai creato, e cioè il regno dei morti. Il protagonista guarda un cappio appeso a un albero e dà l’ultimo saluto al lettore, prima di fargli intendere che il suicidio è ormai prossimo. L’opera è dedicata a Marina Comandini, sua moglie: alla fine di Pompeo appare uno straordinario ritratto della donna, a cui si sente in dovere di rivelare certe cose, sfondando di nuovo la quarta parete, per l’ultima volta.

Sono molti, così, i lavori che Andrea lascia incompiuti. Per esempio Astarte, ossia il cane di Annibale che racconta le avventure del suo padrone fino alla morte avvenuta durante la battaglia di Zama. Dieci pagine, oggi edite da Fandango con prefazione di Roberto Saviano. Altre idee rimangono nella mente di un Andrea abbandonato a se stesso, alla droga e a un vuoto che non riesce a colmare. Non ci riesce quando per la casa editrice Comic Art pubblica Cuore di mamma e Cerenentola 80, opere in cui lo stile di Pazienza sembra perdere un po’ di smalto, ma è solo per non incappare nella censura che in quegli anni si era fatta più feroce. Un primo approccio con la strana realtà del bavaglio lo ebbe in forma lieve con Mondo Acido, storia autoconclusiva pubblicata nel 1977 in cui un uomo è in cerca di una dose da iniettarsi. Al termine della storia, l’editore contatta Andrea e gli chiede di spiegare in una tavola aggiuntiva che la storia non è affatto un inno all’eroina. E Andrea, ancora una volta anticipando il marketing che si serve della psicologia inversa e che fa leva sul senso di ribellione per pubblicizzare i suoi prodotti, realizza un disegno d’avanguardia in cui parla a un personaggio immaginario e afferma: “Mi ha appena telefonato l’editore e dice che sembra un inno all’eroina e che se per favore faccio un’altra tavola dove spiego che non lo è, un inno alla droga! Ti rendi conto? Non la farò mai!”

Andrea non si considera un genio, e lo dice apertamente ai suoi lettori, nella pagina conclusiva di Pompeo. Aggiungendo che i ragazzi, da quando vive in campagna, lo chiamano vecchio Paz: “E, faccio per dire, ho ventinove anni.” In quella stessa pagina cita anche Majakovskij, uno dei tanti poeti russi che ama. Sembra un finale quasi randomico, eppure non lo è. C’è tutto Paz, lì dentro. Andrea lascia in eredità un’influenza senza precedenti nel modo di raccontare le cose e di vivere la vita. Umberto Eco, nel 1992, paragonerà le opere di Pazienza all’espressionismo di Louis-Ferdinand Céline. L’intero mondo dell’arte, a 30 anni di distanza, oggi lo piange. Ma è giusto ricordare Pazienza anche per certi quadri, fumetti o film che da Pazienza sono stati influenzati, attingendo la visione onirica, il nichilismo, la vitalità, l’umorismo e la libertà di essere crudi e reali.

Andrea sulla Terra è stato come quel gigantesco ciclone blu che trapana il volto di Pompeo in uno dei suoi deliri. Con i suoi lavori ha lasciato un segno indelebile e dopo il suo passaggio niente è stato più come prima.

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