Ora che tutto il mondo è alle prese con la pandemia da coronavirus, mentre istituti di ricerca e università sono al lavoro su un vaccino, i potenti non si fanno remore a sfruttare la scienza per il proprio tornaconto. Ma fare un uso strumentale della medicina è rischioso, in primo luogo sul piano della salute pubblica e forzare gli scienziati ad accelerare i tempi, magari facendo approvare un vaccino che non ha ancora superato tutti gli step necessari, potrebbe essere molto rischioso e prestare il fianco alle battaglie dei novax, le cui fila negli ultimi anni sembrano essersi ingrossate. Dovrebbe essere la politica a seguire le sue indicazioni della scienza, e non viceversa. Trump – ma non solo – però non l’ha capito e questo è un grosso problema.
Ad agosto Vladimir Putin, pur di stuzzicare il nazionalismo dei suoi sostenitori e presentarsi al mondo come il primo a essere giunto alla soluzione, per dimostrare la superiorità del proprio Paese, ha annunciato – suscitando le preoccupazioni degli esperti – che la Russia ha registrato il primo vaccino anti-covid al mondo. Si tratterebbe di uno dei due vaccini a firma russa in corso di sperimentazione da fine luglio: nello specifico quello dell’Istituto nazionale di epidemiologia e microbiologia Nikolai Gamaleya di Mosca, che avrebbe ottenuto in agosto l’autorizzazione del ministero della Salute. Per dimostrarne la sicurezza – su cui le autorità russe non hanno diffuso alcun dato a supporto – Putin ha detto di averlo fatto somministrare anche a una delle sue figlie. Anzi, c’è il sospetto che l’ultima fase di sperimentazione sia stata accelerata a tutti i costi, con conseguenti rischi in rapporto a una vaccinazione di massa, programmata in Russia per ottobre. Nella gara da Guerra Fredda dei due potenti, Trump, che pare aver superato la fase negazionista, ha risposto alla notizia sostenendo che gli Stati Uniti sono a loro volta prossimi all’approvazione di un vaccino.
Così la vaccinazione anti-Covid-19 è subito diventata un mezzo di propaganda per i maggiori leader mondiali che, dopo aver lasciato esplodere l’epidemia nei loro Paesi, ora improvvisamente si interessano alla salute dei cittadini. A costo di metterla a rischio, come può accadere se si forzano i tempi di una sperimentazione tanto delicata. Dopo essersi dichiarato ottimista sulla possibilità di avere un vaccino funzionante e disponibile entro il 3 novembre, infatti, Trump ha avvertito gli stati americani di prepararsi a distribuirlo a inizio novembre, dopo che, il 22 agosto, con un post su Twitter aveva accusato il presunto deep state della Food and Drug Administration (Fda) di rallentare di proposito i test, rendendo difficile l’arruolamento dei volontari da testare. Da parte sua, il direttore del Center for Biologics Evaluation and Research della Fda, Peter Marks, ha affermato che si dimetterà se il governo approverà il vaccino prima che i test abbiano dimostrato che sia sicuro ed efficace.
Intanto, però, sembra essersi innescata una “gara” planetaria, da cui l’Unione europea non si sottrae. Anche il vaccino Oxford-Pomezia della AstraZeneca, infatti, ha accelerato i tempi, ipotizzando una deadline proprio a novembre. La svolta è resa possibile da una clausola della Commissione europea nel contratto con i produttori, che prevede un indennizzo a copertura di eventuali responsabilità civili. L’emergenzialità della situazione ha reso necessario, infatti, non solo un grande sforzo da parte degli scienziati, ma anche piccole eccezioni rispetto alle normali procedure di approvazione. Il ministro della Salute Roberto Speranza ha dichiarato, più cautamente, che “Se dovesse andar bene, le prime dosi ci saranno consegnate già alla fine dell’anno”. Non si esclude, cioè, che novembre sia una data realistica, per quanto frutto di una dichiarata compressione delle tempistiche delle fasi: l’importante è che a dirlo siano i dati e gli scienziati che li analizzano, non gli scopi propagandistici.
Negli Stati Uniti, invece, al momento sono due i vaccini in fase tre di sperimentazione negli Stati Uniti, quelli a firma di Moderna e Pfizer/BioNTech, mentre altri due dovrebbero iniziare la terza fase a metà settembre. Ora aumentano i timori che il presidente possa fare pressioni sulla Fda perché approvi il vaccino prima del voto, anche prima che ne siano dimostrate efficacia e sicurezza. Se questo succederà, probabilmente, diversi esperti preoccupati chiederanno spiegazioni e dati trasparenti. Tra loro, sembrava esserci anche il direttore del National Institute of Allergies and Infectious Diseases e membro della task force della Casa Bianca sul Coronavirus Anthony Fauci, che con Trump ha avuto diverse divergenze in questi mesi, ma che ora sembra essere più fiducioso. Pensa, invece, che il vaccino non sarà disponibile prima del 2021 il dottor Peter Hotez del Baylor College of Medicine, per il quale si avrà un’idea del suo effettivo funzionamento per l’Inauguration Day, cioè il giorno in cui il presidente degli Stati Uniti si insedia al governo, il 20 gennaio, e non per l’Election Day. Moderna, infatti, sta ancora convocando i volontari (che in totale saranno 30mila) per la terza e più massiccia fase di sperimentazioni; dopo la prima iniezione devono infatti passare 28 giorni prima di somministrare la seconda dose e così, per chi ha ricevuto la prima a fine settembre, si arriverebbe a fine ottobre. Ci vorranno poi altre due settimane perché la vaccinazione risulti attiva, e poi proseguiranno i monitoraggi per verificare che i vaccinati non contraggano effettivamente il Covid.
In questo contesto hanno (immotivatamente) suscitato scalpore – e sono state prontamente strumentalizzate – le parole del dottor Stephen Hahn, commissario della Fda, per il quale si potrebbe considerare di dare il via libera al vaccino anti-Covid-19 prima che la fase 3 dei test finisca. Questa sarebbe un’autorizzazione d’emergenza che, ha spiegato l’esperto, non è una piena approvazione, ma una via da valutare nel contesto di un’emergenza sanitaria e da attuare solo se i dati raccolti sono sufficienti a confermare l’efficacia e la sicurezza della somministrazione. Hahn ha ribadito che il via libera precoce è solo un’eventualità e che in ogni caso le decisioni della Fda in merito al vaccino si baseranno sui dati scientifici, sottolineando che “Sarà una decisione dettata da scienza, medicina e dati. Non sarà una decisione politica”.
Perché un vaccino sia approvato, infatti, devono essere raccolti dati a sufficienza attraverso i test clinici per dimostrare che è sicuro e che protegge dalla malattia; dopo la raccolta dei dati, le analisi degli esperti della Fda possono durare mesi. La possibilità che nel caso del vaccino americano i tempi si accorcino sta nel fatto che, visto l’ampio numero di volontari arruolati per le sperimentazioni, potrebbero esserci dati sufficienti anche prima che le dosi sperimentali siano somministrate a tutti i 30mila individui previsti. A vigilare, comunque, sarà il Data Safety Monitoring Board, un organo indipendente che dirà se il vaccino funziona o no e se i dati raccolti bastano e, ancora, che potrà fermare tutto in caso di reazioni avverse al vaccino.
L’autorizzazione per l’uso d’emergenza è una via decisamente più rapida, ma forzare i tempi è un rischio. Negli anni Cinquanta, ad esempio, fu distribuita per errore una partita di vaccino anti-poliomielite prodotto dalla Cutter Labs contenente dei ceppi attivi di virus: su 200mila bambini a cui era stata somministrata, si ammalarono in 40mila, di cui 200 rimasero paralizzati e alcuni morirono. All’epoca, siccome le malattie endemiche anche nel mondo occidentale facevano ancora paura, quando il piano di vaccinazioni contro la polio riprese in sicurezza i genitori si presentarono comunque in massa per assicurarsene una dose per i propri figli; oggi, però, complici le bufale che girano sui social, un rigurgito di ignoranza complottista e una certa mancanza di fiducia nei confronti dei governi (questa spesso, purtroppo, motivata), gli errori vanno a ingrossare le fila dei novax, convinti che i vaccini siano uno strumento dei poteri forti e di Big Pharma.
Ecco perché il dottor Howard Markel, pediatra, docente e direttore del Center for the History of Medicine all’Università del Michigan, ha commentato senza mezzi termini le affermazioni del presidente americano sulla certezza di un vaccino disponibile entro inizio novembre: “È una delle cose più ridicole che io abbia sentito affermare da parte di questo governo. Tutto quel che serve è un effetto collaterale forte per mandare all’aria un programma vaccinale di cui abbiamo disperatamente bisogno. È la ricetta per il disastro”. Lo è per diversi aspetti: da un lato il vaccino potrebbe non essere completamente efficace e allora le persone, protette da un illusorio senso di sicurezza, si esporranno al rischio di ammalarsi e dall’altro potrebbe non essere sicuro e comportare problemi per la salute. Allora, oltre a danneggiare i cittadini a cui è stato somministrato, colpirà la fiducia nella scienza e questo è altrettanto pericoloso.