Gli Stati Uniti stanno inanellando una serie di gravi record sulla pandemia, con i contagi che accelerano in 39 Stati federali su 50, come riporta la mappa in costante aggiornamento del National geographic. Negli ultimi giorni i bilanci sono tornati a registrare quasi mille morti al giorno, mentre il 17 luglio i contagi quotidiani (a metà giugno scesi a circa 25 mila) sono triplicati con quasi 75mila nuovi positivi, secondo i dati del Dipartimento statunitense della Salute: un numero enorme, come il totale degli oltre 3,6 milioni di casi e oltre 140mila morti statunitensi per Covid-19. Nel Paese la situazione non era così grave dall’inizio dell’emergenza sanitaria: in primavera, quando si superarono i 43mila contagi al giorno, a vivere il picco fu in larga parte lo Stato di New York, fermo e in quarantena per più di due mesi. Ma se per adesso i newyorkesi sembrano essersi lasciati il peggio alle spalle, per decine di altri Stati il momento critico inizia ora: un crescendo molto pericoloso, che coinvolge contemporaneamente diversi territori (Florida, Texas, California, Arizona e Giorgia hanno gli andamenti più preoccupanti) e che Donald Trump avrebbe potuto scongiurare imparando la lezione di New York, ascoltando gli esperti o guardando cosa già accaduto in Europa e ancora prima in Asia.
Il trend di queste settimane è il risultato di una serie di scelte sbagliate fatte o avallate dal presidente sin da marzo, quando tardò ad agire. Già all’inizio di maggio 49 governatori su 50, sia repubblicani che democratici (ovvero tutti a esclusione del governatore democratico di New York, Andrew Cuomo), decisero poi di far ripartire troppo presto e male – senza regolamenti e protocolli di sicurezza omogenei – le attività economiche e commerciali, dopo averle chiuse o ridotte soltanto per alcune settimane. L’immunologo Anthony Fauci, dal 1984 direttore dell’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive (Niaid) del Dipartimento alla Salute e consigliere di sei presidenti, aveva ben chiaro gli effetti di queste riaperture premature, ricordando che “La curva dell’epidemia negli Usa non aveva ancora iniziato ad abbassarsi, ma si era solo livellata”. In un’audizione al Senato nel mese di maggio, aveva già messo in guardia i governatori da mosse affrettate che potevano condurre a “riesplosioni multiple” di “un’epidemia non più in grado poi di essere controllata”. “Sofferenze e morti che potrebbero essere evitate”, sottolineò Fauci, “e che ci allontanerebbero anche dalla strada della ripresa economica”.
Dalla primavera il capo della task force della Casa Bianca sul Covid-19, considerato tra i massimi esperti mondiali di malattie infettive e dei sistemi immunitari, si è scontrato con Trump, convinto di dover far riprendere a galoppare le attività e gli affari ai primi segnali di regressione dei contagi. Ora Fauci racconta di non vedere più Trump dal 18 maggio e conferma che l’andamento del Covid-19 è “fuori controllo”,e che negli Stati Uniti potrebbero “essere raggiunti più di 100 mila casi al giorno”: una situazione talmente critica che in California sono stati richiusi i locali e i cinema non all’aperto, e 18 Stati sono ormai dichiarati “zone rosse”. Il paradosso è che Trump, di fronte a questo quadro, a scopo propagandistico e per favorire ancora il mondo produttivo, preme più che mai l’acceleratore sul tema della ripartenza nazionale, sostenendo che i morti per Covid-19 siano “in discesa” e che con “meno tamponi si avrebbero meno contagi”. Alla popolare Fox News il presidente ha confermato di voler “riaprire tutte le scuole, il prima possibile”, minacciando di tagliare i fondi per l’istruzione a Stati come la California che, per ragioni di sicurezza, non si adegueranno al suo ordine, proseguendo nella didattica a distanza.
In Texas si scoprono in questi giorni centinaia di bambini positivi negli asili, 85 di loro appena neonati. Eppure, nonostante le raccomandazioni della task force di Fauci e delle Agenzie per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) del Dipartimento della Salute sull’obbligo delle mascherine nei luoghi chiusi, non è stato stilato un protocollo nazionale di sicurezza per le scuole: Trump resta “contrario a prescrizioni nazionali” sulle mascherine e intende “lasciare una certa libertà alla gente […] e ai governatori”. Proprio per non chiudere tutto, assecondando le pressioni delle corporation e della grande finanza contro i lockdown, già a marzo Trump ha preferito non esercitare i pieni poteri, come lecito per il presidente in caso di guerre o di situazioni eccezionali come le pandemie. Trump ha invece lasciato ai singoli Stati il compito di salvaguardare la sicurezza, come previsto dal dettato costituzionale. Il presidente però si ricorda della prerogativa dei “pieni poteri” solo quando alcuni governatori o gli esperti lo frenano sulla piena ripartenza visto l’andamento negativo delle infezioni. Tutto per lui si riduce alla difesa degli interessi privati e, in questi mesi, a riguadagnare consensi per le presidenziali del 3 novembre 2020. Gli ultimi sondaggi lo danno in netto calo al 37%, indietro di 15 punti percentuali (6 in più che a giugno, secondo l’ultima rilevazione della Quinnipiac University) rispetto allo sfidante democratico Joe Biden (al 52%).
Di fronte a questa impellenza Trump si aggrappa ai successi economici (+2,1% del Pil a fine 2019) e dei mercati finanziari, stimolati dalla sua amministrazione prima della pandemia. Alla popolazione sempre più insofferente, danneggiata dal lockdown, offre il contentino di un andamento per ora meno negativo del previsto sulla disoccupazione (al 13,3% il maggio scorso) nonostante la grave crisi, proprio per effetto delle riaperture anticipate negli Stati e della liquidità a fondo perduto iniettata nel mese di aprile con gli aiuti del Cares Act alle aziende e ai cittadini attraverso l’helicopter money: oltre duemila miliardi per tamponare le ripercussioni immediate della crisi. Il passo successivo, adesso, è spingere la piena ripartenza nell’estate, con altri stimoli alla crescita nei mesi cruciali a ridosso del voto. Al Congresso è in discussione un quinto pacchetto di misure di rilancio e le scuole devono riaprire “completamente” perché per Trump gli statunitensi devono rientrare al lavoro.
Quella in discussione sarebbe una leva di incentivi perfetta, se il Paese non si trovasse nel pieno di una pandemia fuori controllo. Il punto è che Trump non ha mai risolto alla radice l’emergenza sanitaria perché ha sbagliato i tempi delle chiusure e delle riaperture. Intanto l’andamento economico, al di là della perdita finora contenuta di posti di lavoro, resta molto incerto e nel complesso in contrazione, sia per la produttività rallentata, sia per il calo inevitabile nei consumi a maggio e giugno. Un esempio calzante del suo agire miope, sbrigativo e spesso dannoso è l’uso distorto del Defense Production Act (Dpa), la legge federale che dal 1950 permette alla Casa Bianca di mobilitare l’industria privata per guerre o altre eccezionali emergenze, riconvertendone la produzione per beni essenziali o diventati indispensabili per la collettività, come il materiale sanitario. Trump ha invocato il Dpa già a marzo, temporeggiando però settimane nell’applicarlo per non toccare gli interessi delle grandi società, con il risultato che la produzione di respiratori e altri strumenti salvavita è stata limitata e inefficace.
Quando però il comparto della carne, in mano negli Stati Uniti a sei multinazionali, è rimasto bloccato a causa dei grandi focolai del virus esplosi nei mattatoi (a luglio oltre 33.500 addetti positivi in 363 impianti, 133 dei quali morti, secondo il monitoraggio del Midwest Center for Investigative Reporting), il presidente non ha esitato a far scattare il Defense Production Act per “non fermare un’infrastruttura cruciale”, ha affermato – senza tuttavia obbligarla a mettere in sicurezza i lavoratori, contagiati a catena nei macelli proprio per il sovraffollamento. Gli impianti di lavorazione della carne sono rimasti aperti in pessime condizioni igieniche, amplificando i focolai. Trump ha giustificato questo impiego del Dpa a beneficio dei privati – e contro il bene pubblico – perché nella filiera della carne “si era creato un collo di bottiglia” che danneggiava la produzione. E così che concepisce probabilmente anche il Covid-19: un intralcio alle sue ambizioni e al mondo degli affari che da sempre rappresenta.
Ma spacciare all’opinione pubblica la prospettiva di una forte ripresa a breve termine, come fa Trump ridicolizzando e sfidando gli scienziati, è una follia. Pensare di rimuovere la pandemia come se i virus scomparissero a comando avrà per la salute pubblica lo stesso effetto moltiplicatore già visto nei mattatoi dove il Covid-19 è stato lasciato libero di proliferare: la seconda ondata che vivono in Asia Paesi come l’Iran, l’Iraq e Israele per aver allentato troppo presto le restrizioni si sta rivelando peggiore della prima. Anche le scuole e altri luoghi di lavoro diventeranno acceleratori del contagio e per decine di Stati americani sarebbe l’inizio di una situazione ingestibile: già in questi giorni in Florida i posti letto nelle terapie intensive si stanno esaurendo, mentre Texas e Arizona preparano camion e apparecchi refrigeranti per le salme. Se i governatori non si ribelleranno, con le sue politiche sconsiderate Trump li trascinerà verso la una nuova Grande depressione economica, con effetti potenzialmente devastanti tanto per gli Stati Uniti quanto per il resto del mondo.