La cultura patriarcale, in Italia, è tutt’altro che sconfitta. E mai come oggi serve combatterla. - THE VISION

Secondo il ministro Valditara, in Italia non c’è più il patriarcato dal 1975, anno della riforma del diritto di famiglia. Lo ha dichiarato durante il discorso – preregistrato – diffuso in occasione della giornata inaugurale della fondazione Giulia Cecchettin, uccisa dall’ex fidanzato l’11 novembre dello scorso anno. La fondazione, i cui obiettivi sono educare all’affettività e sensibilizzare tutti – le nuove generazioni in primis – al rispetto all’interno delle relazioni e alla parità di genere, è stata presentata alla Camera dei Deputati dal padre della ragazza. Anche in questo caso, il ministro dell’Istruzione e del Merito non ha mancato di pronunciare frasi inopportune per il contesto in cui sono state diffuse, affrontando il tema della cultura patriarcale in modo semplicistico e strumentalizzando argomenti che poco avevano a che fare con il caso Cecchettin. 

Dire che, nel nostro Paese, il patriarcato non esiste dal 1975, è estremamente riduttivo, ma soprattutto inadeguato alla circostanza; la realtà culturale infatti è la stessa che si tira in ballo ogni volta che si parla di discriminazione e disparità di genere, e va ben oltre le leggi che regolano la “famiglia giuridica”. Dire che patriarcato e cultura maschilista sono due concetti da non sovrapporre né confondere, fa parte di quella miopia e tendenza a mistificare con cui, ancora oggi, si invalida o minimizza tutto ciò che si fa – e o si prova a fare – per le donne del nostro Paese, per la loro sicurezza e più in generale per garantire loro una vita scevra da discriminazioni di ogni tipo.

Ma proprio quel ministro che è d’accordo a sottrarre, ancora una volta, ingenti risorse alla scuola pubblica – quell’istituzione che dovrebbe potersi occupare di sradicare i retaggi culturali misogini, e che invece si ritrova in condizioni sempre più critiche – è lo stesso che, a proposito della fondazione Cecchettin, risolve la questione dicendo che il patriarcato è ormai lontano anni luce, e che, se in Italia abbiamo un femminicidio ogni tre giorni, è in buona parte colpa degli immigrati. E questo non è tollerabile.

Si potrebbe fare un rapido excursus che rivela quanto ciò che ha detto il ministro sia fuorviante. Nel 1975, anno che secondo Valditara ha sradicato il patriarcato dal nostro Paese, Rosaria Lopez e Donatella Colasanti restavano vittime di quello che tutti ricordiamo come il “massacro del Circeo”. In quegli anni, e in quelli a venire, le vittime di violenza che decidevano di denunciare, venivano incalzate da chi le interrogava con domande mortificanti: “Ha provato piacere durante l’aggressione? È rimasta passiva o a un certo punto ha partecipato? Ha raggiunto l’orgasmo? Se sì, quante volte?”. In Italia, la violenza sessuale è stata un reato contro la morale, e non contro la persona, fino al 1996. E ancora oggi, c’è chi crede che una donna che va in giro la sera fino a tardi, che indossa abiti corti o scollati, sia responsabile di aver provocato l’uomo che l’ha stuprata, di essersela andata a cercare.

Donatella Colasanti

Solo nel 1981 è stato abolito dal nostro codice penale – insieme al delitto d’onore – il matrimonio riparatore: quando, secondo Valditara, il patriarcato era già roba vecchia, le vittime di stupro venivano indotte a sposare il proprio aguzzino, per recuperare un’“integrità” altrimenti perduta. E ancora oggi – ed è solo un altro dei tanti esempi che potrebbero farsi – molti uomini ritengono di poter e dover avere voce in capitolo su scelte che riguardano il corpo della donna, come l’aborto; a tutti sarà capitato di assistere a un talk, in tv, in cui un nugolo di soli uomini viene invitato a dibattere su questioni che attengono alla sfera della sessualità femminile e, appunto, al corpo della donna. L’uomo, in Italia, continua ad avere il diritto – spesso prioritario – di esprimere giudizi morali su una grandissima quantità di scelte che sono chiamate a fare le donne, dalla gestione della propria vita sessuale alla maternità. Questo è il prodotto di quell’antico patriarcato che ancora oggi ha una portata culturale di cui bisogna continuare a parlare ma di cui, purtroppo, parlare e basta non è più sufficiente. 

Il patriarcato infatti non ha a che fare soltanto con il controllo esclusivo dell’autorità domestica, ma è un sistema complesso in cui gli uomini predominano su questioni che spaziano dall’ambito etico a quello economico; in cui un sostrato socio-culturale, fatto anche di stereotipi radicati, non consente alle donne la stessa libertà di affermare la propria identità, in moltissimi ambiti che esulano dalla “famiglia giuridica”. Parlare della piaga del femminicidio traendo conclusioni tanto riduttive è, mai come oggi, dannoso. Tirare in ballo il fenomeno dell’immigrazione – come ha fatto Valditara – per una questione che è innanzitutto il prodotto di stilemi culturali tutti italiani, lo è ancora di più. Il problema è che, quando Valditara tira fuori il tema dei migranti durante la cerimonia inaugurale della fondazione Cecchettin, uccisa da un giovane italianissimo, lo fa senza preoccuparsi di andare del tutto fuori tema, di strumentalizzare una questione che con quel femminicidio – e con moltissimi altri commessi nel nostro Paese – non c’entra assolutamente nulla.

È molto probabile che Valditara pensi che quella strumentalizzazione possa giovargli, che gli garantirà favore e simpatie di quella fetta di italiani che non vuole guardare la realtà per com’è; a cui fa comodo pensare che sono “gli altri” a portarci dentro il male, che è lo straniero il cattivo della storia, che il fenomeno della violenza di genere non ci riguarda da un punto di vista culturale, ma che la subiamo da chi viene a stare irregolarmente a casa nostra. Va sottolineato che molti dei nostri attuali ministri, da quello delle Infrastrutture e Trasporti e a quello dell’Istruzione e del Merito, tirano in ballo il tema dei migranti irregolari anche quando poco o nulla c’entra con le questioni interne ai loro ministeri. Verrebbe da chiedersi con chi lamentino la piaga dell’irregolarità di questi migranti, posto che al governo ci sono da più di due anni ma, a giudicare dalle loro parole, il problema non è ancora stato risolto.

Ma tutto questo, lo ripetiamo, con l’omicidio Cecchettin non c’entrava nulla. Nel 2022, l’Istat ha certificato che le donne italiane assassinate sono state, al 93,9%, uccise da uomini italiani. Nel 2023, sono state uccise 96 donne, e in oltre metà dei casi l’assassino è il partner o l’ex. Tutti dovremmo avere gli strumenti, cognitivi e culturali, per comprendere che ciò che ha detto il ministro è pericoloso e fuorviante. Eppure si ha la sensazione che ben presto saremo così intellettualmente e cognitivamente poveri da non essere capaci neppure di cogliere lo scarto tra un’argomentazione pertinente e una pretestuosa.

In Italia si continuano a progettare tagli indecorosi ai settori che, soli, dovrebbero occuparsi di formare il pensiero critico dei cittadini, in primis delle nuove generazioni. Ma alla scuola pubblica, prima istituzione cui è demandato questo compito, vengono continuamente sottratte forze e risorse; e un Paese in cui la scuola pubblica viene resa inerme, i cittadini sono e saranno inermi dinnanzi al futuro. Smetteranno di essere in grado di comprendere le parole e i discorsi degli altri, di coglierne i sottotesti, anche strumentali; il loro vocabolario sarà sempre più povero, la voglia di allenare il pensiero critico, di sapere, di andare oltre la patina delle cose, sarà sempre più annichilita da lavoro incessante e prestazioni continue; stremata dal consumo di sensazioni fittizie; piegata da un aumento di tasse e spese che non ha limiti.

In questo abisso di stanchezza e impoverimento culturale, mistificazione della realtà da parte della nostra classe dirigente, e strumentalizzazione di fatti e argomenti a scopo di pseudo propaganda, è importante mantenersi lucidi e attenti, e non smettere di riportare il focus su quegli aspetti della nostra cultura e di una società che, ancora oggi, penalizzano enormemente le donne. Patriarcato, maschilismo e cultura misogina sono concetti tra loro inscindibili, a lungo vessilli di una società che oggi ha fatto qualche piccolissimo passo avanti nella direzione della parità di genere, e che ciononostante costringe ancora le donne a vivere condizioni mortificanti in vari ambiti e, nei casi più gravi, le abbandona in situazioni di serio pericolo.

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