Per chi è nato dopo la caduta del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica l’idea di una guerra in Europa è qualcosa di remoto, lontano dalla realtà. Una convinzione che la tensione al confine tra Russia e Ucraina sembra smentire. Nel corso del 2021, la Federazione russa ha progressivamente schierato oltre centomila soldati lungo il confine orientale dell’Ucraina, in quella che è stata inizialmente giustificata dal Cremlino come una precauzione data dalla crescente collaborazione del governo di Kiev con la Nato. Negli ultimi due mesi la situazione è degenerata in una sorta di stallo alla messicana tra la Russia, i Paesi membri della Nato e – suo malgrado – l’Ucraina stessa.
Per il momento, il Presidente russo Vladimir Putin ha negato che la presenza di truppe preluda a un attacco e ha invece accusato la Nato di un’aggressiva politica di espansione militare a est a danno della Russia. Quali che fossero le sue intenzioni iniziali, Putin sembra essere riuscito, almeno per ora, a far riacquistare al suo Paese lo status di superpotenza perduto con il crollo dell’Unione sovietica. Le prime settimane del 2022, infatti, sono state caratterizzate da numerosi incontri ufficiali tra i rappresentanti della Russia e della Nato – in quello che molti hanno descritto come un ritorno a un clima simile a quello della Guerra Fredda.
Conscio del rinnovato interesse della comunità internazionale per il suo Paese, Putin ha portato con sé fin dal primo incontro una serie di richieste indirizzate all’Occidente – che tuttavia sembrano pensate apposta per essere rifiutate. Nelle parole di Shashank Joshi, defense editor del magazine The Economist, a prima vista la bozza del documento proposto dal governo russo sembra “Il tipo di resa incondizionata che Bismarck o un qualche statista del Diciannovesimo secolo avrebbero potuto imporre a un nemico sconfitto sul campo di battaglia.”
In primo luogo, si chiede alla Nato di bloccare ogni tipo di cooperazione militare o politica sia con l’Ucraina che con gli altri Paesi dell’ex blocco sovietico che ancora aspirano a entrare nella Nato, come la Georgia. La Russia esige inoltre che la Nato cessi qualunque tipo di espansione verso est con l’adesione di nuovi membri e che rimuova tutte le armi nucleari statunitensi a medio e corto raggio ancora presenti sul suolo europeo.
Di fatto, quello che il governo russo sta chiedendo è una sfera di influenza che vada dall’est Europa al Caucaso e fino all’Asia centrale – assieme a un vero e proprio ritorno allo status quo di trent’anni fa. Almeno per ora, Putin non ha offerto nulla in cambio di queste condizioni. Il messaggio implicito, tuttavia, sembra essere che fino a quando non avrà ottenuto qualcosa di significativo, continuerà a tenere in ostaggio l’Ucraina con le sue truppe dislocate al confine.
Per gli ucraini questa non è affatto una novità: gli eventi degli ultimi mesi sono infatti in linea con la lunga escalation militare con cui il Paese convive dal 2014 – l’anno dell’invasione della Crimea da parte della Russia e della guerra civile tra forze ucraine e separatisti filorussi nella regione del Donbass.
Tuttavia, l’Ucraina non è l’unica tra le nazioni post-sovietiche ad aver subito negli anni, in modo diretto o indiretto, una crescente ingerenza russa nella sua vita politica e sociale. Tale senso di pericolo imminente è condiviso infatti anche da Paesi che sono già membri della Nato e dell’Unione europea da diversi anni, come Estonia, Lituania e Lettonia. L’ossessione di Mosca per queste nazioni indipendenti sembra quindi andare oltre la semplice preoccupazione di un’ulteriore espansione occidentale verso est, ed è rintracciabile nella situazione geopolitica che vige in Europa dalla fine della Guerra Fredda.
Il crollo politico ed economico dell’Unione Sovietica nel 1991 ha infatti portato all’indipendenza di una serie di Paesi e territori che fino al giorno prima avevano fatto parte della sfera d’influenza di Mosca. Queste nazioni, si sono di nuovo trovate nella posizione di mantenere un rapporto di collaborazione autonomo con l’Occidente – con aspetti che non riguardavano solo l’accesso al libero mercato. Dal punto di vista militare, la Guerra fredda aveva visto contrapposta alla Nato il Patto di Varsavia, un’alleanza militare a scopo difensivo che comprendeva i Paesi dell’Europa centrale e dell’est allineati con l’Unione Sovietica. Con la fine dell’Urss e delle ostilità tra est e ovest anche il Patto non aveva più ragione di esistere. Tuttavia, mentre l’alleanza tra gli ex stati comunisti andava dissolvendosi, la Nato ha rafforzato le sue posizioni in Europa con l’adesione di diversi nuovi Stati.
Questo costituisce per la nuova Russia una ragione di forte preoccupazione, in quanto sia le ex repubbliche sovietiche che gli ex Stati membri del Patto di Varsavia hanno presto cominciato a esprimere il desiderio di entrare a far parte della Nato. In alcuni casi, l’intenzione era addirittura dichiarata nel testo delle loro costituzioni appena redatte. Il primo segnale di questo nuovo corso è arrivato nel 1994, quando il neo eletto primo Presidente della Lituania, in modo poco ortodosso, ha inviato una formale richiesta di ingresso proprio al quartier generale della Nato a Bruxelles.
A quella lituana erano poi seguite le domande di ammissione delle altre neonate repubbliche Baltiche, in un processo coadiuvato dall’esterno anche da Paesi che erano già membri dell’alleanza, come la Danimarca. Negli anni successivi hanno fatto seguito le adesioni di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e le richieste in sospeso di Georgia e Ucraina.
Secondo Paul Poast, professore associato al Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Chicago, proprio la decisione di queste ex repubbliche di entrare nella Nato – e la prospettiva che altre ne seguissero l’esempio – sarebbe infatti alla base sia della successiva guerra dell’Ossezia del Sud, regione della Georgia al confine con la Russia, nel 2008 che dell’occupazione della Crimea e successiva annessione da parte della Russia nel 2014. In entrambi i casi, sia la Georgia che l’Ucraina avevano mostrato il loro interesse per una futura adesione alla Nato e all’Unione europea – cosa che nel caso della Georgia era ormai vicina alla realizzazione, grazie a una serie di riforme economiche e democratiche in atto nel Paese.
Per Putin, questa continua lotta per l’anima dell’est Europa ha certamente un ritorno nella politica interna russa. In parte, la sua opposizione alla Nato e all’Occidente funziona come un perfetto strumento di propaganda, con un nemico oltre i confini che giustifica il perenne stato di mobilitazione militare e autoritarismo a cui costringe la società civile russa. Putin nel corso degli ultimi due decenni ha anche creato in patria un culto della nazione e del destino della Russia in Europa. L’Ucraina, in quest’ottica, non è quindi solo una nazione satellite da strappare all’influenza di Bruxelles e Washington, ma è anche parte di un più grande progetto di riunificazione del popolo russo in senso etnonazionalista.
Entrambe queste posizioni sono molto forzate se non infondate. Ucraina e Russia hanno una storia condivisa relativamente recente e hanno passato la maggior parte della loro esistenza come entità indipendenti l’una dall’altra. Allo stesso tempo, insinuare che la Nato abbia “circondato” la Russia è molto lontano dalla realtà. Tuttavia, esiste comunque un elemento di verità nella paranoia del Cremlino, ed è rappresentata dal fatto che avere una nazione come l’Ucraina come vicino di casa pone il popolo russo nella condizione di poter comparare la propria vita nel regime di Putin con quella in una nazione democratica – pur con mille difficoltà e ombre – e filoccidentale. Questo, il Presidente russo, non può permetterlo.
Il punto però è che queste decisioni non riguardano i capricci di un autocrate o il bisogno di espansione delle nazioni occidentali. I veri protagonisti della storia recente dell’est Europa sono i popoli che la abitano e che fin dal 1991 non hanno fatto altro che chiedere di poter scegliere di quale comunità fare parte. È inoltre innegabile che per vent’anni anni la Nato abbia fornito a queste nazioni indipendenti protezione e sicurezza, così come l’Unione europea ha avuto un ruolo di rilievo nel promuovere le riforme politiche ed economiche che hanno portato il benessere e la stabilità nell’est Europa. Ma la questione più importante è che si è trattato in entrambi i casi di una scelta che hanno compiuto autonomamente.
Per questo, il rischio di un’altra aggressione russa all’Ucraina non ha a che fare con una semplice disputa territoriale, ma con il diritto delle nazioni di poter decidere il proprio futuro. Un punto su cui Vladimir Putin non potrà mai essere d’accordo.