Il 31 marzo scorso si è celebrato l’International transgender day of visibility (Tdov), la Giornata internazionale della visibilità transgender, ricorrenza istituita nel 2009 per sensibilizzare contro le discriminazioni subite dalla comunità trans e amplificare la voce di chi ne fa parte per diffondere una corretta rappresentazione che compensi decenni di stereotipi e pregiudizi. Quest’anno la celebrazione è coincisa in Italia con la mancata calendarizzazione del ddl Zan – la legge contro l’omolesbobitransfobia, la misoginia e l’abilismo – da parte del presidente leghista della commissione Giustizia al Senato Andrea Ostellari, oggi nuovamente rimandata e affidata nelle mani della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Intanto in Ungheria e Polonia la discriminazione nei confronti di chiunque non sia un etero cisgender è sempre più massiccia e istituzionalizzata, in alcuni Stati degli Stati Uniti è in corso il tentativo di introdurre il divieto per le persone trans di partecipare alle competizioni sportive, e in molte parti del mondo i diritti della comunità LGBTQ+ sono sotto attacco. Come ha evidenziato Rachel Crandall-Crocker, la psicoterapeuta fondatrice del Tdov, “la visibilità è spesso una lama a doppio taglio” per le comunità marginalizzate, perché una maggiore esposizione contribuisce ad aumentare i casi di violenza.
L’ultima deriva transfobica arriva ora direttamente da TikTok, dove il 21 febbraio l’utente Kyle Royce ha postato un video con oltre 2 milioni di like, poi eliminato e caricato su YouTube, in cui dichiarava di identificarsi come “super-straight”, cioè super-etero. “Ho creato il termine perché ero stanco di essere etichettato in maniera negativa per avere una preferenza, qualcosa che non posso controllare, ed essere additato da una comunità che predica l’accettazione di questo genere di cose”, ha detto Royce, riferendosi alle critiche di chi lo definisce transfobico per la sua volontà di non uscire con donne trans, ma solo con “donne che sono tali dalla nascita”.
L’hashtag super-etero, che indicherebbe quindi un nuovo orientamento sessuale, è diventato trend topic in poco tempo ed è finito sul canale /pol/ di 4chan, noto per essere molto popolare tra i troll di estrema destra, e su Reddit. Qui il subreddit dedicato ha superato i 30mila utenti prima di essere chiuso per violazione delle norme interne della piattaforma. Nella descrizione si leggeva: “Una comunità per uomini e donne oppresse che si considerano super-etero”. Stando a quanto riporta Insider, gli amministratori della pagina discutevano di come poter agire per “dividere” la comunità LGBTQ+ e “usare le tattiche della sinistra contro se stessa, definendola bigotta perché non accetta le persone super-etero”. L’espressione si è velocemente diffusa anche su Twitter, dove molti utenti l’hanno utilizzata per identificarsi. In Italia è stata ripresa anche dal senatore leghista Simone Pillon, che in un post Facebook l’ha definita “l’unica possibilità per evitare l’accusa di transfobia” per chi “si ostina a preferire l’antiquato e medievale rapporto tra maschi xy e femmine xx”.
Rivendicando l’hashtag, gli utenti hanno iniziato una vera e propria campagna di trolling contro la comunità LGBTQ+ su vari social, ripresa anche dalle Terf (Trans-exclusionary radical feminism, sottogruppo del femminismo radicale caratterizzato dalla transmisoginia). Ci si è appropriati del linguaggio degli attivisti, sono stati parodiati video di coming out descrivendosi come parte della comunità perché appartenenti “a una minoranza oppressa”, si è ridicolizzato il merchandising del Pride inventandone uno proprio e sono state attaccate le persone trans accusandole di “superfobia” – una supercazzola pari a quella di Matteo Salvini sull’eterofobia. È stata poi creata una bandiera, arancione e nera, i cui colori richiamano quelli di PornHub (e, ironicamente, anche di Grindr, la nota applicazione di dating per uomini che cercano sesso con altri uomini). Su una delle sue varianti sono state apposte le iniziali “SS”, che appaiono, peraltro, come un infelice richiamo semantico alle Schutzstaffel della Germania nazista.
Anche se ognuno ha il diritto e la libertà di frequentare chi vuole, i concetti alla base dell’orientamento sessuale dei “super-etero” presentano alcune criticità transfobiche. Definirsi tali significa infatti creare un’etichetta per escludere un intero gruppo di persone sulla base di stereotipi e preconcetti. Il principale problema è il fatto di non considerare donne e uomini trans come “vere donne” e “veri uomini”, oltre a credere che tutte le persone trans siano uguali. Un’idea basata su decenni di rappresentazioni dannose e che parte dal presupposto per cui essere trans sia sempre riconoscibile. I corpi e le esperienze transgender, però, non possono essere ridotti a un unicuum. Così come non siamo attratti da tutte le persone cisgender – la cui identità di genere corrisponde al sesso biologico assegnato alla nascita – non si può essere attratti da tutte le persone trans, ma non possiamo escluderle in blocco a priori unicamente sulla base di questo solo criterio.
Un esperimento realizzato nel 2018 e pubblicato su Social Psychological and Personality Science dimostra infatti come i pregiudizi sull’identità di genere di una persona influenzino la nostra attrazione a prescindere dall’aspetto fisico. A 319 studenti cisgender è stato chiesto di dare un voto a 48 potenziali partner per cui era stato creato un falso profilo online contenente tre informazioni: una fotografia del volto, l’identità di genere e l’etnia. Nonostante i dati fossero abbinati casualmente alle persone coinvolte e non rappresentassero in alcun modo la realtà, i possibili partner esplicitati come trans sono stati classificati come molto meno attraenti rispetto agli altri.
Altre motivazioni riportate da chi esclude a priori la possibilità di uscire con una persona trans sono principalmente una preferenza verso determinati genitali – uno dei topos più diffusi e violenti nella rappresentazione delle persone trans – o la possibilità di procreazione. In questo modo, però, non solo si riduce il/la partner a una specifica parte del corpo e al suo funzionamento considerato “canonico”, ma non si tiene conto neanche del fatto che molte persone cisgender non possono avere figli.
Nonostante si sia diffuso solo nelle ultime settimane, un primo utilizzo del termine “super-etero” è individuabile in uno studio del 2015 pubblicato sul Journal of Communication Inquiry dalla ricercatrice Chelsea Reynolds e intitolato I Am Super Straight and I Prefer You be Too. Analizzando le modalità con cui gli uomini che si definiscono etero cercano sesso con altri uomini sulle piattaforme di dating, Reynolds ha evidenziato come nella costruzione dell’identità online si ripetano schemi costanti che, attraverso un linguaggio specifico basato sul fare leva sulla carriera e sull’incentivare attività di cameratismo come guardare porno insieme, parlare delle conquiste femminili o di sport, concorrono a presentare la propria mascolinità come “più reale”. Già la sociologa Raewyn Connell, nel saggio Masculinities del 1995, sottolineava come le ideologie omotransfobiche servano a tracciare dei confini sociali che permettono di definire il proprio essere maschi in base alla distanza dalle persone rifiutate, e di conseguenza costruire la propria identità eterosessuale per confermarsi “veri uomini”.
L’attacco transfobico non è stato però alimentato solo da persone cisgender ed eterosessuali, ma anche da gay, lesbiche e bisessuali che hanno apposto il termine “Super” come radice del proprio orientamento sessuale. Ciò accade da un lato per un tentativo omonormativo di assomigliare ed essere assimilati alla maggioranza, dall’altro perché le costruzioni che reggono il pensiero transfobico sono purtroppo trasversali e impregnano la formazione che riceviamo. Per questo, oltre a una narrazione finalmente inclusiva e rispettosa delle esperienze trans, ciò di cui avremmo bisogno è un’educazione che ci liberi dai preconcetti, che tenga conto della fragilità della mascolinità e che ci faccia finalmente capire che essere transfobici è un “superpotere” di cui faremmo volentieri a meno.