Era naturale arrivare a questo punto. Quando si presenta alla nazione una schedatura su base etnica come opera di buon senso, bisognava aspettarselo. Quando il ministro dell’Interno si fa i selfie prendendo per il culo chi è costretto a cercare l’Europa su pezzi di legno che sono più bare che barche, tutto questo diventa normale. Quando le ronde di CasaPound vengono presentate come passeggiate per la sicurezza, dovevamo saperlo che il momento era arrivato. Dovevamo aspettarci che, prima o poi, qualcuno avrebbe provato a dire che no, il fascismo non c’entra.
Così oggi, durante il ricordo della strage di Bologna alla Camera, la deputata di Fratelli d’Italia Paola Frassinetti ha negato la matrice fascista dell’attentato. Ha anche pensato bene di attaccare i giudici di Bologna perché “sono sempre stati prigionieri di logiche idelogiche-giudiziarie con lo scopo non di ricercare la verità ma di riuscire, a tutti i costi, ad arrivare alla conclusione che la matrice fosse nera per ragione di Stato,” ricordando quando il presidente Cossiga “nel 1991 ebbe l’onestà di ammettere che si era sbagliato e che la strage non era addebitabile ad ambienti di estrema destra chiedendo anche scusa.” Peccato che sarà del tutto smentito quattro anni dopo.
Ma quella della Frassinetti – chiedo scusa, ma proprio non riesco a chiamarla Onorevole – non è un’opinione meramente personale, ma un pensiero condiviso dai colleghi di partito. Giorgia Meloni è stata più sibillina, forse anche più intelligente, e ha pensato di twittare:
02/08/1980 – 02/08/2018: 38 anni dalla #StragediBologna. Ancora oggi tutto avvolto nel mistero, nessuna verità, nessuna giustizia. Un pensiero alle vittime e ai loro familiari.
— Giorgia Meloni ن (@GiorgiaMeloni) August 2, 2018
E sbaglia chi considera le dichiarazioni degli esponenti di Fratelli d’Italia delle semplici stupidaggini. Tutt’altro, sono l’ennesimo tentativo di riabilitare il fascismo e i fascisti, perché “certe cose loro non le farebbero mai.” Questa è una pratica che accompagna l’estrema destra italiana da sempre, e che si manifesta nel continuo richiamo all’onore dei difensori della patria. È per questo che si continua a far finta che durante la seconda guerra mondiale non ci fossero i campi di concentramento in Italia; che si cerca di far passare in secondo piano che nel 1938 il nostro Paese ha accolto a braccia aperte le leggi razziali. Che il passato colonialista italiano è stato fra i più crudeli della storia. Che in fin dei conti il Duce in guerra non ci voleva andare, è stata tutta colpa di Hitler.
Erano le 10:25 in punto del 2 agosto 1980. Dentro la sala d’aspetto della seconda classe della stazione di Bologna esplodeva una bomba a orologeria, facendo crollare un’intera ala dell’edificio, investendo il treno Ancona-Chiasso, fermo al primo binario, e il parcheggio dei taxi. Morirono 85 persone, i feriti furono oltre duecento. È stato il più grave attacco terroristico del Dopoguerra italiano, ed è stato un attentato fascista.
Nonostante gli infiniti tentativi di depistaggio il 23 novembre 1995 la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo i neofascisti dei Nuclei Armati Rivoluzionari, Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, quali esecutori dell’attentato. L’ex Gran Maestro della loggia P2 Licio Gelli, l’ex agente del Sismi Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, condannati per il depistaggio delle indagini. Il 9 giugno del 2000 la Corte d’Assise di Bologna ha emesso una nuova condanna per la stessa motivazione, mentre nel 2007 la Cassazione ha dichiarato colpevole per l’esecuzione della strage anche Luigi Ciavardini, esponente dei Nar e minorenne all’epoca dei fatti.
È vero, i mandanti di quell’attentato – come di tutta la cosiddetta Strategia della Tensione – non hanno ancora un nome. Lo stesso presidente della Repubblica ha ribadito la necessità di “illuminare le zone d’ombra” rimaste. Ma l’identità degli esecutori della strage sono scritte nero su bianco nelle sentenze definitive, e chi lo nega dovrebbe sentirsi addosso le stesse responsabilità di chi ha tentato di depistare le indagini sin dalle prime ore successive all’attentato. Passarono 24 ore prima dell’inizio delle indagini: la posizione ufficiale, sia del governo italiano presieduto da Francesco Cossiga – che Frassinetti oggi elogia per il suo coraggio – sia delle forze di polizia, fu di attribuire lo scoppio a cause fortuite: l’esplosione di una vecchia caldaia nel sotterraneo della stazione. Come era successo per la strage di Piazza Fontana, si cercava di ritardare il rinvenimento di tracce utili.
Ma fu proprio grazie all’intervento della Procura della Repubblica di Bologna che gli investigatori misero subito a fuoco il coinvolgimento dell’estrema destra. E se già alla fine di agosto si cominciava a tratteggiare un’ipotesi accusatoria verso mandanti e depistatori, con il passaggio dell’inchiesta dalla Procura all’Ufficio d’Istruzione cambiò tutto: l’indagine venne spezzettata, e il filone sull’associazione eversiva inviato a Roma per competenza.
Eppure i segnali di una possibile strage c’erano da tempo. Il giudice Mario Amato – assassinato il 23 giugno 1980 proprio dai Nar mentre era titolare di tutte le inchieste sull’eversione nera a Roma e nel Lazio – aveva segnalato la pericolosità dinamitarda dei gruppi eversivi di destra nelle audizioni del 25 marzo e del 13 giugno 1980, davanti al Csm.
Frassinati oggi ha anche fatto riferimento a una presunta pista che condurrebbe al terrorismo palestinese. Peccato che proprio questa è stata una delle tante trovate del Gran Maestro Gelli: al momento dei primi arresti fu lui a comunicare all’Alto dirigente del Sismi Elio Coppa che il filone da seguire era quello internazionale. Da lì iniziarono i tentativi – in parte riusciti – di screditare i giudici che avevano svolto la prima parte dell’indagine, per far strada a un ipotetico disegno internazionale quantomai ricco di fantasia. Oggi invece sembra sempre più chiaro che quei mandati sono da ricercare proprio dentro lo Stato.
Dire oggi che il fascismo non c’entra con la strage di Bologna è un atto grave, ma purtroppo prevedibile. È il passaggio naturale dopo la normalizzazione del fascismo attraverso i tweet “Tanti nemici tanto onore” o le magliette e dei gruppi ultras di estrema destra e i giubbotti del marchio di CasaPound. E non è un caso che oggi, nel giorno del ricordo del più grave atto terroristico del dopoguerra, quello stesso ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio, non dedichi a questo le sue comunicazioni social – incredibilmente prolifiche – ma al caldo.
“Sono esistite ed esistono forze nazifasciste, così come esiste l’antifascismo e la sua necessità presente e futura.” Ha detto il sindaco Virginio Merola a Bologna. “Ditelo ai famigliari delle vittime del 2 Agosto e ai bolognesi, guardandoli in faccia, senza la scorciatoia dei social network, che non esiste più il problema del fascismo.” Per questo oggi è necessario ricordare la strage della stazione di Bologna e la sua matrice fascista. Per ricordarci che la nostra Repubblica è nata proprio in netta contrapposiozione a quell’ideologia. Che uno dei principi alla base della nostra Costituzione è l’antifascismo. Oggi più che mai è necessario ricordarsi che il fascismo non faceva arrivare i treni in orario, ma le bombe.