Il social freezing rischia di essere l’ennesimo modo capitalista per far soldi sull’ansia delle donne - THE VISION

Sempre più spesso, negli ultimi anni, mi sono trovata a parlare con amiche che stavano pensando o avevano già intrapreso il percorso per la crioconservazione dei propri ovociti. Con una spesa che per le persone che non soffrono di patologie oncologiche (per cui in teoria è gratuita sotto i quarant’anni, ma purtroppo anche in questo caso in Italia ci sono enormi disparità di accesso da regione a regione) in Italia si aggira sui 3mila euro, per poi pagare tra i 200 e i 300 euro all’anno, infatti, una donna può concepire anche dopo essere diventata infertile o ipofertile, dato che gli ovuli conservati in questo modo possono mantenersi anche per decenni.

La crioconservazione inizialmente nacque come tecnologia sperimentale per le donne che si stavano sottoponendo a un periodo di chemioterapia o ad altri trattamenti gametotossici, ma dal 2012, quando l’American Society for Reproductive Medicine (ASRM) dichiarò che la tecnologia non era più da considerarsi come una tecnica sperimentale, negli Stati Uniti c’è stato un vero e proprio boom delle persone che vi hanno fatto ricorso: dalle 7,600 donne nel 2015 alle 29,803 del 2022 (ultimo anno a cui fanno riferimento i dati), e anche in Italia e nel resto del mondo si è diffusa sempre di più.

Se una volta si iniziava a riflettere sulla possibilità di avere un figlio, oggi si inizia a riflettere sulla possibilità di avere eventualmente un figlio in futuro, nel caso si cambi idea, o le condizioni al contorno migliorino, si rendano favorevoli. Nel dubbio ci si porta avanti. Tutto ciò suona assolutamente ragionevole di questi tempi di difficoltà e incertezze; e in cui la pressione sociale sulla maternità vede una nuova impennata, ma le politiche per sostenerla sono inversamente proporzionali all’ardore con cui viene impedito alle donne di abortire. Non a caso si parla di “social freezing”, ovvero la crioconservazione attuata proprio per motivi sociali, che deriva appunto da un altro tipo di congelamento, quella stasi sociale che impedisce alle donne di ottenere le giuste condizioni per pensare e decidere di intraprendere una gravidanza senza sacrificare la propria vita, i propri sogni e obiettivi, e in alcuni casi la propria salute psico-fisica.

Il problema è che la crioconservazione è comunque piuttosto costosa (negli Stati Uniti il prezzo si aggira intorno ai 10mila dollari). Ancora una volta quindi si apre la voragine del privilegio, tra persone che fanno parte di un insieme di non-privilegiati, le donne. Oltre che di iniquità, perché a parità di decisione e di volontà, una donna con meno risorse dovrà fare sacrifici maggiori per ottenere quello che a tutti gli effetti dovrebbe esserle riconosciuto come un diritto (lo so, qualcuno sarà caduto dalla sedia a leggere quest’ultima frase). La riproduzione è a tutti gli effetti un diritto – anche se oggi pare un dovere – che putroppo non viene garantito, sia a posteriori a livello di sostegno alla maternità e alla genitorialità (ciao legge 194, che in teoria dovresti servire a questo e invece ci rendi inaccessibile un altro diritto fondamentale, quello all’aborto), sia a priori a livello di possibilità di procreazione assistita, anch’essa tuttora a carico delle coppie o delle donne.

Chiaro, non tutte le donne e gli uomini vogliono riprodursi, anzi, sono sempre di più le persone che non desiderano avere figli. C’è però un’ampia platea di indecisi, possibilisti e relativisti, o anche semplicemente persone che quei figli, sì, li desidererebbero, magari anche ardentemente, ma la loro salute purtroppo non permette loro di farli. Diverse aziende hanno rapidamente intravisto gli enormi margini di guadagno di questo scenario, facendo appunto leva sulla fragilità delle persone, sul loro senso di vergogna, di inadeguatezza, di fallimento, e ultimo ma non ultimo sulla loro indecisione, sul loro bisogno di prendere tempo, e sulla loro ansia – sì, proprio quella che perennemente la società nutre in un angolo recondito dei nostri pensieri, ricordandoci il cosiddetto orologio biologico che ticchetta, come il coccodrillo di Capitan Uncino. Al pari dell’enorme baraccone della moda, dei cosmetici, della skin care e del wellness, dopati dagli steroidi del marketing, e pronti a generare e a sfruttare le insicurezze in particolar modo femminili, aggrappandosi con le unghie pure a una narrazione di empowerment femminista, le aziende private che si occupano di crioncoservazione da un lato offrono sì un servizio altrimenti ignorato dalla sanità pubblica (almeno in Italia), dall’altro è innegabile che stiano vendendo qualcosa: tempo, possibilità, fantasie, addirittura “libertà”.

Si prendono in carico la nostra preoccupazione, la necessità di ritardare una scelta, un tempo dettata dalla mera biologia, oggi – ed è uno dei grandi “miracoli” della scienza – controllabile, anche se non al 100% con margini di riuscita. E su cui paradossalmente fino a poco tempo fa pesava ancora uno stigma assurdo. Ricordo ancora la frase sentita durante l’episodio di qualche fiction sulla Rai in cui non si doveva far sapere a scuola che un bambino era “nato in provetta”, perché se no i compagni di classe lo avrebbero deriso, cosa che poi puntualmente accadeva. A pensarci oggi (che peraltro l’infertilità è in aumento) sembra un delirio collettivo, una distopia, eppure non sono passati tanti anni. Per fortuna oggi le serie raccontano storie diverse, con tanti tipi di famiglie diverse, tanti quanti la realtà è in grado di generare, e sicuramente da questo punto di vista, anche se lentamente, e sicuramente non sulla televisione pubblica (dati peraltro gli ultimi eventi), stiamo facendo passi enormi.

Negli Stati Uniti, che come al solito fanno un po’ da bussola per i fenomeni sociali dei Paesi occidentali, però, questo fenomeno sta sfuggendo di mano. Non essendoci un servizio sanitario pubblico, infatti, la sanità è in mano ai privati e viene pubblicizzata al pari di qualsiasi altro prodotto o servizio, con sfumature a volte discutibili. Così si trovano tra le tante pubblicità anche cartelloni sul congelamento degli ovuli, che contribuiscono a generare ansia in molte donne, e insieme a quell’ansia vergogna, magari umiliazione, più o meno conscia, più o meno latente. Basti pensare alle pubblicità dei test di gravidanza che ancora venivano propinate solo pochi anni fa e inframezzavano i video di gattini con domande decisamente inopportune mentre tu volevi solo distrarti per dieci minuti guardando qualcosa di buffo. Per fortuna oggi quelle dei test di gravidanza hanno cambiato decisamente registro, andando a rivolgersi in questo caso a tanti tipi di persone – e quindi desideri – diversi. Per la crioconservazione però le cose non sono cambiate. La pubblicità infatti ci suggerisce il bisogno di un determinato prodotto per essere a posto con noi stessi e col mondo, e quindi il sottotesto è che “ci manchi” qualcosa, o che “non stiamo facendo qualcosa”, qualcosa che potrebbe essere in nostro potere fare, e che gli altri si aspettano che facciamo. Come se non ci stessimo impegnando abbastanza – il vecchio adagio della scuola dell’obbligo – e non solo – “ha talento, ma non si applica”. 

So che è un discorso apparentemente molto astratto, eppure è proprio ciò che fa leva sulle nostre emozioni, sul nostro senso dell’Io, molto più fragile di quanto siamo disposti ad ammettere. Ok, non vuoi fare figli adesso, ma sei sicura che non li vorrai in futuro? Ok, non preoccuparti, non c’è bisogno che decidi ora, magari non hai abbastanza entrate o stabilità per pensare di poter crescere uno o più bambini, magari però ne hai a sufficienza per pagare noi, che ti permetteremo di ritardare la scelta. Come un abbonamento, ma a vita, o quasi. Non mi stupirebbe che una donna morisse prima di aver usato i suoi ovuli congelati. Ne prenderò magari nota per scriverne un racconto. Ma anche in questo caso la potenza della promessa risulta forse ancora più allettante. Gli ovuli potrebbero essere dati in eredità a qualcuno. È come l’abbonamento ai servizi di allenamento online, o a quelli di prodotti culturali on demand, siano ebook, film o audiolibri, o l’acquisto programmato di carta igienica. Come fare a interromperlo?

La cosa che aggiunge un velo di assurdo è che poi non è detto che questi ovociti, nel caso si decida di fecondarli, portino effettivamente al concepimento e all’impianto in utero positivo. Ma gli ostacoli ci sono fin dall’inizio del processo. È molto difficile infatti conservare queste cellule, dato che sono le più grosse e acquose del corpo umano, e quindi è molto facile che si formi ghiaccio intracellulare, che ne riduce il tasso di sopravvivenza. Per evitarlo si usano crioprotettori, come propandiolo, dimetilsolfossido e saccarosio, e particolari metodi di congelamento. A oggi il più gettonato è la “vitrificazione”, tecnica ultrarapida di congelamento perfezionata nel 2015 che “permette di minimizzare i danni a livello cellulare del congelamento” trasformando la cellula in una sorta di sfera di cristallo appunto. Anche prelevare gli ovociti non è così semplice, sono infatti necessari cicli di stimolazione ovarica, proprio come per la PMA, con farmaci a base di ormoni, che possono avere effetti molto pesanti sul corpo della donna.

Sembra che il capitalismo, dunque, trovi in questo modo il metodo per attingere alle risorse finanziarie, ed emotive, oltre che biologiche, anche di quelle donne che non vogliono essere madri adesso, e che in teoria potrebbero risparmiare denaro ed energie in quel senso. In molti casi, infatti, il senso di colpa per non aver ancora soddisfatto quello che a tutti gli effetti è un imperativo sociale, si mescola a quello che magari è effettivamente un desiderio personale, seppur latente, o germinale, e la pulsione deflagra nell’accettazione del bisogno indotto. Se il servizio c’è perché non usarlo, d’altronde, perché sollevarmi almeno un po’ da quel senso di colpa introiettato e asfissiante?

Spesso il marketing legato al servizio di crioconservazione ruota intorno a una parola chiave: libertà. Libertà di scegliere, quando si vuole, cosa fare dei propri gameti. Una libertà che senza congelarli si dà per scontato le donne non hanno, non avrebbero, e purtroppo questo è sicuramente vero. Ci si chiede, però, in quello spazio in fondo ai pensieri che sta di fianco all’ansia, se sia davvero questa “la libertà”. Ancora una volta, nonostante i tanti possibili lati positivi di questa tecnologia, si torna alla dittatura del capitalismo: puoi agire la tua libertà solo attraverso il denaro. E ciò dimostra che la libertà, dunque, non è un diritto. Ce la si compra, come qualsiasi altro prodotto; dimenticandoci che le donne sono svantaggiate sul lavoro, guadagnano meno degli uomini, hanno meno possibilità di raggiungere posizioni apicali, e quindi guadagnare di più, vengono discriminate in fase di assunzione, e l’eventuale maternità le svantaggerà ulteriormente, magari in maniera insanabile. Se suona come una trappola, è perché lo è. Un complotto acefalo che evidentemente vede nella nostra insoddisfazione e nella nostra disponibilità di stare a casa imbottite di antidepressivi e tranquillanti a preparare cenette l’unica via per la sopravvivenza della specie. C’è da chiedersi se non sia più dolorosa di una rapida estinzione, con o senza ovuli messi in fresco.

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