Tra i prodotti cosmetici che ebbero più successo nel 2019 ci sono gli “illuminanti”, le cui vendite sono aumentate del 7% nei primi sei mesi dell’anno. In quell’arco di tempo, solo sul mercato inglese sono stati lanciati 20 nuovi prodotti di questa categoria e la maggior parte delle campagne pubblicitarie estive si è concentrata proprio su quell’effetto glow che qualsiasi donna con la pelle grassa fino all’anno scorso scongiurava con tonnellate di cipria e salviettine opacizzanti. Dietro il boom di illuminanti e cosmetici brillantinati, però, c’è un sistema di sfruttamento del lavoro minorile nei Paesi asiatici per estrarre la mica, un minerale impiegato in vari settori proprio per le sue proprietà riflettenti.
In quanto isolante elettrico, la mica viene usata per condensatori, circuiti ad alta tensione e apparecchi per il riscaldamento. Una particolare tipologia, la muscovite, è largamente utilizzata anche dall’industria cosmetica per il suo aspetto perlescente che dà il tipico effetto shimmer a ombretti, illuminanti e fondotinta. È utilizzata anche come ingrediente addensante in shampoo, creme e dentifrici. L’India è il Paese più ricco al mondo di questo minerale, in particolare nelle regioni del Jharkhand e del Bihar, nell’area nord-orientale. Nonostante sul territorio di questi due Stati si trovino i più importanti giacimenti minerari indiani, la popolazione – a maggioranza dalit, cioè i cosiddetti intoccabili – vive in condizioni di estrema indigenza e nella maggior parte dei casi lavora nelle miniere in condizioni di semischiavitù. Per di più dal 1980, quando è stato approvato il Forest Conservation Act, il governo indiano ha smesso di rinnovare licenze per l’estrazione di mica nelle due regioni, favorendo così l’espansione di attività illegali gestite dalla mafia e dalla guerriglia locale (che fornirebbero il 25% della mica mondiale), in cui vengono impiegati migliaia di bambini. Sono solo due, infatti, le miniere legali nell’area. Per fare un confronto, la mica prodotta illegalmente in India ammonterebbe a 111.100 tonnellate l’anno, mentre quella legale solo a 24.900.
Allarmata da questa situazione, la ong Terres des Hommes nel 2015 ha commissionato al centro di ricerca indipendente olandese sulle multinazionali SOMO una ricerca in merito. Il risultato è il report del 2016 “Beauty and a beast”, che ha fornito per la prima volta una stima dell’ampiezza del fenomeno e causato le prime prese di posizione da parte delle multinazionali della cosmetica. Secondo il report, oltre 20mila bambini residenti in circa 300 villaggi sarebbero coinvolti nell’estrazione illegale della mica nel Jharkhand e nel Bihar. Si tratta di un lavoro faticoso ed estremamente pericoloso: le cave, create con esplosivi e martelli pneumatici, spesso collassano intrappolando chi ci lavora. Secondo il documentario Shady realizzato da Refinery 29, ogni mese dalle 10 alle 20 persone morirebbero lavorando nelle miniere di mica – senza contare i feriti – anche se i dati sono approssimativi proprio perché si tratta di attività illegali. Al rischio di incidenti si aggiunge quello elevatissimo di contrarre malattie respiratorie per l’esposizione alla polvere di silice, che aumenta anche il rischio di cancro ai polmoni. La roccia viene picconata, e la mica, riconoscibile proprio per il suo aspetto lucente, viene poi estratta a mani nude.
Secondo il report, nel Jharkhand e nel Bihar, circa il 40% dei bambini di età compresa tra i 6 e i 14 anni non va a scuola per lavorare e l’analfabetismo tocca picchi del 45%. La quantità di forza lavoro minorile impiegata sarebbe in aumento di anno in anno: nel 1998 i bambini che lavoravano nelle miniere di mica erano 3mila, nel 2015 sono saliti a 18mila e oggi arriverebbero a oltre 20mila. La pubblicazione di “Beauty and a beast” nel 2016 non è rimasta senza conseguenze: come riporta il secondo studio sull’argomento uscito nel 2018, “Global mica mining”, Terres des Hommes ha avviato un dialogo con il governo indiano culminato nella firma, nel gennaio 2017, della Responsible Mica Initiative. L’obiettivo è di eradicare il lavoro minorile nell’estrazione della mica entro il 2022 attraverso una mappatura della catena di produzione, iniziative di sviluppo sul territorio (come l’apertura di nuove scuole) e l’implementazione di misure di sicurezza e di salario.
L’iniziativa è stata accolta, tra gli altri, anche da due delle principali compagnie cosmetiche globali, Estée Lauder e L’Oréal, ma per ora i risultati raggiunti sono stati giudicati insoddisfacenti. Dopo un anno dalla firma, i media hanno riportato la notizia della morte di almeno altri cinque bambini. Secondo un portavoce della Kailash Satyarthi Children’s Foundation, l’organizzazione contro lo sfruttamento minorile fondata dal premio Nobel per la pace Kailash Satyarthi, le aziende si sarebbero limitate a raccogliere pochi fondi senza agire concretamente sul territorio. Il problema è dovuto anche al fatto che, senza la collaborazione delle autorità indiane, è davvero difficile risalire alla provenienza della mica, per cui i fornitori autorizzati potrebbero acquistare da terzi il minerale estratto in maniera illegale. In più, la risonanza internazionale dello sfruttamento minorile per la produzione della mica in India ha favorito l’espansione di nuovi mercati illegali, come quello del Madagascar, dove si stima siano impiegati circa 10mila bambini.
L’utilizzo industriale della mica, in particolare nel settore elettronico, è destinato a crescere in modo esponenziale. Al momento, esistono alternative sintetiche alla mica naturale, ma rappresentano appena il 10% del totale, e gli analisti credono che nei prossimi 10 anni questa percentuale potrebbe alzarsi soltanto del 2%. Essendo prodotta in laboratorio, è improbabile che la produzione della mica sintetica coinvolga lo sfruttamento del lavoro minorile. Tuttavia, la quasi totalità della mica sintetica attualmente utilizzata è usata dall’industria cosmetica e non da quella elettronica.
Lush, il brand britannico di cosmesi famoso per la sua condotta etica, dal 2018 ha deciso di abbandonare completamente la mica naturale in favore di quella artificiale. Come ha spiegato il buyer dell’azienda Gabbi Loedolff, la domanda di mica è così alta che può accadere che la mica naturale, più economica perché estratta in modo illegale, venga spacciata per sintetica: “Questa scoperta è stata un vero shock per noi, e ha dimostrato la necessità di controlli più serrati. Non si tratta soltanto di una nostra preferenza etica nel non usare mica naturale, ma di un impegno che devono assumersi i produttori”. Secondo Lush, vista l’attuale situazione, è davvero difficile pensare di poter ottenere mica naturale estratta in modo etico. “Data la grandezza del problema combinata con il nostro potere d’acquisto relativamente piccolo e il fatto che siamo stati consigliati di non andare sul posto senza guardie armate, non sentivamo di avere l’influenza necessaria per guidare il cambiamento che servirebbe. Per questo abbiamo preso la decisione di smettere di acquistare mica naturale e orientarci verso alternative sintetiche”, continua Loedolff. Al momento, però, è solo Lush ad aver preso una posizione così decisa e la maggior parte dei cosmetici si basa ancora sull’utilizzo della mica naturale.
Secondo Terres des Hommes, è necessario un impegno globale per porre fine allo sfruttamento del lavoro minorile nell’estrazione della mica. I governi produttori dovrebbero impegnarsi a rispettare la convenzione dell’ILO, l’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite. L’India, in particolare, dovrebbe regolamentare di più il lavoro in miniera nelle regioni del Jharkhand e del Bihar, rafforzando di pari passo il sistema scolastico. La responsabilità però è anche dei Paesi e delle aziende importatrici, che dovrebbero aumentare i controlli sui fornitori e investire sulla mica sintetica come ha fatto Lush. Infine, anche i consumatori devono fare la loro parte: dobbiamo pretendere più trasparenza da parte delle aziende e, soprattutto, acquistare meno e meglio, evitando di accumulare decine e decine di prodotti di cui non abbiamo bisogno. Un effetto shimmer non vale la vita di nessuno.