Forse anche voi avete sorriso vedendo uno degli uomini più ricchi e potenti della Terra chiamato a testimoniare di fronte al Congresso degli Stati Uniti. Mark Zuckerberg è stato convocato in merito ai dati rubati a 87 milioni di utenti Facebook da un’app che chiedeva loro di rispondere a un test di natura psicologica. Le risposte alle domande del test sviluppato da Cambridge Analytica sono state poi utilizzate per la creazione di contenuti pubblicitari che, da lì a breve, avrebbero mitragliato gli utenti durante le campagne elettorali per le elezioni presidenziali americane e per la Brexit.
I contenuti in questione erano creati e condivisi da una sorta di “troll factory” russa in cui aspiranti giornalisti e copywriter venivano pagati per postare fake news. I like di questi finti profili contribuivano poi ad aumentare la visibilità dei post, che finivano per invadere le bacheche di utenti mirati i quali, a loro volta, erano naturalmente predisposti a condividerli. Un circolo fazioso e virale. L’analisi dei profili psicologici confluiva in agglomerati di dati, ordinati per variabili di natura immateriale, come aspirazioni e valori, definiti “psicografici”.
La psicografia è una modalità di analisi di stampo qualitativo e non quantitativo, utilizzata per descrivere gruppi di consumatori in base alle loro paure, ansie e priorità. Non ti vendo uno shampoo con la promessa di rendere più forti i tuoi capelli sani, te lo vendo agendo sulla tua paura delle doppie punte. Avete presente la psicologia inversa? Ecco. Questi dati relativi ad ansie e paure, se ben organizzati e analizzati, forniscono la certezza quasi matematica di poter prevedere il comportamento di un determinato gruppo di persone. Riassumendo, la psicografia, nel marketing, è il corrispettivo dell’ingegneria inversa o, più in generale, dello user generated content – i contenuti vengono sviluppati a partire dalle emozioni dei consumatori.
Molti siti utilizzano segmentazioni di tipo psicografico e queste informazioni sono potenzialmente estrapolabili da tutti i social network (qui la presentazione di una società che fornisce report psicografici sui profili Instagram). La società che vuole pubblicizzare un prodotto allocherà il suo budget sul social network preferito dal suo target. Cambridge Analytica ha trovato in Facebook il bacino di utenza ideale per i suoi contenuti. Ma la psicografia, in realtà, ha radici antiche. È un vocabolo utilizzato già da André-Marie Ampère (1775–1836) per definire quella branca della psicologia atta a fornire la descrizione dei fatti di coscienza. Lo studio della risposta umana a uno stimolo in modo quantitativo iniziò a essere analizzata già nell’Ottocento da Ernst Heinrich Weber (1795–1878), medico tedesco considerato tra i fondatori della psicologia sperimentale.
Uno dei suoi studenti, Gustav Fechner (1801–1887), partendo dalle ricerche del suo mentore, sviluppò una teoria denominata psicofisica: una branca della psicologia mirata a studiare i rapporti che legano fenomeni psichici a fenomeni fisiologici. La legge Weber-Fechner fa riferimento a due leggi che riguardano la percezione umana misurata tramite l’utilizzo di uno strumento non-umano. Questo studio dimostra come risulta sempre più difficile, dal punto di vista psicologico, cogliere la differenza tra due numeri quando la distanza tra loro diminuisce. Può essere utilizzata, ad esempio, per spiegare perché i consumatori evitano di guardarsi intorno per risparmiare una piccola percentuale su un acquisto costoso, mentre lo fanno per risparmiare una grande percentuale su un acquisto economico che, in termini assoluti, rappresenta un importo decisamente minore.
Un altro pioniere nel campo della psicometria e della psicofisica fu Louis Leon Thurstone (1887–1955) – responsabile della media standardizzata dei Test QI utilizzati oggi – che per primo misurò gli atteggiamenti umani attraverso l’omonima scala. La Scala di Thurstone richiedeva la formulazione di un alto numero di affermazioni su uno specifico atteggiamento per poi sottoporle al giudizio di un elevato numero di persone. Anche Léopold Szondi (1893–1986), psichiatra e psicanalista ungherese, tentò di misurare l’immensurabile, elaborando il concetto di analisi del destino. È conosciuto per il suo test psicologico basato su un’analisi sistematica delle pulsioni: un test di personalità proiettivo, come il più noto test di Rorschach, ma fondato su un approccio non-verbale. Per Szondi, è possibile ordinare tutte le pulsioni umane, classificandole e inquadrandole all’interno di una teoria costruita sulla base di otto esigenze – di tipo sadico, paranoico, depressivo, maniacale e così via – ciascuna corrispondente a un archetipo collettivo.
Dopo Ampère, gli unici a utilizzare effettivamente il termine psicografia sono stati i componenti della Società Teosofica, una dottrina filosofico-religiosa in cui alcuni, secondo me erroneamente, hanno intravisto le basi teoriche del misticismo nazista. Con il termine psicografia, i teosofi intendevano “la scrittura sotto l’influenza dell’anima”, ovvero la trascrizione grafica di fenomeni psichici. Una sorta di “scrittura spiritica” o di flusso di coscienza pre-freudiano.
La psicografia, intesa sempre nell’accezione di scrittura automatica influenzata dall’inconscio, non è solo una prerogativa del marketing o delle dottrine parascientifiche del ‘900, ma anche dell’arte. È lo strumento principale della tecnica di scrittura surrealista, influenzata dall’interpretazione dei sogni di Freud, o anche delle Parole in libertà o Paroliberismo dei futuristi. Passando a esempi più recenti, questo metodo di scrittura è stato ripreso anche dalla musica trap, in cui parole apparentemente sconnesse e dal forte carattere evocativo vengono utilizzate per comporre rime su basi ipnotiche. Ma l’efficacia e l’utilità della psicografia, anche applicata alla musica, non si limita a rendere intuibili frasi che da sole non avrebbero alcun senso. Lo strumento dei rapper è il flow. Flow, in inglese, significa flusso. Se applichiamo a questo “flusso di coscienza” l’analisi psicografica del marketing, è possibile calcolare il successo quasi matematico di un brano come Gucci Gang. Se so che il mio target di riferimento ha il terrore di apparire povero, perché tendenzialmente lo è, allora deduco che il suo sogno sia comprare una cintura di Gucci. Prendo la parola Gucci, la associo alla parola Gang, che genera un senso di unione, e la ripeto a raffica come una sorta di mantra aspirazionale. A mio avviso, uno dei momenti chiave dell’udienza di Mark Zuckerberg al Congresso USA è, non a caso, quello in cui il senatore John Cornyn pone una domanda a Zuckerberg sul nuovo claim di Facebook e, per farlo, utilizza il termine mantra.
L’inconscio ha quindi un ruolo fondamentale nella psicografia, intesa sia come scrittura automatica che come strategia di marketing. Nella psicanalisi di stampo freudiano, il paziente, parlando di sé, fa riemergere i conflitti della psiche che alimentano psicosi e nevrosi. Due elementi ormai fondamentali anche nella costruzione delle campagne politiche. Se applichiamo l’analisi psicografica alla politica italiana, infatti, è semplice comprendere il successo della Lega, un partito che ha fatto della paura del diverso il suo punto di forza, o del Movimento 5 Stelle, che ha impostato un’intera campagna elettorale sulla paura della povertà. Non è un caso se l’accusa principale mossa al Movimento è quella di non avere una linea politica definita. Semplice comprendere quanto possa essere controproducente abbracciare gli ideali o le concezioni classiche della destra e della sinistra rispetto all’impostare una campagna elettorale che risponda direttamente alle ansie della popolazione.
Alla luce della vicenda Cambridge Analytica, si è aperto il dibattito sull’eticità di una società privata come Facebook. Ma se una società privata analizza i dati psicografici che regaliamo al mondo attraverso l’uso dei social, non possiamo lamentarci. Il vero problema è che quei dati sono stati utilizzati per fini politici, e la differenza sostanziale tra le società a scopo di lucro e la politica è che la politica dovrebbe fare l’interesse della collettività, il cosiddetto bene comune. La visibilità dei post pro-Trump o pro-Brexit non è stata una conseguenza dell’algoritmo di Facebook, ma dell’efficacia dell’utilizzo dei dati psicografici e del budget delle rispettive campagne elettorali. In questa vicenda il monopolio dell’informazione non è di Facebook, che è la piattaforma su cui sono stati diffusi e pubblicizzati i contenuti, ma è di chi, potendo contare su un enorme potere d’acquisto, ha potuto propagandare un solo e unico punto di vista, incontrollato e indisturbato. Quando i mass media erano pochi e controllabili, la par condicio aveva lo scopo di garantire un’adeguata visibilità a tutte le forze politiche, ma un’azienda privata a scopo di lucro come Facebook non ha il dovere di farsi garante di determinati criteri di equità. Non è l’organo giusto.
Il prossimo 25 maggio entrerà in vigore un nuovo regolamento sulla protezione dei dati, che potrebbe però risultare inefficace per combattere fenomeni di questo tipo. Abbiamo da sempre un passaporto per muoverci tra le nazioni ma, ad oggi, è ancora possibile operare sulla più vasta e potente delle reti nel totale anonimato.
Perché la testimonianza di Mark Zuckerberg al Congresso è importante? Perché il fondatore di un colosso informatico ha dovuto rispondere alle domande del Senato degli Stati Uniti in merito alla cessione di dati di marketing che stanno influenzando il futuro del pianeta. Non stiamo parlando di sanità, educazione, debito pubblico o politica estera, ma dell’utilizzo improprio di una strategia di comunicazione. L’era di Trump e della Brexit è stata definita dal concetto di post-truth, ovvero dall’idea che emozioni e sensazioni abbiano assunto un ruolo prominente nel dibattito politico a discapito di fatti reali e confutabili. Forse, con la testimonianza di Mark Zuckerberg al Congresso, è finita ufficialmente l’era delle guerre per il petrolio ed è iniziata quella per il controllo delle nostre menti – pardon, del web.
Siamo nell’era della user generated politic: se l’utente è facilmente influenzabile perché inconsapevole del possibile utilizzo dei dati che ogni giorno regala ad aziende private, risulta preda di facili manipolazioni. L’errore, in questo caso, è stato delle divisioni nazionali, dei singoli Stati che non sono riusciti a creare un organo sovranazionale di controllo prima che il web e i social degenerassero in fenomeni di questo tipo – vedi la creazione dell’Onu, appena dopo la seconda guerra mondiale. Se gli Stati Uniti di Trump indeboliscono l’autonomia di Facebook, una piattaforma per sua natura democratica perché nata come aggregatore di contenuti generati dagli utenti, non fanno che rafforzare il potere delle lobby.
Recentemente hanno hackerato il mio account Google. Ho denunciato alla polizia postale, sede centrale di Milano, che al momento non ha gli strumenti per difendere me e le migliaia di persone che ogni giorno sono preda di stalking digitale. Ho risolto da sola. Ho pensato che, non essendo una spia russa, non ho niente da nascondere. Me ne sono fatta una ragione. Non mi aspetto che sia Mark Zuckerberg a tutelare la mia privacy quando neanche la Polizia di Stato è in grado di rintracciare un indirizzo IP che ha controllato quotidianamente la mia posta personale per settimane.
Accusare Zuckerberg di aver ceduto i nostri dati ad agenzie esterne collegate all’elezione di Trump è come processare il proprietario dell’automobile utilizzata per una rapina. Una delle soluzioni potrebbe essere quella di accrescere la consapevolezza in merito alle dinamiche intrinseche della rete, così da evitare che l’inconsapevole, al posto della luna, finisca per guardare il dito.