Migliaia di profughi premono alle frontiere europee con la Bielorussia, respinti dall’esercito polacco lungo il filo spinato alzato contro l’ennesima crisi umanitaria dei migranti, intrappolati nella morsa del gelo fin nei Paesi baltici. Si stima che oltre 10mila richiedenti asilo siano atterrati in questi mesi a Minsk, soprattutto dal Kurdistan iracheno ma da tutto il Medio Oriente, grazie a visti turistici concessi dal regime Lukashenko al solo scopo di ricattare l’Ue divisa sulle politiche migratorie. Altre migliaia di migranti continuano a cercare varchi per l’Ue risalendo i Balcani, o imbarcandosi su gommoni alla deriva nel Mediterraneo verso la Grecia, l’Italia, la Spagna. Emergenze in mare che coinvolgono ormai sempre di più anche la Francia: quest’anno le traversate illegali nel canale della Manica sono triplicate rispetto al 2020.
È fresca la tragedia tra la Francia e la Gran Bretagna, a novembre, del naufragio di un gommone partito dall’Ue: tra le vittime, anche tre minori e una donna incinta. Una giovane curda è appena morta nei boschi al confine tra la Bielorussia e la Polonia. Il trend delle migrazioni è in crescita anche in Italia e continuerà nel 2022 per le conseguenze economiche della pandemia in aree già disastrate. Ed è sempre più evidente che nessuno Stato dell’Ue sarà risparmiato dai flussi, né potrà governarli da solo. Agire scompostamente a livello nazionale, senza un coordinamento europeo come per l’emergenza sanitaria del Covid-19, potrà solo aggravare la situazione. È infatti a causa delle liti sulle acque territoriali esplose tra Londra e Parigi dopo la Brexit, se sulle sponde di Calais prolifera ora il traffico di migranti. Anche le continue violazioni dei diritti umani contro i profughi nell’est Europa peggioreranno la crisi.
Tra i governi incapaci di raccordarsi si moltiplica il pressing per un’azione dell’Ue. L’urgenza di presidi europei nelle aree di crisi e di regole e procedure comuni sui richiedenti asilo nei 27 Stati membri è ancora più sentita dal basso, tra le comunità che vivono l’emergenza in prima linea, in Polonia come in Sicilia, e tra la società civile. Ed è una domanda che prende chiaramente forma anche nel dibattito tra i cittadini europei coinvolti dall’Ue nell’iniziativa di democrazia partecipativa della Conferenza per il futuro dell’Europa (CoFoE). La richiesta di un coordinamento centrale europeo per una difesa più forte dei confini attraverso l’agenzia Frontex, per fissare requisiti univoci sull’asilo e standard Ue per i centri per profughi, e per guidare l’integrazione nei Paesi membri emerge sia tra i 200 cittadini chiamati nelle sedi europee a elaborare raccomandazioni sul tema delle migrazioni, sia tra le centinaia di proposte popolari sulla piattaforma online della CoFoE.
Come la politica, la gente è spaccata tra accogliere e respingere i migranti. “Ma benché nei gruppi di lavoro una parte sia più aperta e una più chiusa, tutti ci troviamo d’accordo che la gestione attuale delle migrazioni sia troppo diversa da Paese a Paese e crei ritardi su scala nazionale ed europea”, racconta a The Vision Laura Maria Cinquini, 22enne di Prato tra gli italiani che partecipano alla CoFoE e tra gli ambasciatori dei cittadini che a gennaio porteranno le loro conclusioni nelle assemblee plenarie dell’europarlamento, di fronte a eurodeputati e rappresentanti dei governi e della Commissione Ue. “Che sia a fini di difesa o per il rispetto dei diritti umani, c’è un punto d’intesa tra noi nel chiedere un sistema più coordinato, uniforme, centralizzato a livello europeo per affrontare migrazioni”, precisa. “Il mio gruppo metterà per iscritto questa istanza. Sintesi simili si profilano anche in altri sottogruppi, ed è una convergenza meravigliosa. Il dibattito, anche se difficile, è costruttivo, il lato umano di questa conferenza è il suo successo. Significa che quanto sembra impossibile sul lato politico è superabile tra noi cittadini, anche tra grandi differenze di vedute.”.
Sulla piattaforma della CoFoE le idee (circa 550, con oltre 2000 tra autori e followers) si dividono tra un filone per “un’Unione europea terra di accoglienza e di dignità” e un altro per lo “stop all’immigrazione dai Paesi extra Ue” e il “bando alle ong”. Nel complesso, tuttavia, anche dalle consultazioni online si leva la volontà generale di un sistema di norme e istituzioni europee sull’asilo. La proposta più avallata dell’Unione delle confederazioni sindacali europee, per una “politica migratoria comune e sull’asilo”, si sposa per esempio con i suggerimenti dell’ala giovanile Lymec dei liberali europei (Alde) per “armonizzare i criteri, il tasso di accoglienza e le condizioni dei richiedenti asilo”, attraverso la “distribuzione centralizzata” da parte di una nuova agenzia Ue che provveda anche al “sostegno finanziario” dei centri profughi nei Paesi. Finanziare le strutture d’accoglienza, reclutarne il personale a livello europeo e istituire una sorta di programma Erasmus per i rifugiati nelle università sono anche le idee più sostenute nelle consultazioni tenute tra gli under 30 per la Conferenza per il futuro dell’Europa.
Tra la società civile, attivisti di Paesi dell’est – i più chiusi sull’accoglienza ma non i soli a opporsi – come il movimento Pulse of Europe della Repubblica ceca molto presente sulla piattaforma, chiedono da un lato di “dare più poteri di supervisione a Frontex, per controllare meglio i confini” e dall’altro di “stabilire una singola, efficiente procedura di asilo nello spazio comunitario” per stabilire velocemente se una persona ha diritto o se debba essere rimpatriata: “Regole comuni di integrazione che assicurerebbero una distribuzione più uniforme dei rifugiati nell’Ue”. “Questo perché l’Europa deve trovare un bilanciamento tra l’immigrazione spontanea e incontrollabile e l’accoglienza dei rifugiati”, ci spiega il presidente Pulse of Europe Czech Republic, Tomasz Peszyński, “e noi crediamo che raggiungere questo equilibrio sia possibile, rispettando standard legali e umanitari internazionali. Non ci si può sottrarre al controllo dei confini esterni dell’Unione europea, ma non possiamo neanche sottrarci all’umanità”.
Organizzazioni no profit che lavorano per l’Onu con i rifugiati propongono già know-how e progetti per ingranaggi europei di questo tipo. Lo scoglio più duro resta politico e chiama in causa, in primo luogo, i governi nazionali sulla redistribuzione equa dei richiedenti asilo tra Stati membri, modificando il Trattato di Dublino. L’accordo del 2003 che ancora oggi scarica le domande di protezione – quindi l’accoglienza della gran parte dei migranti – sui Paesi di primo ingresso nell’Ue, come l’Italia, era stato in realtà modificato da una riforma europea approvata nel 2017 dall’europarlamento: il nuovo testo fissava la ricollocazione automatica, obbligatoria e permanente dei richiedenti asilo per quote, in tutti i Paesi dell’Ue. Ma il progetto di legge fu poi affossato nella votazione del Consiglio dell’Ue (il secondo organo legislativo dell’Ue) dai governi dell’est che trovarono una sponda anche nella Germania, nella Francia e nei Paesi Bassi. Stati che chiedono oggi genericamente “all’Europa” di risolvere le loro crisi, dopo aver loro stessi bloccato decisioni cruciali per evitarle.
“Anche la nuova proposta europea del Patto 2020 sull’asilo è ferma. Il meccanismo dell’unanimità fra Stati membri, che regola le approvazioni europee, arena riforme di questo tipo. Ed è un peccato”, ragiona Antonio Sellerino, 70enne anche lui tra i cittadini selezionati casualmente dall’Ue per prendere parte alla conferenza di democrazia deliberativa. “Riunione dopo riunione, noi persone comuni ci sentiamo più unite dei governi che ci rappresentano. Tutti abbiamo ammesso, in un modo o nell’altro, la necessità di cambiamenti al trattato di Dublino, anche per eliminare le disparità nell’ottenere sullo status di rifugiato tra i Paesi Ue, una vera lotteria dell’asilo che oscilla dallo 0,3% di chance in Croazia al 99% in Irlanda”, racconta a The Vision l’ingegnere campano in pensione. “In passato l’Unione europea ha raggiunto grandi successi economici e grandi conquiste sui diritti, ora serve un nuovo salto. Anche perché non c’è alternativa, tornare a un’Europa dei piccoli Stati sarà impossibile”.
E condividere le politiche migratorie sarà inevitabile. Perché, come dimostrano i fatti, lo scaricabarile tra i governi non ferma le rotte di migrazione sempre nuove. E anche perché una comunità di Stati di diritto quale è l’Ue non può chiudere gli occhi sulle morti e sulle condizioni drammatiche e inaccettabili delle migliaia di migranti alle frontiere. Un altro punto di unione tra i cittadini che partecipano alla CoFoE, non a caso, è sulle sanzioni contro Paesi terzi e dell’Ue che violano i diritti umani. Altre aperture riguardano la ripartizione dei richiedenti asilo tra gli Stati dell’Ue su “criteri oggettivi” come le popolazioni e i Pil nazionali, arrivate man mano che tra i partecipanti si prendeva conoscenza della materia.
Per questa ragione, tra le raccomandazioni, i cittadini della conferenza rivendicheranno anche il diritto a un’informazione corretta. “È compito anche dei movimenti come il nostro far comprendere che le politiche di redistribuzione sono le più efficaci e, quel che più conta, le più oneste. Pensiamo che anche i politici lo sappiano, ma che abbiano timore di parte dell’opinione pubblica. Ciò però non giustifica le loro distorsioni che provocano isteria”, commenta Peszyński. Come spesso accade, la società si dimostra più avanti dei partiti e dei governi: anziché inseguire le paure dettate dall’ignoranza e i consensi provvisori, i leader dovrebbero cessare di strumentalizzare il tema delle migrazioni. “Mostrare coraggio e abbandonare i nazionalismi”, esorta anche il papa, equivale in fondo a dimostrarsi capaci di nuove visioni indispensabili per il futuro dell’Europa.