Tutta la storia dei migranti bloccati tra Bielorussia e Polonia (che non hai ancora osato chiederti) - THE VISION

Costa migliaia di dollari il sogno europeo, e una volta giunti alle porte dell’Unione europea anche umiliazioni, violenza e morti. È la nuova breccia sul confine tra Bielorussia e Polonia, che segna anche il termine geografico dell’Ue e della Nato, dove si concretizza il limite creato dalla mancanza di una politica migratoria comune che aiuti a gestire il flusso di persone che si lasciano alle spalle zone di guerra e Stati falliti.

La storia di questa nuova rotta migratoria inizia a maggio, quando, dopo la decisione dell’Unione europea di imporre sanzioni al regime di Minsk per il dirottamento da parte della Bielorussia di un aereo Ryanair per arrestare l’attivista e giornalista Roman Protasevich, il Presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha annunciato che il suo Paese non avrebbe più monitorato il traffico di droga e l’immigrazione illegale al confine con l’Unione.

Il piano di Lukashenko – al comando del Paese da circa tre decenni e con i risultati delle ultime consultazioni presidenziali dell’anno scorso formalmente contestati da Bruxelles – si è rivelato ben più elaborato e con una strategia di più lungo periodo sui nervi già tesi dell’Ue in materia di migrazione. A partire da giugno è stato registrato un lieve aumento del numero di migranti provenienti dal Medio Oriente (meno di 8mila persone dall’inizio dell’anno) – soprattutto Siria, Afghanistan e Iraq – che tentavano di attraversare la frontiera tra Bielorussia e Polonia, Lituania e Lettonia. Ed è stata proprio Minsk, coinvolgendo le sue ambasciate nei vari Paesi, a creare a tavolino questa situazione con l’obiettivo di fare pressione sull’Unione europea, evitare nuovi cicli di sanzioni e tornare al tavolo delle trattative con i suoi rappresentanti come un interlocutore riconosciuto. 

Alexander Lukashenko

Nei Paesi da cui hanno intrapreso il loro viaggio, i migranti si sono rivolti a più o meno attendibili agenzie di viaggio e trafficanti di esseri umani che hanno organizzato e venduto loro un pacchetto turistico completo per condurli in Europa. Visto, aereo, pullman, attraversamento del confine con l’Unione europea. Dall’estate i voli verso la Bielorussia sono aumentati, insieme ai visti rilasciati e agli ingressi illegali di persone in fuga: si parla di circa 6mila persone ammassate sul confine che domandano di entrare, Lukashenko che li spinge oltre e l’Unione che li rimanda indietro. Agnieszka Romaszewska-Guzy, direttrice dell’emittente polacca Belsat TV, ha raccontato al giornale Foreign Policy che “la società statale Centrkurort, appartenente al President’s Affairs Board, che collabora con le agenzie di viaggio irachene, è responsabile di portare migranti dall’Iraq alla Bielorussia. Queste persone ottengono visti turistici bielorussi e dopo l’atterraggio all’aeroporto di Minsk vengono sistemati in alberghi nella capitale bielorussa e infine trasportati alle frontiere”. Per questo l’Ue sta pensando a una serie di sanzioni da approvare all’inizio di dicembre che coinvolgano persone, compagnie aeree, catene alberghiere e uffici turistici inclusi in questo schema.

Il panico che i nuovi arrivi in Europa hanno scatenato, generando le reazioni violente della Polonia che ha mobilitato 10mila militari lungo il confine e li ha respinti con cannoni ad acqua, filo spinato per impedire lo sconfinamento lungo il confine lituano e lo stato di emergenza, non è una novità. Negli ultimi anni, l’Europa ha già sperimentato l’uso dei migranti come strumento per perseguire obiettivi politici. Durante la grande crisi migratoria tra il 2015 e il 2016, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha costretto l’Unione europea a sostenere Ankara con sei miliardi di euro di aiuti distribuiti con tranche pluriennali e a non prendere posizioni troppo nette sulle sue operazioni militari contro i curdi in cambio del blocco del corridoio migratorio dal Medio Oriente ai Balcani.

Recep Tayyip Erdogan

Principale artefice di quell’accordo è stato il fondatore dello European Stability Initiative Gerald Knaus, che in un’intervista per il Foglio ha criticato la strategia che l’Unione europea sta adottando in questa situazione lungo il suo confine orientale: “I ventisette stanno sostenendo una politica che è contro la convenzione dei rifugiati, non hanno contestato i respingimenti della Polonia. Il senso di questa strategia è: se non fermiamo i flussi ora, peggioreranno, e così i Paesi sostengono la Polonia che tratta le persone come delle armi. Ora però tutto questo ha posto l’Unione di fronte a un problema umanitario: per evitare che i migranti si trovino in condizioni disumane, si deve negoziare con Lukashenko, che non aspettava altro: a questo serviva il ricatto”. Knaus ha inoltre aggiunto tre opzioni con cui l’Unione europea potrebbe gestire l’immigrazione: lasciare le frontiere aperte, in linea con le leggi sui rifugiati anche se non un solo governo la appoggerebbe, la politica dei respingimenti che viene implementata in questi giorni e la via della cooperazione, mantenendo il diritto di asilo, ma limitando l’immigrazione irregolare. 

Un gruppo d’immigranti viene arrestato dalla polizia polacca, novembre 2021

“Quanto sta accadendo oggi in Bielorussia va inquadrato rispetto alla crisi dei rifugiati di sei anni fa, quando circa 850mila persone cercavano di entrare in Grecia dalla Turchia. Quelle persone provenivano da Siria, Afghanistan, Iraq, che, seppur in proporzioni diverse, sono le stesse popolazioni che adesso stanno arrivando, percorrendo la rotta verso la Bielorussia. Se nel 2015, l’Unione europea aveva dato una risposta anche politica alla crisi, anche se forzata da numeri ben più alti, oggi sta assistendo e partecipando in prima persona. La ciclicità della migrazione ci dice che non può essere fermata, ma può essere governata, anche se questo porta con sé un costo in vite umane molto alto. E noi a quelle vite dobbiamo pensarci”, ci racconta dalla Bosnia Silvia Maraone, coordinatrice dei progetti sulla rotta balcanica della Ong Ipsia.

Quello che si è aggiunto a questa crisi e alle risposte di Polonia e Lituania è stato il bando a giornalisti e operatori umanitari dalla zona di confine entro tre miglia. Così è stato difficile documentare i respingimenti e gli abusi dei governi sui migranti e di fatto è stato anche impedito di distribuire aiuti. Ma quello che si vede dalle immagini circolate sono persone in balia del freddo, con poca acqua e cibo, strette le une vicino alle altre di fronte a falò improvvisati nel gelo della foresta bielorussa, uomini, donne e bambini che cercano un riparo di fronte a soldati impassibili.

Mentre al confine dell’Europa la situazione degenera, la discussione a Bruxelles si è polarizzata nel contrasto tra la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Jean Michel. Motivo della frizione è il finanziamento di una serie di barriere ai loro confini esterni richiesto lo scorso 7 ottobre da 12 Stati membri, tra cui quelli confinanti con la Bielorussia. Von der Leyen ha promesso che non avrebbe mai approvato la sua costruzione, mentre Michel si dice favorevole. Continuare a parlare di innalzare muri non interromperà i flussi; le persone cercheranno solo percorsi più pericolosi, ci saranno più morti e i trafficanti chiederanno più denaro, come ha scritto Humza Jilani su Foreign Policy. Nella contesa si è inserito anche il Primo ministro ungherese Viktor Orb​​án, che ha detto che se Bruxelles non rimborserà il suo governo per il denaro speso per il suo muro anti-migranti nel 2015 è “pronto ad aprire un corridoio per i migranti per marciare fino all’Austria, alla Germania e alla Svezia”.

Complice e sponsor della strategia di Lukashenko è il Presidente russo Vladimir Putin, ormai esperto delle debolezze europee e su come sfruttarle: contattato dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel, Putin ha rigettato le sue responsabilità e invitato i leader europei a relazionarsi direttamente con il dittatore bielorusso.

Vladimir Putin e Alexander Lukashenko

Venerdì 26 novembre, il presidente bielorusso ha fatto visita a un gruppo di circa duemila migranti che erano stati trasferiti in un magazzino trasformato in rifugio temporaneo e ha detto a quanti lo ascoltavano che “Se voi volete andare verso ovest, non vi tratterremo, soffocheremo, picchieremo. Sta a voi, passate. Nessuno vi costringerà a salire su degli aerei, a rimandarvi a casa, se non volete farlo”. All’Unione europea si è rivolto dicendo che “Non abbiamo bisogno di scontri, figuriamoci di guerre. Fate passare queste persone in Germania. Dopotutto, né la Bielorussia né la Polonia sono la loro destinazione finale. Vogliono arrivare in Germania, lasciateli passare e il problema si risolverà”, ha affermato Lukashenko.

Intanto, i voli per chi ha accettato di essere rimpatriato sono cominciati. A Erbil, nel Kurdistan iracheno, sono tornate persone che avevano cercato di lasciarlo, ma in molte hanno già confidato ai giornalisti che tenteranno di nuovo di raggiungere l’Europa. Chi ha deciso di restare al confine tra Bielorussia e Polonia, a rischio di morire congelato, è diventato l’ennesima testimonianza di quanto la mancanza di coraggio dell’Unione europea quando si tratta di politiche migratorie sia una minaccia per decine di migliaia di migranti ogni anno. E anche per i valori su cui si fonda l’Unione europea, sempre più spesso messi in discussione da coloro che hanno giurato di proteggerli.

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