Ero bambino quando guardai per la prima volta Aprile di Nanni Moretti, e tra tutte le scene memorabili, una in particolare catturò la mia attenzione. “La sera del 28 marzo del 1994, dopo la vittoria della destra, per la prima volta in vita mia mi feci una canna”, diceva Moretti inquadrato insieme a sua madre, con la televisione accesa a mostrare il trionfo di Silvio Berlusconi. Ovviamente non avevo idea di cosa fosse una canna. Quella che Moretti teneva in mano era enorme, sembrava quasi una torcia, un bengala, così ipotizzai fosse una “sigaretta speciale”. Non l’associai a qualcosa di illegale – Nanni non poteva fare nulla di simile, suvvia – e per anni rimasi con il dubbio. Quando al liceo mi offrirono i primi tiri, ci rimasi male perché non era lunga come quella. Probabilmente condizionato dalla cultura morettiana, e cresciuto in un ambiente progressista, col tempo mi sono chiesto come fosse possibile considerare una canna una droga, seppur con l’aggiunta di quel “leggera” che non annulla il termine originario. Anche nelle sacrosante battaglie per la legalizzazione delle droghe leggere, a livello lessicale mi sono interrogato sull’efficacia del verbo legalizzare, in quanto credo che il passaggio iniziale non possa che allacciarsi alla parola normalizzare.
Sì, tecnicamente si aspira a rendere legale qualcosa che non lo è, dunque non è un errore di linguaggio. Permane però una mentalità da conservatori – e il governo in carica ne porta fieramente la bandiera – che tende a mettere sullo stesso piano la cannetta fumata tra amici e una pera di eroina. Se qualsiasi droga è il male, come vuol far crederci la destra, però, allora la battaglia è persa in partenza. Abbiamo tra l’altro diverse evidenze scientifiche che ci vengono incontro, con la cannabis che appare come nettamente meno dannosa di sostanze da sempre legali in Italia, come alcol e la nicotina. Eppure queste sono, appunto, normalizzate: la gente ormai sa che possono causare cirrosi epatiche, diversi tipi di cancro e altri danni alla salute – anche a quella degli altri, se da ubriachi ci si mette alla guida o attraverso il fumo passivo – ma ha inserito alcol e sigarette nell’ordinarietà del sistema tollerato dalla società. Un vizio che diventa costume e tradizione. La soluzione non è di certo togliere dal mercato queste sostanze e creare un nuovo proibizionismo, ma iniziare a generare una cultura sulla cannabis che non sia legata a pregiudizi e al desiderio del proibito, ma alla realtà scientifica.
Per farlo, è necessario partire dagli aspetti negativi delle droghe leggere. Il semplicismo “una canna non ha mai ucciso nessuno” non può essere la base per sradicare la mentalità bigotta e instaurarne un’altra. Gli studi più recenti, tra cui uno dell’Harvard Medical School pubblicato sul Journal of Neuroscience, rivelano come gli effetti a lungo termine della cannabis non debbano essere sottovalutati, in quanto l’uso, anche sporadico, della sostanza può provocare l’alterazione di alcune aree cerebrali e avere ripercussioni sul loro sviluppo e funzionamento. Inoltre, non tutti i soggetti reagiscono allo stesso modo all’uso della cannabis. Se vogliamo usare le parole della destra, la mia carriera da drogato è durata pochi giorni. Liceo, i primi tiri, sperimentare lo sperimentabile, soprattutto se proibito. Quando un giorno fumai una canna tutta per me e non solo un tiro, poco dopo mi venne l’attacco di panico più forte della mia vita, fino ad avere convulsioni e stati di derealizzazione e depersonalizzazione. Nessuno mi aveva avvisato che per alcuni soggetti inclini all’ansia e ai disturbi di panico poteva esserci la possibilità di rispondere male alla sostanza – probabilità che aumenta quando la sua provenienza non è accertata, mentre si riduce nel caso di uso farmacologico, o comunque nei contesti in cui essa è controllata e legale. Per altri, invece, la cannabis può essere utile per combattere proprio la stessa ansia, oltre ad avere benefici nella cura del dolore cronico e di altre patologie. Studi recenti hanno evidenziato come microdosi della sostanza siano utili anche per migliorare la memoria nei soggetti affetti da Alzheimer e rallentare il declino cognitivo.
Il mio cattivo rapporto con la sostanza, però, non mi impedisce di essere un fervente sostenitore della legalizzazione – pardon, normalizzazione – della cannabis, anche perché l’esperienza personale non può e non deve condizionare le scelte della collettività. Quindi sì, anche banali canne possono causare danni su alcuni, ma non sono minimamente paragonabili a quelli delle già citate sostanze da sempre legali nel nostro Paese. Inoltre, normalizzare l’uso della cannabis vuol dire infierire un duro colpo alle mafie e ingrossare le casse dello Stato. Le proposte di legalizzazione che abbiamo avuto negli anni però sono state sin troppo timide e caute: fosse per me, la cannabis dovrebbero venderla nei tabaccai accanto alle sigarette. In questo modo lo Stato controllerebbe la qualità del prodotto, evitando di far fumare robaccia di dubbia provenienza ai consumatori e ricaverebbe introiti non indifferenti.
Un mio amico di famiglia, settantenne, prima di andare a dormire ha bisogno di fumarsi una cannetta. Lo rilassa, e la preferisce a qualche goccia di Lexotan. Per farlo, ogni settimana, va in un quartiere malfamato dove incontra di nascosto uno spacciatore, di fatto finanziando le criminalità locali – che qui in Sicilia in particolare significa Cosa Nostra. L’immagine di questo anziano tra i vicoli bui a stringere accordi con un pusher mi ha fatto capire che siamo un Paese tristemente arretrato, ormai fanalino di coda su questo argomento. Siamo cresciuti con il mito di Amsterdam come città della libertà assoluta, ma nel mentre ci siamo persi diversi passaggi. Sono tantissimi infatti i Paesi che hanno dato l’ok all’uso ricreativo della cannabis, ultimo la Germania. Persino negli USA, dove ancora in certe zone ci sono la pena di morte e altri anacronismi simili, molti Stati l’hanno legalizzata. In Italia, invece, è tutto fermo. Due anni fa, diverse associazioni avevano fatto partire una raccolta firme per la depenalizzazione della cannabis e, simultaneamente, per la legalizzazione dell’eutanasia. Secondo l’articolo 75 della Costituzione, un referendum può essere indetto al raggiungimento di 500mila firme. In quel caso l’obiettivo fu raggiunto in meno di una settimana. Sul tema cannabis, la proposta referendaria era divisa in tre punti: l’abolizione del reato di coltivazione di cannabis per fini personali, l’eliminazione delle pene per questo tipo di coltivazione e, infine, cancellare la sospensione e il ritiro della patente di guida per chi coltiva cannabis. Nonostante il successo popolare, la Corte Costituzionale guidata dal presidente della Consulta Giuliano Amato bocciò la proposta referendaria, come anche quella sull’eutanasia.
Al momento in Italia sono circa sei milioni i consumatori di cannabis. Un numero enorme che la politica non può più far finta di ignorare. Qualcuno in modo avventato potrebbe suggerire di coltivarsi una piantina in casa invece di recarsi da uno spacciatore e foraggiare le mafie. Purtroppo però neanche questo è possibile, salvo venga accertata un’evidente tenuità del fatto. La legge in vigore, la 242/2016, consente infatti la coltivazione di canapa soltanto per fini agricoli e per lo sviluppo di filiere territoriali. Nessun uso ricreativo, e se il THC supera la soglia dello 0,6% scattano le sanzioni. Se la coltivazione viene considerata a scopo di cessione del prodotto a terzi, la reclusione è dai 2 ai 6 anni. Quindi no, nemmeno coltivare le proprie piantine è la soluzione. La cannabis può essere somministrata per scopi medici, ma bisogna passare attraverso prescrizioni e controlli rigidissimi. Gli italiani sono dunque costretti a procurarsi e assumere la sostanza nella clandestinità. Di recente, il Governo è persino intervenuto per limitare l’uso di prodotti contenenti CBD, ora inseriti indistintamente nella tabella dei medicinali e principi attivi soggetti a prescrizione medica non ripetibile.
Se quindi non si è arrivati a legiferare in merito alla legalizzazione con il centrosinistra al governo, le possibilità che questo avvenga con la destra al potere sono nulle. Nella perenne campagna elettorale anche lontani dalle elezioni, Matteo Salvini ha dichiarato che le priorità della sinistra sono “più tasse e più canne”. In generale ha sempre associato la cannabis alla droga, allo strumento di morte, e questo ha contribuito a creare nel nostro Paese un blocco culturale, un pregiudizio basato su un insieme di narrazioni sfasate più che su fatti. Ma dovremmo smettere di definire la cannabis “una droga” – nel senso contemporaneo del termine – per svariati motivi. In primis per una questione medica: per esempio è possibile morire in seguito a overdose di mandorle, ma non di cannabis. Può sembrare una curiosità buffa, ma nessuno si sognerebbe di vietare il consumo di frutta secca. Inoltre sono infondate anche le paure legate a un’eventuale legalizzazione, considerando che negli Stati degli USA dove è diventata legale, secondo i rilevamenti statistici non è aumentato il suo consumo e nemmeno l’avvicinamento alle droghe pesanti. Nella testa dei conservatori, poi, la cannabis è associata a un pericolo per i giovani. Ma questo vuol dire vivere fuori dalla realtà. Quando inizieremo a considerare nell’immaginario collettivo la cannabis alla stregua del vino, della nicotina o del caffè, forse l’attenzione potrà spostarsi sui problemi reali, a partire dall’aumento del consumo dell’eroina e di altre sostanze letali.
La normalizzazione della cannabis è fisiologica, e anche l’Italia – prima o poi – si accoderà agli altri Paesi che ne hanno giustamente legalizzato l’uso. Con gli anni forse rideremo di fronte all’ostruzionismo di oggi, considerandolo un atto fuori da ogni logica. Eppure, al momento, noi italiani viviamo all’interno dell’eco di quella risata, siamo ancora impantanati in un tempo che non dovrebbe più appartenerci. Le mafie ringraziano e le casse dello Stato piangono.