Il 25 giugno è stato approvato alla Camera il decreto giustizia che riguarda svariate misure, tra cui intercettazioni, il sistema penitenziario e l’introduzione del sistema di allerta Covid-19. Tra le norme ne è inclusa una a firma del senatore della Lega Simone Pillon – noto per il tanto discusso ddl sulla famiglia del 2018, poi archiviato nell’aprile successivo – che prevede che i contenuti pornografici online vengano bloccati in automatico da tutti i dispositivi tecnologici provvisti di collegamento internet su territorio italiano. Il titolo di questa norma, inserito come nuovo articolo 7 bis, aiuta a capire la motivazione della proposta, ovvero “Sistemi di protezione dei minori dai rischi del cyberspazio”. Il tema quindi è di quelli tra i più vecchi e discussi: con l’accesso alla connessione internet, che rende facilmente disponibili grandi quantità di materiale pornografico, gratuito e senza alcuna regolamentazione, come proteggere i bambini dall’esposizione?
Per quanto mossa da un intento nobile, l’applicazione della norma rimane notevolmente macchinosa, per non dire proprio insensata. La nuova norma Pillon infatti prevede né più né meno di un filtro parental control, a carico di tutti i gestori di telefonia, automatico per tutti i dispositivi e a prescindere dal fatto che sia potenzialmente usata da minorenni. Perciò per disattivare il blocco, il consumatore maggiorenne intestatario del contratto internet dovrebbe inviare una specifica richiesta al gestore del servizio. La norma è entrata nel testo durante il procedimento di conversione in legge e non si è deciso di modificarla, rendendola così effettiva e applicabile – in teoria – anche se con molti limiti di fattibilità: i gestori sarebbero responsabili di stabilire i contenuti ritenuti non idonei ai minori (non solo pornografia, ma anche violenza). Il Pd è intervenuto con un ordine del giorno correttivo, per chiedere che i filtri possano essere attivati solo su richiesta e non in automatico.
Al di là della sua ingenua formulazione, la norma, inserita e approvata con una fretta sospetta, lascia ampio spazio alle critiche e soprattutto appare come l’ennesimo tentativo di censura e moralismo mascherati da migliori intenzioni. Siamo lontani anni luce dall’esempio della Nuova Zelanda, che nel mese di giugno ha lanciato una campagna video di sensibilizzazione, in merito proprio all’accesso senza controllo dei pre-adolescenti al porno, diventato virale nel mondo per il suo progressismo. Nello spot, una coppia di performer del porno (nudi) bussa alla porta di casa di un ragazzino, svelando a una madre imbarazzata l’uso sconsiderato del materiale pornografico su ogni dispositivo possibile, spiegando che due persone nella vita reale non si approccerebbero mai al sesso come nei porno, senza consenso ad esempio, facendo appello al suo intervento. Consegnando così nelle mani dei genitori la responsabilità di un primo approccio all’educazione sessuale, all’insegna dello slogan “Keep it real online”, il Governo neozelandese fornisce loro un sito di supporto e di aiuto. Un approccio che non demonizza l’esistenza del porno e la sua industria cinematografica, ma che anzi parte dall’assunto che gli adolescenti, in quanto fortemente esposti e di conseguenza curiosi, necessitano di ascolto, guida, informazioni e supporto su ciò che riguarda il sesso e le relazioni. Tutto, fuorché di vergogna e giudizio. Invece in Italia anche questa occasione, invece che essere sfruttata per fare un discorso sull’educazione sessuale e affettiva a livello politico, è diventata un espediente per parlare di usi e costumi con toni paternalistici e per ribadire posizioni oscurantiste.
La pornografia – lo suggeriscono molte associazioni anche in Italia come la Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica e la Società Italiana della Contraccezione – rappresenta un danno per la formazione sessuale degli adolescenti, in particolare delle giovani donne, e non perché sia immorale. Secondo l’Indagine nazionale sulla salute sessuale e riproduttiva degli adolescenti, condotta nel 2019 dal Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità, l’89% degli adolescenti fa di Internet la prima fonte di informazione attorno al sesso, e ciò significa soprattutto materiale pornografico. Ciò comporta delle conseguenze importanti per l’immaginario sessuale e per le aspettative distorte che circondano il sesso di chi vi si approccia per la prima volta: sesso non protetto e privo di consenso, incoraggiamento di pratiche violente e sempre più estreme e una rappresentazione femminile che vede la donna come semplice accessorio al piacere maschile. Internet finisce per sostituire il dialogo con gli adulti, innanzitutto perché è sempre accessibile, e poi perché aggira il senso di vergogna e permette l’anonimato senza la paura del giudizio altrui e delle sue possibili conseguenze.
Dall’indagine emerge che circa il 53% dei 15enni italiani risulta sessualmente attivo e il 25% di essi dichiari di non aver usato alcun metodo contraccettivo e/o di protezione dalle infezioni sessualmente trasmissibili durante l’ultimo rapporto sessuale. Stando a questi dati, le misure urgenti da prendere per gli adolescenti italiani sono ben altre. Servono innanzitutto consultori territoriali e un programma di educazione sessuale ministeriale da diffondere nelle scuole senza differenze. Come sottolineato da molti attivisti, esistono molti programmi di educazione sessuale in Italia ma sono spesso slegati tra loro e non esiste un filo conduttore univoco. L’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica), attiva dal 1953 in difesa del diritto all’aborto e alla sessualità consapevole, porta avanti da anni una proposta di legge per l’“Informazione ed educazione sessuale nelle scuole” che fornisca una corretta informazione sessuale, che educhi ad una cultura della sessualità e della procreazione responsabile e offra strumenti culturali e critici per il rispetto della propria e altrui sessualità. Secondo la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità e l’UNFPA (Fondo delle Nazioni Unite per le Popolazioni), l’educazione sessuale non riguarda solo la salute, ma anche l’identità, l’intimità e il rispetto della dignità umana, aspetti spesso assenti dal porno oggi disponibile gratis su internet. Il porno disponibile su piattaforme come PornHub rappresenta spesso un tipo di performance stereotipata e irreale, in cui i ruoli di genere sono mantenuti ben stabili e anzi la figura femminile è spesso oggetto di violenza.
Per questa ragione, bisognerebbe anche avviare un dibattito sul ruolo della pornografia, parlando di porno etico e inclusivo, che non risponda ad esempio solo dello sguardo maschile etero dominante. Di proposte, fortunatamente, ne stanno emergendo tante. Attraverso il progetto Making(of)Love, ad esempio, prodotto da un collettivo di ventenni, il linguaggio del cinema erotico entrerà nelle scuole per parlare di sesso, affetto, identità e insicurezze. Si legge nel manifesto del progetto: “Creeremo un immaginario per i ragazzi diverso da quello del porno, perché è lì che oggi si impara a fare l’amore. Educare al piacere non significa trasformare gli adolescenti in un branco di pervertiti, ma a coltivare in loro la consapevolezza del proprio corpo e delle proprie emozioni in modo da essere pronti ad accettare o rifiutare un rapporto nel momento che se ne presenta l’occasione”.
Il post-porno, invece, si pone in una posizione nettamente diversa dal porno cosiddetto mainstream, innanzitutto perché non riguarda solo il mezzo audiovisivo, ma anche la performance e altri tipi di arti. Come ben spiegato nel saggio Post-Porno. Corpi liberi di sperimentare per sovvertire gli immaginari sessuali di Valentine aka Fluida Wolf, “l’intento dichiarato della postpornografia è insomma quello di smascherare i codici della pornografia convenzionale, maschilista, razzista e abilista e sovvertirla, sessualizzando lo spazio pubblico, dando voce e dignità sessuale a tutti quei soggetti esclusi, marginalizzati e umiliati da essa”. Il post-porno è un’espressione della sessualità libera, consensuale e consapevole, a cui gli occhi dello spettatore comune spesso non sono abituati proprio perché troppo avvezzo a fruire immagini stereotipate veicolate dal porno mainstream. Anche Erika Lust, regista svedese e pioniera del porno femminista, si schiera a favore di una rappresentazione non solo più inclusiva di tante diversità, ma si fa portatrice di molte istanze di tutela a favore dei lavoratori del settore, affinché l’ambiente di lavoro sia il più possibile rispettoso, equo e consensuale per tutti gli operatori, a partire da paghe adeguate. Da ultimo, in Italia è stata da poco lanciata la piattaforma Uniporn.tv, che vuole raccogliere cortometraggi di porno fatto in modo etico e indipendente, e soprattutto creare uno spazio di discussione per temi sensibili come il consenso, il desiderio e l’erotismo.
La censura, notoriamente, non è mai stata la via migliore per risolvere un problema, tanto meno se questo riguarda un’industria fiorente come quella pornografica, basata su una rete virtuale libera di esistere. Nonostante questo gli strumenti per poter proteggere la salute e il benessere della prossima generazione di adulti ci sarebbero, eppure si continua a negarli.