Precariato, mancanza di equilibrio tra vita privata e lavoro, difficoltà nel dare un senso a ciò che facciamo per guadagnarci da vivere, e al tempo stesso bisogno imposto di ostentare una vita sociale gratificante e ricca di stimoli, oggi dilagano. Si tratta di fenomeni complessi che assumono molteplici forme, non sempre facili da inquadrare. Negli ultimi decenni il precariato, per esempio, non riguarda “soltanto” la condizione economica, ma ha investito con prepotenza anche la sfera esistenziale. Ci sentiamo stanchi e incompleti, e il proliferare di modelli che veicolano desideri di vario genere non aiuta. Il flusso di informazioni a cui siamo quotidianamente esposti imprime in noi una moltitudine di pulsioni, spesso in contrasto tra loro, che si legano al desiderio di indipendenza, successo e realizzazione. Sentiamo che qualcosa non va e quindi aneliamo sempre di più a dei cambiamenti, sperando di sentirci finalmente soddisfatti e all’altezza dei modelli che abbiamo scelto di perseguire, eppure è proprio in questo meccanismo che qualcosa si inceppa.
Uno dei leitmotiv più apprezzati in questa dinamica è quello che promuove la libertà finanziaria, l’indipendenza economica, e che va fino alla capacità di imporsi come imprenditori autonomi. Sempre più lavoratori, infatti, non vorrebbero dipendere dal proprio superiore, da orari imposti, da mansioni sempre uguali e ripetitive, da un luogo di lavoro che li costringe a vivere in una determinata città, in cui magari il costo della vita rispetto allo stipendio percepito è faticosamente gestibile, rinunciando al nomadismo o anche alla possibilità di scegliere dove vivere per avvicinarsi a partner o parenti. Per raggiungere questi desideri, un fenomeno che nel mercato globale, ancora oggi, mostra dei trend di crescita significativi è il multi-level marketing o network marketing (MLM). Si tratta di un sistema di vendita diretta – oggi particolarmente diffuso nel settore alimentare/nutrizionale, cosmetici e accessori di moda, ma anche servizi finanziari e multiutilities ed energie rinnovabili – che permette al consumatore di diventare un incaricato alle vendite e di imporsi come imprenditore autonomo per conto di un’azienda. Insomma, l’evoluzione contemporanea del venditore porta a porta.
Se per le aziende questa rappresenta un’opportunità commerciale per espandersi a costi contenuti, per il cliente finale sembra tradursi in un’opportunità di business da cogliere senza particolari sforzi. Basta infatti entrare all’interno del sistema con una quota di partecipazione che si traduce nell’acquisto di un “kit d’ingresso”. Ciascun incaricato non dovrà semplicemente vendere i prodotti dell’azienda, ma dovrà costruire un proprio network reclutando altri venditori per assicurarsi ulteriori provvigioni. Le potenzialità di questo meccanismo si incentrano sulle capacità relazionali, necessarie a fidelizzare e pubblicizzare un metodo di guadagno da cui apparentemente chiunque può trarre beneficio. Si tratta quindi di offrire un modello di business in linea di principio accessibile “con un piccolo investimento”, in teoria alla portata di tutti. Chi aderisce al sistema si improvvisa “testimonial”; acquista quantità variabili di prodotti per fare dimostrazioni funzionali alla vendita o anche semplicemente fare magazzino; paga anche per accedere a webinar o a percorsi formativi; ricerca testimonianze di altri venditori di successo; investe sulle piattaforme social con sponsorizzate per raggiungere un target ideale e così via, sentendosi persino parte di una comunità che insegue un sogno comune.
Questo meccanismo win-win in realtà nasconde diversi lati oscuri. Intanto la struttura del MLM è molto simile a quella degli schemi piramidali, tanto da poterla definire una sua evoluzione legale. Lo schema piramidale si basa sul reclutamento di nuovi adepti che investono una somma di denaro per entrare nel sistema, mentre l’MLM sulla vendita di un bene, ma a conti fatti entrambi prevedono la costruzione di una rete e la promessa di avviare un’attività autonoma redditizia – che poi, spoiler, non si rivelerà tale. Molti sistemi di MLM possono, di fatto, essere considerati degli schemi Ponzi legali. In Italia la legge stabilisce che, se non viene effettivamente commercializzato un bene, e quindi il potenziale guadagno degli incaricati alle vendite si basa solamente sul reclutamento di altri venditori, allora si tratta senza dubbio di uno schema piramidale. Oltre a questo aspetto, la legge definisce una serie di “elementi presuntivi” per prevenire il pericolo di cadere in una truffa, sancendo che non vadano versate quote d’ingresso per occupare una posizione all’interno del sistema, né tantomeno pagate periodicamente quote di partecipazione. Si possono, però, acquistare “materiali da dimostrazione strumentali all’attività di vendita che per tipologia e quantità sono assimilabili ad un campionario”, a patto che il prezzo rifletta il valore del bene in questione. Questi “elementi presuntivi” vanno però incontro a problemi interpretativi. Nessuno infatti può stabilire se il prezzo pagato per il “kit d’ingresso” o per il percorso formativo obbligatorio sia commisurato all’effettivo valore che questi beni o servizi hanno sul mercato. Esistono poi numerosi casi in cui i beni commercializzati, oltre ad avere un costo spropositato, sono anche scadenti.
Oltre a questo, sono pochissimi i venditori che riescono a recuperare l’importo versato per il “kit d’ingresso” – spesso utilizzato come escamotage per mascherare il versamento di una quota di partecipazione – o per altri servizi extra. Tante testimonianze dimostrano come a guadagnare cifre considerevoli siano soltanto le aziende, o chi occupa i vertici dello schema, mentre tutti gli altri perdono il capitale investito o si indebitano per recuperarlo, peggiorando la loro condizione iniziale. Molte persone però credono ancora alle promesse della retorica utilizzata per alimentare i sistemi di MLM, perché fa leva sulle loro fragilità, quelle di cui si parlava all’inizio, di chi magari fa fatica ad arrivare alla fine del mese, di chi è alla ricerca disperata di un lavoro, di chi accusa il peso delle imposizioni di un normale impiego, di chi si sente perennemente svalutato. Ciò che viene venduto è l’illusione di dare una svolta alla propria vita attraverso un’attività autonoma che esalti le doti personali e rafforzi l’identità.
Quella che da molti studiosi viene definita come “ontologia imprenditoriale” – ovvero il considerare ogni organizzazione, attività o progetto con i termini del business, accertandosi che il bilancio sia sempre positivo e che ogni sforzo produca dei risultati – attecchisce proprio perché sempre più individui interpretano questa autonomia come l’unico modo per affermarsi. Il fatto che questa visione, oltre a caratterizzare le decisioni della politica, abbia preso largo campo anche nella sfera sociale è il frutto della diffusione di una precisa narrazione che mira alla performance e all’esaltazione di un’ideale di libertà capitalista. Essa intercetta il desiderio di indipendenza e impone il “fare impresa” come modello di emancipazione per ottenere più autonomia sul piano delle possibilità di scelta. La formula è semplice: non è mai colpa del sistema e dei suoi malfunzionamenti, ma è sempre colpa dell’individuo che non trova la formula giusta per ottenere ciò che desidera.
L’imprenditore e autore motivazionale Robert Kiyosaki, nel 2010, è arrivato a definirlo proprio come “il business del XXI secolo” nel suo omonimo libro. Nel testo, descrivendo la crisi del 2008, che ha segnato duramente la generazione dei millennial, afferma che le forme di reddito o di sostentamento classiche siano in declino. Le pensioni si abbassano e non garantiscono più lo stesso benessere; le multinazionali affrontano ciclicamente crisi terribili che le costringono ad abbassare i salari o licenziare parte dei propri dipendenti; i valori di beni immobili e titoli finanziari possono crollare da un giorno all’altro; l’inflazione fa aumentare i prezzi dei beni di prima necessità e indebolisce il potere d’acquisto. Il mito del “posto fisso”, di un lavoro da dipendente, con tutte le sue garanzie, attraversa una profonda crisi. La risposta a questa crisi sembra sempre risiedere nel “fare business”. Per dirla con Kiyosaki: “Se vuoi un futuro solido, devi creartelo. Puoi prenderti cura del tuo futuro solo quando assumi li controllo della tua fonte di reddito. Hai bisogno del tuo business personale”. Il mondo quindi si divide tra chi accetta uno stipendio fisso (magari non sufficiente), e chi, invece, fa network marketing, diventa imprenditore di se stesso generando costantemente attivi da cui ricavare profitto da reinvestire su altri business (e che magari ha comunque problemi economici, ma questo non ce lo dicono). Per riprendere il più famoso bestseller di Kiyosaki, Padre ricco, padre povero, uno dei libri sul business più venduti di tutti i tempi, pubblicato nel 1997, tutti, in questo periodo storico pieno di incertezza, sentiamo il bisogno di dare retta al “padre ricco” che è in noi e chiudere in soffitta quello povero.
I saggi di Kiyosaki non sono semplici testi sul business, ma sembrano manuali su come costruire una retorica che ruota attorno ai concetti di libertà finanziaria, indipendenza e realizzazione professionale – intrisa di tutti i bias del capitalismo. Figli di questa cultura, ormai siamo talmente condizionati dalla retorica del “fare business”, dell’imporci come imprenditori autonomi, liberi di desiderare e fare qualunque cosa, che non riusciamo più a vivere senza l’eterna promessa di una scalata verso la realizzazione professionale e personale. Dovremmo allora, da un lato, riconsiderare il concetto di realizzazione personale, accogliendo modelli che non si limitino a renderla un feticcio o una meta ideale da raggiungere a tutti i costi; dall’altro, comprendere che spesso i modelli consigliati dal vicino, o trovati per caso sul web, anche se appetibili, suggeriscono soluzioni assurde o persino dannose. Dovremmo chiederci di quale tipo di libertà, indipendenza e autonomia abbiamo realmente bisogno per non ricadere in narrazioni fuorvianti. Non è detto infatti che “fare business” o avviare un progetto personale entusiasmante sia la risposta a tutti i nostri mali o l’unico modo per rendere la nostra vita piena e soddisfacente. I modelli che scegliamo di perseguire, anziché liberarci, a volte, possono renderci ancora più schiavi.