Luis Sepúlveda è tra i cileni più famosi al mondo, eppure è tornato a essere cittadino di questo Paese solo nel 2017, dopo 31 anni trascorsi da apolide. Lo scrittore faceva parte dei GAP, Grupo de amigos personales, la guardia personale del primo Presidente socialista di ideologia marxista democraticamente eletto nel mondo: Salvador Allende. Dopo il golpe dell’11 settembre 1973, durante il quale il governo insediatosi solo tre anni prima fu rovesciato nel sangue e Allende perse la vita, seguì l’instaurazione di una feroce dittatura militare durata 17 anni il cui comandante in capo era il generale dell’esercito Augusto Pinochet.
Sepúlveda, come tanti altri giovani militanti e civili cileni – quasi un’intera generazione considerando le quarantamila vittime di tortura, i perseguitati, i morti e i desaparecidos – cadde nella rete della repressione più dura. “Quel giorno la giovinezza è stata brutalmente interrotta,” ha dichiarato recentemente nel documentario sulla sua vita intitolato Lo scrittore del sud del mondo. Il giovane Sepúlveda venne arrestato il 4 ottobre del 1973, il giorno del suo ventiquattresimo compleanno, e fu accusato di alto tradimento della patria e banda armata: a queste accuse seguì la tortura perpetrata dai militari golpisti.
Sepúlveda ricorda la ferita inferta alla sua generazione nel romanzo L’ombra di quel che eravamo : “La giovinezza era rimasta sparpagliata in centinaia di posti, strappata a brandelli dalla scosse elettriche negli interrogatori, sepolta in fosse segrete che lentamente venivano alla luce, negli anni di carcere […] restavano solo canzoni di lotta che nessuno cantava più perché i padroni del presente avevano deciso che in Cile non c’erano mai stati giovani come loro”.
Luis Sepúlveda ha sempre accusato gli effetti devastanti del neoliberismo incontrollato: lo scrittore denuncia da anni che il golpe del 1973 aveva l’obiettivo di imporre in Cile il modello neoliberale dell’economia. Quando nel 1999 i documenti del Dipartimento di Stato e della CIA afferenti agli anni tra il 1973 e il 1978 furono desecretati, fu provata l’ingerenza nel colpo di Stato cileno del governo degli Stati Uniti: in primis dell’allora Presidente Richard Nixon e del suo Segretario di Stato Henry Kissinger.
In piena guerra fredda, l’esperienza del governo di Allende intimoriva i vicini Stati Uniti perché si stava rivelando vincente: il Presidente cileno aveva formato un governo con socialisti, comunisti, radicali e cattolici di sinistra, la coalizione denominata Unidad popolar. Il sogno di Allende era quello di un socialismo democratico diverso dagli altri, la cosiddetta “terza via” all’attuazione del socialismo: una formula democratica ma non per questo meno radicale nella realizzazione di una politica ispirata dall’ideologia marxista che prevedeva la redistribuzione della ricchezza, la compartecipazione dei mezzi di produzione e l’assegnazione delle terre ai contadini.
Un’esperienza che avrebbe potuto influenzare la Francia ma soprattutto l’Italia, il Paese con il partito comunista più forte d’Europa e che in quegli stessi anni pagava il prezzo della cosiddetta “strategia della tensione”, una triste pagina della nostra storia nazionale in cui vennero perpetrati atti terroristici, da attribuire agli anarchici e ai comunisti, preordinati a creare paura nella popolazione e a giustificare politiche autoritarie.
Un Cile socialista inquietava anche la borghesia e la classe imprenditoriale che infatti si mobilitarono per bloccare il Paese con gli scioperi e diffondendo false notizie tramite i maggiori organi di informazione sovvenzionati dal governo degli Stati uniti che fungeva da sobillatore. Il golpe avvenne, Allende morì, la gioventù socialista e comunista fu perseguitata ignorando deliberatamente tutte le Convenzioni di Ginevra, i libri e i dischi furono bruciati e sul Cile calò un velo di paura e disperazione.
In molti hanno descritto il Cile soggiogato dalla dittatura di Pinochet un “laboratorio” delle teorie neoliberiste dell’economista statunitense Milton Friedman. Friedman è il padre morale del cosiddetto “miracolo cileno”, un termine altisonante per descrivere il processo di privatizzazione e liberalizzazione dell’economia del Paese favorito dall’afflusso di denaro proveniente dal Fondo monetario internazionale, il quale poneva come condizione per elargirlo l’applicazione di teorie neoliberiste, i “piani di aggiustamento strutturale”.
Un assetto che, oltre ridurre la sovranità popolare, ha creato un’incolmabile diseguaglianza tra ricchi e poveri, l’assenza del welfare state e un sistema previdenziale che dall’epoca del dittatore Augusto Pinochet è in mano alle aziende private e che il passaggio alla democrazia non ha scalfito. Un lungo elenco di problemi che hanno causato le recenti rivolte nel Paese sulle quali aleggia lo spettro del golpe del 1973, a cominciare dalle ripetute violazioni dei diritti umani che si sono registrate.
Purtroppo la crisi del neoliberismo è coincisa con la crisi della sinistra progressista: il risultato è una rabbia scomposta e non protesa verso un ideale. Sepúlveda ha riposto le sue speranze nei giovani cileni, ma li invita a lavorare per costruire un progetto politico alternativo per allontanarsi dal mito della perenne crescita economica e iniziare a costruire un nuovo modo di vivere. Il continente americano è un laboratorio politico importante, perché nella regione convivono le esperienze sovraniste e di estrema destra del Brasile e degli Stati Uniti e i positivi esperimenti politici della sinistra in Bolivia e Uruguay. Ma bisogna riconoscere gli errori della izquierda, altrimenti come ha dichiarato lo stesso Sepúlveda si commette il peggiore dei peccati laici, il dogmatismo.
Nel 1973, dopo aver subìto un processo farsa, il giovane scrittore, venne condannato alla pena capitale che poi fu commutata in 28 anni di carcere e che infine, grazie all’intercessione di Amnesty International, divennero otto anni di esilio. Nel 1986 Pinochet era da poco sfuggito a un attentato. L’opposizione, nonostante la repressione, continuava la sua attività clandestina di opposizione al regime e dall’estero, gli esiliati e i rifugiati politici, davano costante supporto e solidarietà alla causa antigovernativa.
Sepúlveda all’epoca viveva in Germania, ad Amburgo, e venne inserito in una lista di 86 cileni in esilio a cui Pinochet per “superbia vendicativa” aveva negato la cittadinanza, come ha rivelato lo scrittore nella raccolta di racconti intitolata Storie ribelli. Dal giorno in cui gli venne detto “Lei non ha diritto al passaporto cileno. Viste le sue attività sovversive e antipatriottiche le è stata ritirata la nazionalità”, per oltre trent’anni il suo Paese di origine non lo ha voluto riconoscere.
“Il ritorno è stato doloroso. Non pensavo di trovarmi di fronte a questa grottesca imitazione di Miami”, ha detto con rammarico Sepúlveda nel documentario Lo scrittore del sud del mondo, “Santiago ha deliberatamente sacrificato tutto il suo patrimonio architettonico sull’altare della speculazione edilizia. Anche in questo caso la dittatura è stata implacabile, è impressionante, hanno distrutto tutto per costruire simili schifezze”.
Sepúlveda aveva creduto a un progetto rivoluzionario e insieme a lui i giovani cileni che militavano nelle fila della gioventù comunista e socialista del Paese: la lezione morale impartita da Allende. “Gli anni di Unidad popolar sono stati un sogno ad occhi aperti”, ha testimoniato la regista Carmen Castillo nel documentario diretto da Nanni Moretti Santiago, Italia, “un Paese intero, una società intera, era innamorata”. Anche per questo quell’11 settembre 1973 ha rappresentato non solo l’inizio di un’ingiustizia mai sanata, inferta nella mente e sui corpi martoriati di tanti cileni, ma anche la fine di una visione politica di fratellanza e condivisione laica.
Il Cile è un Paese con una ferita ancora infetta che non si è mai rimarginata, un dolore che viene trasmesso di generazione in generazione cosicché anche i giovani che non hanno mai vissuto l’esperienza del governo di Allende e i lunghi anni di dittatura militare, sono consapevoli del peso emotivo e intellettuale che comporta essere cileni. La nuova generazione che sta guidando le rivolte di piazza sa che il Paese che gli è toccato in sorte non è quello che avrebbero voluto lasciargli le loro madri e i loro padri, è consapevole che il corso della storia è stato deviato da volontà occulte che hanno badato agli interessi di pochi a discapito del benessere di tutti, soprattutto dei più deboli.
Per capire il Cile di oggi non si può prescindere dalla storia del golpe del 1973, il momento in cui al Paese sudamericano toccò l’onere di divenire una cavia del modello neoliberale. Agli intellettuali spetta il compito di raccontare la storia dei vinti: questo è il ruolo sociale che Luis Sepúlveda si è assunto, come Pablo Neruda prima di lui, altro illustre cileno. Sepúlveda è il romanziere della nostalgia e forse anche per questo piace tanto al pubblico italiano. Esistono varie declinazioni della nostalgia e quella che accomuna cileni e italiani è il rimpianto di un tempo che sembrava essere felice, prima che qualcuno ci rubasse anche solo la possibilità di essere migliori.