A giugno dello scorso anno, con una manovra abbastanza ingiustificata, la giunta leghista della regione Umbria guidata da Donatella Tesei aveva abrogato una precedente legge regionale che prevedeva la possibilità di interrompere la gravidanza con la Ru486 in day hospital, ripristinando il ricovero obbligatorio. A causa del grande sdegno provocato da questo provvedimento e delle difficoltà che molte donne avevano riscontrato nel servizio di Ivg durante la pandemia in tutta Italia, il ministro della Sanità Speranza aveva deciso di modificare le linee guida per l’aborto farmacologico, eliminando l’obbligo di ricovero su tutto il territorio nazionale. Alcune regioni si sono attrezzate per non dare seguito alle nuove direttive, come il Piemonte e recentemente anche le Marche, mentre l’Umbria le ha adottate senza fiatare. L’associazione antiabortista “ProVita e Generazione Famiglia”, con cui Tesei aveva firmato un Manifesto Valoriale a “tutela della vita nascente” durante la campagna elettorale, non l’ha presa benissimo. “La Tesei stralcia il patto con le associazioni ProLife e ProFamily”, ha titolato Notizie ProVita, affermando che la scelta della governatrice “stupisce e indispone” perché si trattava di un “atto dovuto”. Family Day con un comunicato ha invece espresso “amarezza e profonda preoccupazione” perché l’associazione si aspettava “una fedeltà completa al Manifesto Valoriale”.
In poco più di un mese, Tesei ha però trovato il modo di riallinearsi. La consigliera della Lega Paola Fioroni ha infatti proposto una legge regionale che prevede una serie di integrazioni e modifiche al Testo unico in materia di sanità e servizi sociali che ricalca in maniera quasi identica le proposte contenute nel Manifesto Valoriale. Se approvata, questa legge aprirebbe le porte alle associazioni antiabortiste nei servizi pubblici come i consultori. La legge contiene inoltre numerosi richiami alle previsioni del “ddl Pillon”, la contestata e mai approvata riforma sull’affidamento familiare, proposta dal senatore leghista Simone Pillon, che proprio a Perugia risiede e ha il proprio studio legale che promuove la mediazione familiare ed è responsabile delle politiche familiari della Regione.
Le principali modifiche previste riguardano il sostegno della natalità, un esteso coinvolgimento dell’associazionismo familiare nelle politiche della Regione e il potenziamento dei servizi di mediazione familiare. Gli intenti sono evidenti sin dalla massiccia riscrittura dell’art. 296 del Testo unico, che apre la sezione della legge regionale dedicata alle politiche per le famiglie. Le novità riguardano un comma dedicato alla “natalità e la lotta all’inverno demografico come valore da perseguire anche con strumenti di sostegno delle politiche familiari”, l’aggiunta “della tutela della vita umana dal concepimento alla morte naturale” tra le aree protette dalle politiche familiari, nonché l’impegno a “tutelare e promuovere la vita umana fin dal concepimento e in tutte le sue fasi […] favorendo interventi volti a prevenire e a rimuovere le difficoltà economiche, sociali e relazionali che possano indurre all’interruzione di gravidanza, anche attraverso apposite convenzioni con soggetti non istituzionali”.
Tale impegno si traduce, come indicato nell’art. 298 bis, che verrebbe introdotto ex novo, in un assegno prenatale e nel potenziamento delle attività dei consultori familiari e di altre strutture private convenzionate anche per la prevenzione dell’aborto volontario. Come scritto nel comma 3 dell’art. 298 bis di nuovo conio, gli enti locali – cioè Regioni, province e comuni – potrebbero “integrare con proprie risorse gli interventi finanziari” previsti da questo articolo. Anche nella relazione illustrativa della legge è specificato che questi progetti “comporta[no] oneri aggiuntivi a carico del bilancio regionale”. Per non farsi mancare nulla, nell’art. 299 l’attività di orientamento e il raccordo operativo con i centri che praticano la procreazione assistita vengono sostituiti con l’informazione circa “la possibilità che ogni donna ha, se adeguatamente informata, di avere una conoscenza diretta della propria fertilità attraverso la sua regolazione mediante metodi naturali”.
I soggetti non istituzionali di cui si parla nel documento sono le associazioni che “promuovono la cultura della famiglia”. Per individuarle, viene proposta all’art. 297 ter l’istituzione di un apposito “Elenco regionale degli organismi di rappresentanza delle famiglie”, i cui criteri di formazione e iscrizione sono decisi dalla Giunta stessa “con propria deliberazione”. Anche se nel testo della legge non è stato chiarito quali siano questi criteri con una sorta di delega in bianco, vale la pena ricordare che nel Manifesto Valoriale firmato da Tesei si proponeva l’istituzione di un “Tavolo permanente della famiglia insieme alle associazioni pro family e pro life”. Nelle intenzioni del Manifesto, questo Tavolo dovrebbe avere anche un parere vincolante per la scelta del Garante regionale dell’infanzia e dell’adolescenza, selezionato da un albo creato dalle associazioni stesse. Qualora la legge passasse, le associazioni dell’Elenco potrebbero avere, all’evidenza, un grande peso nella gestione nelle politiche familiari umbre, come scritto nella relazione illustrativa della legge.
La promotrice della legge Paola Fioroni, intervistata da The Vision, ha dichiarato che “le associazioni da inserire nell’elenco saranno individuate in considerazione del loro oggetto sociale compatibile con le finalità perseguite dalla legge” e che “non riceveranno fondi per lo svolgimento di questa attività”. Tuttavia, visto che queste associazioni potranno svolgere servizi all’interno dei consultori pubblici e privati per i quali sono previsti nuovi finanziamenti, resta da chiarire se si tratterà di collaborazioni a titolo volontario. Le finalità della legge citate da Fioroni sembrano quelle esplicitate all’art. 297 bis, che impegna la Regione a “valorizzare” le associazioni che “sostengono la vita nascente” e che “sostengono l’unità del nucleo familiare e promuovono il corretto esercizio dell’affido condiviso anche dopo la separazione o il divorzio”. Altre iniziative riguardano poi la creazione di un’Agenzia per la famiglia, gli sportelli per la famiglia e l’istituzione del Fattore famiglia, un indicatore economico che si basa sul numero dei componenti del nucleo familiare: tutte iniziative promosse nel Manifesto Valoriale.
C’è poi spazio per alcune delle proposte che erano contenute nel Ddl Pillon e per le istanze sostenute da alcune associazioni di padri separati. Il documento prevede infatti consistenti modifiche all’art. 298 del Testo unico, relativo agli interventi a favore delle famiglie monoparentali e di genitori separati e divorziati. Le iniziative riguardano il potenziamento dei servizi di “assistenza, consulenza e mediazione familiare”, anche per la “prevenzione delle crisi familiari”. La mediazione familiare era già prevista dal vecchio Testo, ma solo “allo scopo principale di sostenere i genitori nell’individuazione delle decisioni più appropriate, con particolare riguardo agli interessi dei figli minori”. In quello nuovo, sembrerebbe che la mediazione familiare abbia lo scopo di prevenire separazioni e divorzi, dal momento che – come scritto nell’art. 296 – il nucleo familiare va “protetto e recuperato”. Si parla così anche di “diritto alla bigenitorialità”, senza che sia fatta alcuna menzione, tuttavia, di procedure diversificate e specifiche per le situazioni di violenza accertata, se non quelle già previste dall’art. 301 del Testo, ovvero le case rifugio per le donne e bambini vittime di violenza o in condizione di grave disagio. È comunque preoccupante che all’art. 298, al posto della tutela delle “donne vittime di violenza” nei consultori si parli genericamente di “persone”, anche se restano invariati gli interventi previsti per le case rifugio. Anche in questo caso, per questa mediazione familiare “preventiva” nei consultori vengono disposti “oneri aggiuntivi a carico del bilancio regionale”: la consigliera Fioroni non ha fatto commenti ulteriori sui finanziamenti previsti per la mediazione familiare, limitandosi a riferire che “le azioni previste dalla Legge di riforma saranno finanziate con un incremento degli stanziamenti già previsti in bilancio”, anche se non ne è stata chiarita la provenienza.
Non stupisce quindi che lo scorso novembre proprio Simone Pillon abbia presentato la proposta legge in conferenza stampa con i promotori Paola Fioroni e Stefano Pastorelli e il segretario regionale della Lega, Virginio Caparvi. “Si tratta di una proposta di legge che arriva a compimento di un lavoro iniziato nel 2009 quando il Forum Famiglie Umbria di cui ero presidente raccolse 12mila firme per una proposta di legge regionale sulla famiglia. Ora finalmente la togliamo dal cassetto e la rendiamo strutturale”, ha dichiarato il senatore. Secondo il consigliere regionale dell’opposizione e capogruppo del Pd Tommaso Bori, “sembra che con questa proposta, Pillon riprovi a livello locale quello che non gli è riuscito a livello nazionale, dall’insistenza sulla famiglia naturale alla reintroduzione della mediazione familiare”.
Anche Rete Umbra per l’Autodeterminazione che riunisce diverse associazioni femministe e LGBTQ+, interpellata da The Vision, crede che questa legge tenti “in maniera neanche tanto velata, di affermare l’esistenza di un’unica tipologia di famiglia, con un’impostazione anacronistica e retrograda”. Il timore è che “nei pochi consultori sopravvissuti, le associazioni delle famiglie diventino ‘guardiane’ e assumano un potere enorme”. Per Fioroni, la proposta di legge si limita invece ad applicare le disposizioni della legge 194/78, riferendosi in particolare all’impegno “a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”, e ha specificato che “parlare di consultori privati non indica nessun tipo di intenzionalità a preferirli a quelli pubblici”.
Resta tuttavia la preoccupazione che una legge che fa esplicito riferimento alla “tutela della vita sin dal concepimento”, all’“inverno demografico” (un termine che viene usato negli ambienti sostenitori di politiche anti-abortiste) e alla “libertà educativa” (chiaro riferimento alle iniziative “anti-gender” in ambito scolastico) non abbia tra le sue priorità la difesa del diritto a ricorrere all’Ivg, previsto e disciplinato dalla legge 194. Viene allora da chiedersi perché, a fronte dell’incremento degli stanziamenti già previsti in bilancio per il welfare confermatoci anche da Fioroni, a nessuno sia venuto in mente di destinare questi fondi semplicemente ai consultori pubblici che forniscono assistenza sia per l’Ivg che per il sostegno alla gravidanza, anziché aprire le porte a un tipo di associazionismo privato così ideologicamente orientato.