Untori, incoscienti, egoisti, opportunisti. Per media e politica i giovani sbagliano a prescindere. - THE VISION
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Nei giorni scorsi il commissario straordinario all’emergenza Covid, il generale Francesco Paolo Figliuolo – sulla base delle indicazioni del Comitato tecnico-scientifico –, ha sospeso la somministrazione del vaccino AstraZeneca per una larga fascia della popolazione, dichiarando che “sarà usato solo per gli over 60”. La decisione è arrivata a seguito della morte di Camilla Canepa, la diciottenne di Sestri Levante che, dopo aver ricevuto una dose di AstraZeneca in occasione di un open day vaccinale il 25 maggio, è deceduta il 10 giugno. Secondo le recenti ricostruzioni, la ragazza era affetta da piastrinopenia familiare, un deficit congenito della coagulazione che non sarebbe stato segnalato nella scheda dell’anamnesi e che avrebbe provocato una reazione avversa. Eppure, già il giorno successivo la morte della giovane, il Fatto Quotidiano ha titolato in maniera molto violenta: “Camilla, vittima n.1: Chi chiede scusa?”.

Il generale Figliuolo

La comunicazione sul vaccino AstraZeneca è apparsa, fin dall’inizio, molto confusionaria: approvato dall’European Medicines Agency (Ema) lo scorso 29 gennaio per tutti gli over 18, in Italia è stato dapprima somministrato – su parere dell’Agenzia italiana del farmaco – alle persone al di sotto dei 55 anni; da metà febbraio, attraverso una circolare del ministero della Salute, il governo Draghi ne ha esteso l’autorizzazione all’uso fino ai 65 anni alla luce delle “nuove evidenze scientifiche che riportano stime di efficacia del vaccino superiori a quelle precedentemente riportate”. Poche settimane dopo, il 7 aprile, anche a seguito della pronuncia da parte dell’Ema sulla possibile associazione tra il siero AstraZeneca e rarissimi casi di trombosi, con una nuova circolare è stata ribadita l’approvazione a partire dai 18 anni, raccomandandone però “un suo uso preferenziale nelle persone di età superiore ai 60 anni”. 

Alla confusione generata dalle istituzioni, si è aggiunto l’allarmismo dei media. Le principali testate italiane hanno abbandonato fin da subito l’opportunità di fare una buona informazione, con approfondimenti chiari e oggettivi sul caso, mettendo in dubbio, in maniera del tutto arbitraria, l’efficacia e la sicurezza del vaccino. Basti pensare che già lo scorso aprile, Reputation Science – società attiva nell’analisi e gestione della reputazione delle aziende – ha notato come, mentre i social “hanno adottato un atteggiamento più maturo rispetto ai vaccini”, i media tradizionali hanno polarizzato le opinioni in merito (soprattutto su AstraZeneca) in maniera molto negativa. 

Anche e soprattutto per il modo in cui sono state diffuse le notizie al riguardo, lo scorso maggio si respirava una generale sfiducia nei confronti del siero di AstraZeneca. Moltissime dosi erano ferme nei frigoriferi dei centri vaccinali, inutilizzate: in Sicilia, per esempio, oltre il 49% delle fiale; in Basilicata il 46,86%. Per smaltirle, le Regioni hanno deciso di organizzare gli “AstraDay”, open-day vaccinali aperti a tutte le persone al di sopra dei 18 anni. All’iniziativa hanno partecipato tantissimi giovani, gli stessi che solo l’estate scorsa venivano accusati di essere fonte di contagio, ‘untori’ impulsivi ed egoisti o – peggio ancora – “assassini” perché, dopo un lockdown di tre mesi, avevano il naturale desiderio di ritrovare un momento di socialità. 

L’adesione in massa delle nuove generazioni è ancora più sorprendente se si tiene conto del fatto che, in caso di contagio, la malattia comporta rischi ridotti per loro. Questo è confermato anche dai dati aggiornati al primo giugno 2021 dell’Istituto Superiore di Sanità sui decessi COVID-19 per classe di età, secondo i quali il virus colpisce in maniera letale quasi esclusivamente gli over 60, mentre si dimostra quasi innocuo per gli under 40. Non risulta neppure una persona sana, senza patologie pregresse, fra i 336 morti italiani di COVID-19 con meno di 40 anni; al di sotto di questa età, persino la percentuale delle ospedalizzazioni si conferma bassissima. Inoltre – come emerso da uno studio pubblicato il 23 aprile dall’Ema – in condizioni di bassa circolazione virale, gli effetti indesiderati del vaccino, seppur molto bassi, potrebbero rappresentare per le fasce di età più giovani un rischio maggiore rispetto ai benefici generali: ogni 100mila vaccinati, abbiamo 1,9 casi di trombosi e zero morti evitate nella fascia 20-29; 1,8 trombosi e zero morti evitate anche per la fascia 30-39. 

È chiaro, tuttavia, che le morti non sono l’unico parametro di valutazione. Non a caso, l’Ema considera anche il rapporto con il numero di ospedalizzazioni e dei ricoveri in terapia intensiva evitate dalle vaccinazioni dei più giovani. Ogni 100mila somministrazioni, si contano 37 ospedalizzazioni in meno fra i 20-29enni e 54 fra i 30-39enni in condizioni di media diffusione; diventano 4 fra i 20-29enni e 5 fra i 30-39enni in una situazione di scarsa diffusione. Positivo anche il numero dei ricoveri in terapia intensiva evitati: 3 fra i 20-29enni e 5 fra i 30-39enni in condizioni di media diffusione. Questo significa che con la vaccinazione i più giovani contribuiscono a non occupare i posti letto in ospedale e nelle terapie intensive. Inoltre, le vaccinazioni anche dei più giovani contribuiscono a evitare lo sviluppo di varianti potenzialmente più aggressive e a prevenire la trasmissione del virus.

Nonostante la maturità e l’altruismo dimostrati nel vaccinarsi salvaguardando, più che loro stessi, gli over 60, ancora una volta i giovani sono finiti al centro delle critiche. Accusati di essere incoscienti, di vaccinarsi per andare in discoteca, “attirati da affabili dj a suon di musica moderna” o per “poter avere il lasciapassare per le vacanze, per prendere l’aereo per Ibiza o Santorini, o semplicemente per Rimini o per la Versilia”. Il deputato della Lega Claudio Borghi – intervenuto il 9 giugno alla Camera – ha condannato “gli Open day con dei ragazzini che non hanno in questo momento la capacità di discernere che cosa è bene per loro, ma stanno semplicemente pensando che se vanno a vaccinarsi poi potranno andare in discoteca e che se vanno a vaccinarsi poi non saranno esclusi dagli amici”. Questa opinione è molto più diffusa di quanto si pensi. Il turbo-filosofo Diego Fusaro, per esempio, ha scritto che “Stanno oscenamente ingannando i giovani, facendo loro credere che per essere liberi di stare insieme, di partire, di muoversi, di fare assemblea occorra sottoporsi al Sacro Siero e ottenere il prezioso Passaporto Verde. E, quel che è peggio, i giovani ci cascano e si piegano a questa infame pratica ricattatoria”.

Diego Fusaro

La raffigurazione dei giovani come sciocchi o irresponsabili è spesso rilanciata dagli stessi giornali generalisti. Basti pensare che – in una recente intervista al Corriere della Sera – il professore emerito di Medicina interna Pier Mannuccio Mannucci ha affermato che “I ragazzi puntano a ottenere il green pass, la carta per viaggiare e accedere a eventi di massa, non pensano ai rischi anche perché da giovani ci si sente invincibili e non si pensa al peggio”. Nello stesso giorno dell’uscita dell’intervista citata, su Domani il direttore Stefano Feltri attribuisce ai giovani la ‘colpa’ opposta di non sottoporsi alla vaccinazione: “Se ci sono ragazzi egoisti al punto di rinunciare al vaccino per evitare quel piccolo rischio di complicazioni, forse è giusto che nessuno possa costringerli a vaccinarsi. […] Che gli adulti al governo e alla guida delle agenzie sanitarie avallino un simile egoismo nel pieno di uno sforzo collettivo di questa portata è, come minimo, diseducativo”.

Anche in questo caso, si tratta di un’idea molto condivisa e diffusa dai giornali, nonostante i dati la smentiscano chiaramente. Intervistato da Il Sole 24 Ore, il professor Guido Rasi – ex direttore esecutivo dell’Ema e attualmente consulente del commissario per l’emergenza Coronavirus – ha dichiarato che, per convincere i giovani a vaccinarsi, userebbe “in modo più perentorio il Green pass, senza il quale precluderei alcune cose: dai voli aerei ad alcune attività ludiche come i concerti o le partite di calcio, ma anche i ristoranti”. Sempre per invogliare gli under 20 e 30 a vaccinarsi, il Ministero delle Politiche Giovanili starebbe pensando a una campagna di sensibilizzazione sui social che vedrebbe il coinvolgimento degli influencer di Instagram, Facebook, Twitch e Tik Tok. Questo nonostante, proprio fra i giovanissimi, la propensione a vaccinarsi sia più alta (75% fra gli over 25, appena il 42% fra gli over 55). 

Anche i livelli di conoscenza dei vaccini anti-Covid 19 sono, fra i ragazzi, più alti che nel resto della popolazione. Se questo non bastasse, può essere interessante analizzare i risultati della Ricerca sulla fiducia dei giovani sulla scienza, condotta dalla Fondazione Mondo Digitale (Fmd) e Janssen Italia. Dall’indagine è emerso che la fiducia delle nuove generazioni nei decisori politici, negli scienziati e nei medici è alta: nonostante una certa insoddisfazione per la gestione comunicativa dell’emergenza sanitaria, percepita come confusionaria, i giovani considerano prioritario il ruolo della ricerca per nuovi vaccini e farmaci (81%), seguito dalla gestione equilibrata dei decisori politici (53%) e da una corretta comunicazione (30%). Se a questo sommiamo il fatto che dal 3 giugno – giorno dell’apertura delle prenotazioni a tutte le fasce d’età – sono raddoppiate le somministrazioni ai 20enni e 30enni e sono crollati i nuovi casi e decessi, si comprende come il luogo comune dei dei giovani “irresponsabili” sia solo frutto di semplificazione e superficialità.

Nel corso di questa emergenza sanitaria i giovani hanno pagato un prezzo alto come quello di tante altre fasce di età, rinunciando alla propria vita sociale e restando chiusi in casa per tutelare, prima che loro stessi, le persone più anziane. In molti casi si son dovuti confrontare con un sistema scolastico e universitario non preparato a gestire la didattica a distanza, vivendo sulla loro pelle stress, disagio psichico e stanchezza emotiva. Anche se è molto frequente leggere sui media racconti pieni di retorica paternalista che accusano i ragazzi di essere ‘fannulloni’ e di volere ‘sussidi facili’, sono proprio loro a essere tra i più penalizzati nel mondo del lavoro, perché tra le fasce di età meno tutelate a livello contrattuale e sociale. L’affluenza giovanile agli AstraDay e i recenti dati ci dicono che proprio i ragazzi sono stati i più maturi e responsabili. Il problema è, semmai, una comunicazione istituzionale non adeguata, frutto di decisioni che vengono prese, più che per ragioni scientifiche, sull’onda dell’emozione popolare. Raccontare gli under 30 come degli incoscienti che hanno bisogno della storia Instagram del famoso di turno per fare il loro dovere o, peggio ancora, del ‘pungolo’ dei divieti, è la scusa di chi, ancora una volta, non ha l’onestà di volersi assumere le proprie responsabilità nel gestire l’ennesima crisi del nostro Paese.

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