Dopo essersi sposati nel 2019, Tiziano Ferro e Victor Allen hanno deciso di intraprendere negli Stati Uniti – dove vivono stabilmente e dove è possibile – un percorso di fecondazione assistita avvalendosi della “gravidanza solidale per altri” in modo da avere due figli biologici. Così, nel 2022 sono nati i due gemelli Margherita e Andres. Secondo l’ordinamento italiano, sui documenti dei due neonati sarebbe riconosciuta la doppia cittadinanza, ma non perché figli di due padri con cittadinanza diversa, ma perché per i nati negli Stati Uniti vale lo ius soli. In Italia, infatti, sarebbe stato riconosciuto solamente uno dei due genitori. Da qui la scelta di utilizzare per i bambini solo i passaporti statunitensi e non quelli italiani, perché nei secondi documenti non avrebbero fatto riferimento alla paternità del marito di Ferro e questo è solo uno dei tanti evidenti problemi giuridici con cui sono costretti quotidianamente a confrontarsi i genitori di famiglie “arcobaleno”.
“Oggi, se voglio far entrare i miei figli in Italia, so che avrebbero diritto a metà del presidio genitoriale, anche se ci sono due persone che possono prendersi cura di loro,” ha dichiarato Tiziano Ferro, “Se stanno male, solo io posso andare al pronto soccorso perché mio marito, Victor Allen, non risulta sul passaporto, il che è una cosa aberrante”. Questo è l’esito più evidente della politica omofoba che non riconosce le famiglie omogenitoriali nel nostro Paese. La storia di Tiziano Ferro è comparsa sui giornali perché, in quanto personaggio pubblico, Ferro gode della visibilità di una celebrità, a differenza di centinaia di famiglie che nel nostro Paese restano “invisibili”, limitandosi a vivere la loro quotidianità nel migliore dei modi possibili, con tutti gli sforzi necessari del caso, ma a tutti gli effetti da cittadini di serie B.
L’uso strumentale delle famiglie arcobaleno da parte della narrazione di destra ha una storia piuttosto recente e molto curiosa. Fino al Family Day del 2007, la destra escludeva completamente dalla comunicazione i minori, il punto era semplicemente quello di riuscire a impedire alle coppie dello stesso sesso di essere riconosciute. Nel 2007, infatti, l’allora ministro della Famiglia Rosy Bindi e il ministro per le Pari Opportunità Barbara Pollastrini avevano fatto approvare dal Consiglio dei ministri del secondo governo Prodi il disegno di legge sui cosiddetti DICO (DIritti e doveri delle persone stabilmente COnviventi). I diritti che venivano tutelati dai DICO riguardavano solamente la successione, la pensione e i contratti di affitto. La reazione di associazioni cattoliche e partiti di centrodestra, però, fu agguerrita, considerarono i DICO delle concessioni eccessive fatte alle persone LGBTQ+. Anche l’allora presidente della CEI, Angelo Bagnasco, scese in campo sulla questione e durante un’assemblea della diocesi di Genova disse: “Perché dire no, oggi, a forme di convivenza stabile alternative alla famiglia, ma domani alla legalizzazione dell’incesto o della pedofilia tra persone consenzienti?”. Il malcontento generale si espresse con la protesta a Roma a piazza San Giovanni nel maggio 2007, a cui parteciparono Mastella, Berlusconi e pure quello che negli ultimi due appuntamenti elettorali si è proposto come paladino dei diritti civili, Matteo Renzi.
La comunicazione del Family Day, del cattolicesimo reazionario e della destra su questi temi, però, iniziò parallelamente ad arrancare in tutta Europa. L’opinione pubblica cambiò progressivamente sponda, riconoscendo il diritto di due persone che condividono la vita di tutelarsi nel momento della necessità, che fosse nel letto di un ospedale o in un lascito testamentario. Negli altri Paesi d’Europa l’onda di matrimoni egualitari straripava, mentre l’Italia rimaneva rigorosamente indietro, ma la percezione – che allarmava anche il Vaticano – era che se la discussione si fosse rianimata anche qui, non ci sarebbero più stati argini in grado di contenerla.
In Francia, la decisione del governo Hollande di estendere il matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso, nel 2013, ebbe due effetti molto evidenti: riportò infatti la discussione sul tema anche al di qua delle Alpi – l’Italia non poteva non avere nemmeno le unioni civili se in Francia si concedeva il matrimonio – e questo riplasmò la comunicazione del Family Day. Il movimento francese Manif pour tous, associazione contro i diritti LGBTQ+, infatti, ebbe il “merito” di capire che, se la popolazione non inseguiva più le associazioni cattoliche nella sua “caccia agli omosessuali” in quanto tali, probabilmente l’avrebbe fatto se invece avessero iniziato a percepire le coppie dello stesso sesso come composte da depravati in grado di avere una famiglia con tanto di bambini a cui veniva tolto il diritto di “avere una mamma e un papà”. Da quel momento l’omobifobia, neanche troppo mascherata da preoccupazione per le giovani menti dei bambini, ha riacceso le torce e riportato in mano i forconi che erano stati lasciati solo poco tempo prima.
Proprio in quel periodo l’Italia riusciva ad approvare le unioni civili – d’altronde, ormai era ignominioso non farlo, guardando ai partner europei – ma monche della parte che tutelava i bambini. Salvini prima e Meloni poi, intuendo la potenza di questo fronte della discussione civile, hanno sfruttato rabbia e omobifobia per ottenere consensi, come se le famiglie composte da due persone dello stesso sesso potessero sottrarre qualcosa alle altre. Salvini ha cavalcato l’onda di indignazione per Bibbiano – che includeva anche una coppia composta da due mamme – e ha assicurato che Elsa, la protagonista del film Disney Frozen, non sarebbe stata lesbica nel sequel. Meloni – in parallelo – si definiva madre, cattolica e contraria alla “lobby LGBT”. È sorto lo spauracchio della “teoria del gender” e del presunto indottrinamento dei bambini, confondendo l’inclusività, il rispetto e la tolleranza con un’ideologia. Il punto è diventato fare leva sui bambini e usarli come feticci anche in campagna elettorale. Come nel caso di censura che Fdi vorrebbe imporre a Peppa Pig.
Per questi motivi, una vittoria della destra non toccherà le unioni civili, come paventato proprio da Fratelli d’Italia dopo la votazione per la legge Cirinnà. Meloni, a cui oggi “bastano le unioni civili”, aveva iniziato una raccolta firme per stracciare la norma. Ben più problematico invece è tutto ciò che dalle unioni civili non è stato regolamentato, ovvero la stepchild adoption e l’adozione. Già nella scorsa legislatura, Fratelli d’Italia aveva proposto una legge che criminalizzasse la gestazione per altri a livello universale, inserendo indistintamente quei Paesi in cui più di frequente la scelta non è libera e dettata da ragioni ideologiche, ma si verificano abusi e sfruttamento delle donne più povere ed emarginate, e i Paesi invece che, come il Canada, hanno una legislazione che si basa sul più genuino volontariato, sull’uso del corpo gestito autonomamente e liberamente dalle donne e che si muovono affinché si crei un saldo rapporto fra tutte le entità chiamate in causa nella creazione di queste famiglie. L’obiettivo della proposta di legge di Fdi – supportata da quelle che vengono considerate eroine dei diritti all’interno del centrodestra come Mara Carfagna – aveva l’obiettivo di colpire solo le coppie omogenitoriali, quelle che più evidentemente fanno uso di soluzioni alternative per poter diventare genitori, visto che l’adozione in Italia non è contemplabile.
La possibilità che la destra abbia i numeri per proporre e approvare leggi simili nel prossimo Parlamento, con l’unico scopo di rendere impossibile la vita a famiglie la cui vita è già difficile oggi, perché non riconosciute dallo Stato, è un monito evidente per le prossime elezioni. Non tutti hanno la possibilità, come Tiziano Ferro, di costruire la propria vita in altri Paesi, e non è giusto che per i figli di famiglie italiane l’alternativa alla discriminazione sia la fuga. Concetti del genere non sono contemplabili in una democrazia.