Sono giorni frenetici in libreria. Molti stanno per partire per le vacanze e non chiuderanno le valigie soddisfatti se prima non saranno riusciti a infilarci dentro venti chili di volumi freschi di stampa, da consumare sotto l’ombrellone. Nonostante la mole della folla pre-vacanziera non sia da sottovalutare, non è questo il vero motivo per cui c’è una coda infinita alla cassa. In nove casi su dieci, la fila ha preso forma dietro un acquirente che ha chiesto se può pagare con la carta del docente.
Il cassiere trattiene un sospiro. “La carta del docente, certamente, si accomodi.” A quel punto un professore sulla cinquantina, inizia la danza: estrae il cellulare, entra nell’app che stampa i buoni, procede con l’autenticazione, si lagna perché in quella libreria il cellulare non prende (fenomeno interessante e ancora poco studiato: molte librerie italiane sono angoli ciechi della rete satellitare. Forse perché sorgono in edifici storici; forse tonnellate di fogli pressati filtrano le radiazioni in modi che la scienza ancora non conosce; forse l’elettromagnetismo ci sta dando un ultimatum: o me o i libri di Cazzullo. Di tutta risposta, di solito, il cassiere invita il docente a spegnere e riaccendere, o fare due passi in strada perché “In certi casi l’app riparte.” Ma stavolta no, stavolta è proprio giù il server del Ministero. Passa un commesso, ammette che la situazione è questa da due giorni, da quando i sindacati hanno consigliato agli insegnanti di spendere tutto il bonus il prima possibile – o almeno entro il 31 agosto.
Non è il caso di farsi prendere dal panico. L’allarme dei sindacati è rientrato in poche ore, il Ministero ha già fatto sapere che, come l’anno scorso, i soldi non spesi in agosto saranno riaccreditati in autunno. Salvo imprevisti, gli insegnanti avranno i loro 500 euro a disposizione anche per l’anno scolastico 2018/19. Eppure c’è stato un momento, forse solo una mezza giornata, in cui la carta del docente se l’è vista brutta. A fine giugno, i senatori Cinque Stelle della Commissione cultura avevano messo nero su bianco che il bonus era una mancia elettorale, una “misura estemporanea e demagogica che non ha alcun effetto positivo a lungo termine,” uno “spreco di risorse preziose.” In quel momento la priorità sembrava marcare la differenza con la passata gestione; ora, evidentemente, sono maturate altre considerazioni. In fondo il M5S è un po’ in affanno in questa prima fase del governo Conte, e gli insegnanti sono un segmento delicato del loro successo elettorale. Molti venivano dal Pd e potrebbero tornare all’ovile: meglio non tagliar loro la paghetta. Il guaio delle mance elettorali è che si trasformano quasi subito in privilegi acquisiti. Elargirle è facile, ma non ti fa necessariamente vincere le elezioni. Tagliarle è più difficile, e te le fa perdere di sicuro. E così anche l’anno prossimo avremo code a fine luglio in libreria, ai botteghini del cinema, del teatro, ovunque i professori dovrebbero poter usufruire della carta, se solo riuscissero ad autenticarsi, se solo ci fosse rete nel locale, se solo il server ministeriale non fosse appena andato giù.
È difficile criticare la carta del docente. Se sei un insegnante (io lo sono), dai la sensazione di sputare nel piatto dove ti hanno offerto il dessert. Con tutti i problemi che ci sono al mondo, poi. Con un nuovo governo che chiude i porti ai naufraghi, c’è ancora chi se la prende – me compreso – perché Renzi l’anno scorso allungava 500 euro l’anno per il cinema e i libri. Mi rendo conto che possa suonare fuori luogo, ma credo che occorra parlarne in ogni caso, perché qualcosa è andato storto davvero. Gli insegnanti erano per il Pd di Renzi un bacino elettorale strategico – almeno quelli a tempo determinato. A un certo punto deve aver calcolato di averli portati tutti dalla sua parte: prima con gli 80 euro al mese, poi con il bonus cultura. E non parliamo di fumose riforme o vacui discorsi sulla dignità e l’autorevolezza degli insegnanti, ma di contanti in busta. Mentre gli altri chiacchieravano, Renzi sborsava denaro contante. Certo, di tutto questo ai precari non arrivava nulla, ma gli insegnanti di ruolo, quelli sì che avrebbero dovuto erigere un altare a Renzi nelle scuole di ogni ordine e grado, di fianco alle macchinette del caffè. Se non è successo, vale la pena chiedersi il perché. Riuscire a farsi detestare dalle persone a cui stai aumentando la paga è un’impresa notevole. In attesa di studi seri, tutto quel che posso fare è contribuire con qualche ipotesi, qualche sensazione captata tra la sala insegnanti e la libreria.
La prima sensazione che ricevo, forte e chiara, è l’odio profondo per la maledetta app che si pianta proprio nel momento in cui ti serve, che dimentica la password, che ti trasforma in un analfabeta digitale davanti a tutti quando sei davanti alla cassa e vorresti soltanto fuggire il più lontano possibile col tuo malloppo di cultura. In realtà il software del Ministero non è così male, il problema è a monte: i docenti di ruolo italiani sono i più anziani d’Europa. Metà di loro ha passato i cinquanta, e da parecchio. Li avete presente, i cinquantenni con gli smartphone, sì? Anche se la procedura della carta del docente fosse la più semplice del mondo (e non lo è), è chiaro che per loro sarà comunque faticosa. Non dovrebbe essere impossibile: dopotutto è gente che nel giro di cinque anni è passata senza troppi patemi dal registro cartaceo a quello digitale. Tant’è che poi la maggior parte di loro ce l’ha fatta: ormai portano anche il tablet in classe – molti lo hanno comprato proprio grazie al bonus. Con un po’ di sforzo, di tempo, e una rete wifi decente, ecco spuntare dallo smartphone il voucher richiesto; parte di questo tempo se ne va anche a imprecare contro Renzi, che poteva semplicemente accreditarci 500 euro: in fondo cosa sono 500 euro per un dipendente pubblico? Quaranta euro al mese.
Una paghetta, insomma. Non a caso l’altra categoria a cui il governo Renzi decise di erogarla erano i diciottenni. Ora, se all’improvviso regali 500 euro a un diciottenne, il minimo che tu possa aspettarti è un po’ di umana gratitudine (attenderai invano, ma è un altro discorso). Ma se eroghi gli stessi 500 euro a un tuo dipendente – uno che magari aspetta da anni il rinnovo del contratto – lui può anche sentirsi preso in giro. La paghetta, che a 18 anni è una gran cosa, a 55 è un’umiliazione. In generale l’adulto è convinto di sapere gestire i propri soldi, senza bisogno che il governo controlli che li spenda in libri e teatro anziché in dolciumi e balocchi. Questo a mio parere è stato il vero errore: trattare gli insegnanti come i loro eterni avversari, i ragazzini. Del resto, questo tipo di bonus voleva essere anche un sostegno all’industria culturale. A inventarlo e proporlo a Renzi fu Marco Lodoli, uno scrittore/insegnante – un caso abbastanza frequente di conflitto d’interessi: chi al mattino insegna e la sera scrive forse non può evitare di pensare che il mondo sarebbe migliore se i colleghi che al mattino insegnano, la sera leggessero i suoi libri.
In controluce s’intuisce una concezione un po’ antica della classe docente: non una categoria professionale che deve adeguarsi a determinati standard e meritare il rispetto dei datori di lavoro e degli utenti, ma una casta di spiriti eletti. Un po’ frustrati dalle incombenze mattiniere, celebrano la loro identità leggendo libri, andando al cinema o in teatro e facendo tutte quelle cose che dovrebbero elevare gli intellettuali. Ma gli insegnanti oggi non sono più così. Non sono giovani, è vero, ma neanche avanzi di scuola crociana: senza scomodare il famigerato ’68, molte cose sono cambiate negli ultimi decenni. Insegnare è faticoso, prende tempo, non è che te ne avanzi così tanto per fare la clacque in un teatro che senza i tuoi biglietti chiuderebbe, o per leggere libri che non hanno a che vedere con il tuo aggiornamento professionale. Noi docenti non siamo il serbatoio di riserva di spettatori e lettori che salverà l’industria culturale italiana. O forse sì, ma non ci piace essere considerati il parco buoi dell’editoria. Siamo adulti, abbiamo le nostre esigenze, senz’altro ci piace leggere libri e qualche volta ci viene pure voglia di frequentare luoghi affascinanti e desueti come il cinema o il teatro. Non è che quaranta euro al mese di voucher ci facciano schifo, ma forse chi pensava di comprarci così, ci ha un po’ sottovalutato.