La legge Zan sull’omolesbobitransfobia, attesa da più di 20 anni e già approvata dalla Camera il 4 novembre scorso, è bloccata nelle mani del presidente leghista della commissione Giustizia al Senato Andrea Ostellari, con una stasi pericolosa per la comunità LGBTQ+. È infatti già la seconda volta nel giro di pochi giorni che Ostellari rimanda la calendarizzazione della discussione del disegno di legge. Il primo rinvio è avvenuto il 24 marzo, pochi giorni dopo la diffusione del video dell’aggressione omofoba in una stazione della metropolitana di Roma che aveva causato grande sdegno di tutte le parti politiche, comprese quelle che in questo momento stanno ostacolando il percorso della legge. Il secondo rinvio, a una settimana di distanza, ha provocato le reazioni di molti politici, dal Pd a Forza Italia, e di molti personaggi dello spettacolo, come Elodie e Fedez. Attivisti e associazioni LGBTQ+ hanno organizzato iniziative di mail bombing ai senatori e petizioni per chiedere la calendarizzazione della legge, mentre Pietro Grasso e altri capigruppo della maggioranza hanno scritto una lettera formale a Ostellari per chiedere spiegazioni sul suo operato rispetto a questo disegno di legge.
Non sembra ci siano più ragioni plausibili per rimandare la calendarizzazione della discussione, se non la volontà del partito del presidente Ostellari di evitarla. L’obiettivo potrebbe essere sia quello di farla incagliare, come spesso accade, sia di dare tempo all’opposizione di preparare l’offensiva, cosa che sta già avvenendo. I politici della Lega, capeggiati in questa battaglia dall’ultraconservatore Simone Pillon, e di Fratelli d’Italia – con Giorgia Meloni che solo pochi giorni fa si diceva “scioccata” dall’aggressione omofoba di Roma e che ora ostacola la legge che punirebbe violenze di questo tipo – hanno ripreso il consueto ritornello del benaltrismo, sostenuti dalla stampa di destra. Meloni non solo solleva il confronto strumentale tra i “problemi reali” e l’inutilità della legge Zan, ma chiede anche l’intervento di Draghi, come se spettasse a lui la responsabilità di approvare il disegno di legge.
Ostellari avrebbe persino formulato l’ipotesi di nominare proprio Pillon relatore della legge di fronte a ulteriori insistenze sulla sua calendarizzazione. Un’eventualità che suona quasi come uno sberleffo divertito, visto le note posizioni ostili di Pillon sulle questioni LGBTQ+. Peccato che non ci sia niente di divertente in questa attesa per la comunità queer del Paese, vittima di continue aggressioni omofobe e senza alcuna tutela adeguata a contrastarle. Secondo la Rainbow Map dell’ILGA, International Lesbian and Gay Association, l’Italia è agli ultimi posti in Europa per la protezione dei diritti umani della comunità LGBTQ+, con livelli simili alla Romania, Lituania e alla Bulgaria, e di poco superiori alla Polonia. Solo il 23% dei diritti delle persone lesbiche, gay, trans, bisessuali, intersessuali e queer è tutelato nel nostro Paese. Nel campo dei crimini d’odio, siamo una delle tre nazioni dell’Unione europea a non avere alcuna legge che punisca queste manifestazioni, insieme alla sole Bulgaria e Lituania.
La destra dal canto suo continua a ripetere che la legge Zan “non elimina gli imbecilli violenti, ma cancella la libertà”, ritenendo più che sufficienti i deboli strumenti a disposizione al momento per contrastare l’omotransfobia nel nostro Paese, e continuando a diffondere la falsa notizia che la legge introduca un reato d’opinione. Basta solo leggere il testo del ddl per rendersi conto che non si tratta affatto di uno scenario plausibile, a meno che non si considerino semplici “opinioni” palesi manifestazioni di odio – come dire che le relazioni omosessuali sono “gravi depravazioni”, che l’omosessualità è “contro natura”, che le aggressioni omofobe sono causate da “fidanzati che litigano per la vaselina”, solo per citare quelle uscite dalle bocche dei politici leghisti negli ultimi mesi. Una volta approvata, infatti, la legge andrebbe a estendere la già esistente legge Mancino del 1993, aggiungendo l’identità di genere, l’orientamento sessuale e la disabilità alle caratteristiche personali sulle quali possono fondarsi i reati d’odio. Dopo le numerose polemiche createsi intorno a una presunta “deriva liberticida” della legge ventilata dalla Cei, nel testo depositato e approvato dalla Camera è stato introdotto l’articolo 4 che tutela “la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. L’introduzione di questo articolo, che tra l’altro ha scontentato parte dell’associazionismo LGBTQ+ che teme che la legge possa risultarne annacquata, si è però dimostrato necessario anche per convincere molti deputati di Forza Italia a votare a favore.
Se anche buona parte del secondo partito di centrodestra si è finalmente orientata ad approvare questa legge, significa che i tempi sono maturi. E l’infantile ostruzionismo della Lega, già cominciato con l’enorme mole di emendamenti inutili presentata alla Camera, ne è ulteriore conferma; significa che il partito tema possa passare e non vede altre strade se non quella degli espedienti. Anche una volta superato questo scoglio, però, non è detto che la legge Zan venga votata così com’è ora. C’è sempre spazio per gli emendamenti e bisogna anche considerare che la composizione del Senato è diversa da quella della Camera, e più sbilanciata a favore di chi si oppone al provvedimento.
Già nella sua forma attuale, la legge presenta limiti importanti. Oltre alla citata “clausola salva idee”, c’è anche il problema del mancato riconoscimento di alcuni orientamenti sessuali. Inoltre, come da anni sottolineano intellettuali, giuristi e associazioni LGBTQ+, l’inasprimento delle pene non basta se non si investe realmente sulla prevenzione e l’educazione alle differenze. Ma questo non significa che la legge vada ostacolata o che ci si debba augurare non venga approvata, specialmente in un Paese dove rappresenterebbe una delle poche tutele reali e l’unica specifica per i reati d’odio basati sull’orientamento sessuale, l’identità di genere e la disabilità. Una legge nazionale è più che necessaria, dal momento che le leggi regionali e altri strumenti come le reti comunali contro le discriminazioni si sono rivelate insufficienti o vengono puntualmente smantellate da giunte e consigli di centrodestra. Secondo il progetto “Hate Crimes No More” del Centro Risorse Lgbti, il 73% delle persone LGBTQ+ ha subito violenza omotransfobica, ma solo il 23% ha denunciato. Colpa anche di un vuoto normativo che scoraggia la ricerca della giustizia e che potrebbe finalmente essere colmato.
In questi giorni decisivi è quindi fondamentale che tutto il mondo politico a favore dei diritti faccia quadrato intorno a questa legge, insistendo per la calendarizzazione della discussione e smontando o ancora meglio anticipando le prevedibili offensive della destra. Non è possibile che a portare avanti il dibattito siano solo i conservatori e, oltre a poche eccezioni, i progressisti si facciano sentire solo quando si presenta l’occasione di attaccare l’avversario. Anche nelle fasi più decisive, per mesi sono stati solo i quotidiani e i giornalisti di destra a parlare di legge Zan, per screditarla e diffondere fake news strumentali, dal reato di opinione all’“ideologia gender”. Le conseguenze di questo silenzio di chi dovrebbe impegnare tutte le proprie forze a difendere la legge ora sono evidenti: non possiamo permettere che la destra tenga ancora in ostaggio una legge che è già stata approvata dalla Camera.
Anche alla luce della recente risoluzione del Parlamento europeo che ha dichiarato l’Unione una “zona di libertà per le persone LGBTQ+”, in contrasto con le municipalità anti-LGBT istituite nella Polonia dell’alleato di Giorgia Meloni Andrzej Duda, la discussione della legge Zan non si può più rimandare. Per coerenza con la “svolta europeista” del suo leader, è inaccettabile che la Lega continui a fare ostruzionismo, non solo sulla sua approvazione, ma addirittura sul processo democratico che la discussione di questa legge rappresenta per tutto il Paese.