Dovremmo smetterla di stupirci per le gaffe degli studenti visto il livello della classe dirigente - THE VISION

“Sarò breve e circonciso”. Sembra ieri che Davide Tripiedi, al tempo deputato del Movimento Cinque Stelle, suscitava ilarità alla Camera con questa gaffe. In quel caso era stato il presidente di turno Simone Baldelli a correggere Tripiedi: “Conciso, quella è un’altra cosa”, e, tra l’imbarazzo e le risate di molti dei presenti, il deputato aveva proseguito col proprio intervento. Da allora sono trascorsi più di dieci anni: era il 2014, e il web scatenò ondate di scherno per quello che si potrebbe definire un lapsus, o un vero e proprio strafalcione. Quel che è certo è che Tripiedi non è stato il solo a regalare simili perle: da quel giorno a oggi, la classe politica italiana infatti non ha mai mancato, e continua a non mancare, di commettere errori di ogni tipo, dai più banali, e per questo intollerabili, errori di sintassi italiana agli stravolgimenti dei principali fatti storici.

Nonostante accada questo, noi però, imperterriti, continuiamo a rimanere esterrefatti se uno studente, agli esami di Maturità, dice che Picasso si chiamava “Paolo” e non “Pablo”, se sostiene che Giovanni Pascoli fosse un pittore o se chiama “stretto di Gargamella” lo stretto di Dardanelli. Tutti errori che sì, sono sicuramente gravi e in alcuni casi non possono che suscitare ilarità, e che per questo diventano anch’essi – come quelli dei politici – oggetto di derisione sul web.

Davide Tripiedi

Ciò può anche essere comprensibile, per quanto talvolta risulti eccessivo proprio perché gli errori arrivano da degli adolescenti, e non da membri della classe politica. Quello che stride però è che nel nostro Paese continuiamo a stupirci della deriva della scuola contemporanea, a scagliarci contro gli studenti che non fanno dello studio il fulcro della loro vita e crescita, e anche con i docenti che permettono a studenti che non hanno idea di cosa siano le Foibe di diplomarsi. Ci si lamenta della scuola come macchina che promuove tutti, che non opera più la selezione di una volta, e ci si chiede indignati come sia stato possibile arrivare a questo punto. Ci chiediamo come possano, gli studenti di oggi, desiderare soltanto di ottenere una facile promozione, senza sviluppare una consapevolezza di quanto lo studio sia fondamentale per costruirsi un futuro e una carriera soddisfacenti; come possano pensare di aggirare le fatiche di un’istruzione adeguata e dell’acquisizione di una preparazione culturale solida, desiderando invece carriere facili e piene di scorciatoie.

La risposta è presto detta: perché vivono in Italia, dove una solida preparazione culturale non è mai qualcosa di prioritario o di propedeutico alle carriere più prestigiose o remunerative. Si può dire infatti che, nel nostro Paese, intraprendere un faticoso percorso di studi può rivelarsi addirittura controproducente e frustrante, talvolta quasi inutile, e che chi dà valore allo studio, oggi, viene spesso reputato – per certi versi, verrebbe da dire quasi a ragione – uno sfigato.

Mettiamocelo in testa: in un Paese in cui il ministro della Cultura non sa dove si trovi Times Square o in quale secolo sia vissuto Galileo Galilei, è inevitabile che i giovani smettano di dare valore alla scuola, all’istruzione e allo studio; non penseranno alla formazione culturale come a uno strumento indispensabile per progredire dal punto di vista sociale, semplicemente perché, in Italia, studiare non ti dà affatto questo tipo di garanzia o sicurezza. Conosciamo bene le condizioni dei giovani laureati in Italia: tasso di disoccupazione ancora troppo alto, retribuzioni basse, stage e tirocini pagati una miseria o addirittura non pagati, e che si protraggono per anni, precariato che è ormai una costante. In queste condizioni, vivere una vita dignitosa – per di più con l’inflazione alle stelle – è utopico, ed è per questo che molti laureati lasciano l’Italia per cercare all’estero condizioni più favorevoli e stabili. I giovani che vanno ancora a scuola lo sanno, ed è per questo che spesso coltivano il sogno di costruire magari carriere da influencer, dal loro punto di vista più remunerative e appaganti di altre, o preferiscono cercare la scorciatoia delle università telematiche – che spesso richiedono un impegno meno totalizzante.

Sappiamo essere spietati con le nuove generazioni perché “non studiano, passano tutto il giorno sui social e pretendono la promozione a fine anno”, e, a questo proposito, è di questi giorni la polemica di Edoardo Prati – studente di Lettere classiche e divulgatore di successo sui social – sulle reazioni agli strafalcioni della Maturità di quest’anno. “Ennesimo tentativo di ridicolizzare una generazione. Notiziona, atto grave, come dire che Cristoforo Colombo scoprì l’America influenzato da Galileo Galilei, ma su questo non ne faremo mai un servizio di telegiornale”, ha dichiarato Prati, scagliandosi contro chi ridicolizza le nuove generazioni. Prati ha poi aggiunto che “La dialettica è sempre quella: presentare i ventenni come una mandria di idioti facendo così credere loro di essere degli idioti e presentandoli come tali alla classe dirigente”. Quella stessa classe dirigente tra cui figura – per citare uno dei tanti esempi – anche il presidente del M5s Giuseppe Conte che, in un cortocircuito di riferimenti spazio temporali, ha dichiarato che Giacomo Matteotti fu ucciso “in un attentato a Bologna nel 2026”.

Giuseppe Conte

Ma quello di Conte, dal palco dell’ANPI, è solo l’ultimo di una serie infinita di errori grossolani come per esempio quello della ministra del Turismo Daniela Santanché, che all’inaugurazione degli Stati generali del Cinema, a Siracusa, ha attribuito la regia del film Il Gattopardo a un non meglio identificato “Lucchini” – invece che al vero regista, Luchino Visconti. E ancora, e questo è ciò che prima di ogni altra cosa dovrebbe indignare e far riflettere, l’Italia è quel Paese dove il ministro della Cultura è Gennaro Sangiuliano, il re degli strafalcioni, laureato in Giurisprudenza, colui che “si impone di leggere un libro al mese” per un fatto di disciplina, “come andare a messa”, e secondo il quale leggere regalerebbe “momenti esistenziali”. Lo stesso che pensa che Times Square si trovi a Londra, e per giustificare la gaffe dice che “Spesso Piccadilly Circus è chiamata così”. E ancora colui che ritiene che Cristoforo Colombo si sia basato sulle teorie di Galilei, nato nel 1564, per scoprire l’America nel 1492 – un rovesciamento temporale da far impallidire i migliori film di Nolan – e che l’anno scorso era nella giuria del Premio Strega ma che, stando alle sue dichiarazioni, i libri candidati non li aveva letti.

Gennaro Sangiuliano

Viene allora da chiedersi: perché accusare gli adolescenti che trascurano lo studio? Loro si adeguano a ciò che vedono: un Paese con questa classe dirigente. Un Paese in cui puoi essere ministro della Cultura e fare gaffe di questo tipo. In cui non è più credibile sostenere il valore del sapere e dell’istruzione, se si può appartenere alla classe dirigente e parlare, in pubblico, di determinati argomenti con superficialità e approssimazione, dando per certe informazioni errate.  O davvero vogliamo credere che sia l’emozione a giocare brutti scherzi a Sangiuliano e agli altri? Alessandro Barbero non fa di questi errori. Forse è un mago nella gestione dell’ansia da prestazione o, più banalmente, è molto preparato.

Prima che si alzi l’ennesimo coro di indignazione per gli esiti degli esami di Maturità – con alla guida, tra gli altri, personalità come il professor Crepet – o, più in generale, prima di mostrare stupore e sbigottimento per il sempre più basso livello di preparazione degli studenti che ottengono il diploma, fermiamoci a riflettere sui modelli di riferimento, di successo e di realizzazione che hanno davanti gli adolescenti oggi. Perché loro osservano, ascoltano, e non solo gli influencer che hanno grande seguito sui social: le nuove generazioni assistono anche a ciò che è diventata la classe dirigente italiana. Non possiamo scagliarci contro di loro o criticarli aspramente. Perché se ritengono che puntare tutto sullo studio in Italia sia praticamente inutile, o per lo meno non prioritario, è solo per un motivo: che è esattamente così.

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