Da quando dispositivi elettronici e social network hanno invaso la nostra quotidianità, abbiamo iniziato a sviluppare una serie di abitudini che non solo hanno modificato il nostro rapporto con gli altri, ma ci hanno impedito di godere del momento che stiamo vivendo senza essere sommersi da sentimenti come frustrazione, invidia e insoddisfazione. Alcuni studi hanno dimostrato che tutti i giorni sblocchiamo lo smartphone almeno 80 volte e spesso la prima cosa che facciamo quando ci svegliamo e l’ultima prima di addormentarci è controllare il cellulare. Oggi, fare un viaggio senza condividere sui social le foto dei luoghi visitati può sembrarci strano e anacronistico ed è difficile trascorrere un sabato sera a casa senza andare su Instagram, scrollare la bacheca o fare incetta di storie di chi, a differenza di noi, ha scelto di uscire e fare serata. Questo bisogno di restare sempre connessi, di fuggire dalla nostra vita per osservare ciò che fanno gli altri e di controllare compulsivamente le notifiche per sapere se qualcuno ci ha scritto si chiama “fomo” ed è la paura di essere tagliati fuori.
Fomo è l’acronimo di “Fear Of Missing Out” ed è il grande timore del nostro secolo: rimanere esclusi da un mondo che si diverte ed è impegnato in attività entusiasmanti, mentre noi dobbiamo accontentarci di una “vita normale”. Questa sensazione di frustrazione e avvilimento si tramuta spesso in una vera e propria ansia sociale, in uno stato d’angoscia che ci toglie la capacità di concentrarci su ciò che stiamo facendo e di trarre piacere da qualunque attività in cui siamo impegnati. Il primo a parlare di fomo fu lo stratega di marketing Daniel Herman, il quale, avendo osservato durante un focus-group che molti individui diventavano ansiosi all’idea di lasciarsi sfuggire un prodotto che altri avrebbero potuto acquistare, ne scrisse già nel 1996 per poi pubblicare, nel 2000, un articolo sul The Journal of Brand Management in cui approfondiva l’argomento. Secondo Herman, il fenomeno scaturisce non tanto da un bisogno individuale di fruire di qualcosa, ma dall’esigenza di conformarsi agli altri, ritenendo che, se gli altri desiderano qualcosa, allora quel desiderio debba per forza appartenere a tutti. Un’esigenza in qualche modo legata alla teoria sul conformismo di Solomon Asch, che porterebbe ciascun individuo a modificare le proprie opinioni e i propri desideri plasmandoli sulle idee e le inclinazioni altrui.
A riprendere e approfondire il concetto di fomo, sottolineandone il suo potere distruttivo e provando a individuare i rimedi a questo tipo di ansia sociale, è stato lo scrittore statunitense Patrick McGinnis, che nel 2004 ne ha scritto in un editoriale su The Harbus, la rivista della Harvard Business School. Nell’articolo, McGinnis parlava di come quest’ansia sociale all’interno di Harvard condizionasse la vita degli studenti, i quali pur di non rimanere tagliati fuori da un’occasione mondana erano capaci di sottoporsi a un profondo stress e a rinunciare del tutto ai momenti di riposo. McGinnis legava poi il concetto di fomo a quello di fobo ( “Fear Of Better Option”) – altro acronimo che indica l’incapacità di scegliere tra molte strade o alternative, per timore di lasciarsi scappare quella migliore. Anche Joseph Reagle, esperto di culture digitali e docente associato di comunicazione alla Northeastern University, ha pubblicato uno studio sull’argomento, in cui sottolinea come la fomo affondi le radici nella paura di perdersi qualcosa di appagante o di entusiasmante, da cui poi scaturisce l’invidia per tutto ciò che gli altri fanno o hanno e che a noi invece manca. Sempre Reagle sostiene che questa tendenza atavica sia stata acuita dall’accessibilità che oggi tutti abbiamo alle vite degli altri grazie ai social, dove ognuno sceglie cosa vuole condividere, spesso alterando la realtà per renderla più appetibile.
Oggi la fomo è causa del malessere di buona parte della popolazione mondiale, soprattutto tra i giovani. A rendere questa forma di ansia particolarmente pericolosa per il benessere psicologico è il mix di frustrazione e invidia che impedisce di godere il momento che si sta vivendo, perché sicuramente da qualche altra parte del mondo c’è qualcuno più soddisfatto e fortunato di noi. La spirale della fomo ci rende infatti impossibile apprezzare la nostra quotidianità, inducendoci a desiderare costantemente ciò che non abbiamo e a idealizzare le vite degli altri. Lo scienziato sociale Andrew Przybylski dell’Università di Oxford, con l’aiuto di alcuni ricercatori delle Università della California, di Rochester e di Essex, ha tracciato una sorta di profilo della persona affetta da fomo, sottolineando come sia molto diffusa tra i giovani, per lo più di sesso maschile, e come questa sia correlata a una bassa considerazione della propria vita e a bassi livelli di autostima. Przybylski ha individuato una maggiore predisposizione alla fomo in chi ha un comportamento dipendente dai dispositivi elettronici e negli studenti che utilizzano lo smartphone anche durante le ore di lezione e che, quindi, rivelano grosse difficoltà a rimanere concentrati su ciò che stanno facendo e sono più inclini alla distrazione.
Se entrare in relazione con gli altri è un bisogno che, di per sé, non ha nulla di dannoso, la sua degenerazione può portare a comportamenti come il controllo ossessivo delle notifiche sullo smartphone – anche quando si è in compagnia – alla sensazione di frustrazione e avvilimento davanti a una foto su Instagram in cui i nostri amici mostrano di divertirsi, mentre noi siamo rimasti a casa per lavorare, studiare, o semplicemente perché troppo stanchi per sostenere una serata fuori casa; o, ancora, all’esigenza di condividere in rete tutto ciò che si fa durante la giornata, per dimostrare agli altri che anche noi abbiamo una vita ricca e soddisfacente. È stato dimostrato che la fomo è diffusa soprattutto tra gli individui che hanno un livello di soddisfazione psicologica più basso, e che sono dunque meno capaci di riconoscere i propri bisogni e desideri profondi, cadendo nella spirale del conformismo e lasciandosi influenzare – e talvolta ossessionare – da ciò che fanno gli altri. La fomo porta così a profondi stati di malessere, provocando non solo insoddisfazione, ma un vero e proprio crollo dell’autostima, con conseguente senso di noia e solitudine, scarsa capacità di vivere il presente e di concentrarsi sull’attività che si sta svolgendo traendone appagamento.
Ma la paura dell’ostracismo sociale è anche la causa di insonnia e di continua stanchezza psicologica, che finiscono per compromettere le attività quotidiane. Uno studio del 2019 dell’Università di Glasgow, condotto su un campione di 467 adolescenti, ha dimostrato che la totalità degli intervistati avvertiva la pressione sociale a essere sempre connessi e il disagio che ne derivava. È stato inoltre dimostrato lo stretto legame che la fomo ha non solo con la dipendenza da dispositivi elettronici, la mania del controllo e il conformismo, ma anche con il gaming disorder; sempre più giovani, infatti, colmano il bisogno di entrare in relazione con gli altri, di costruirsi un’identità sociale e di appartenere a un gruppo attraverso lunghe sessioni di gioco online, sviluppando la convinzione che, se si disconnettono, verranno presto estromessi dalla comunità di giocatori.
Per rimediare alla fomo ed evitare che dilaghi ulteriormente occorre prima di tutto prendere coscienza del problema e dei danni che può fare alla nostra autostima e al nostro benessere psicologico e, qualora le circostanze lo richiedano, chiedere aiuto a uno specialista. Il medico e moderatore tedesco Eckart von Hirschhausen sostiene che la risposta positiva alla fomo sia la jomo (“Joy Of Missing Out”) ossia la riscoperta del piacere di perdersi qualcosa, di selezionare ciò di cui abbiamo veramente bisogno da un punto di vista materiale, psicologico ed emotivo e di conseguenza scartare tutto ciò che è superfluo. Da questa attitudine dovrebbe poi scaturire la capacità di autocontrollo per quanto riguarda l’abuso di social network e il bisogno compulsivo di non perdersi nulla di ciò che accade in rete. A tal proposito, lo scrittore Patrick McGinnis ha pubblicato FOMO Sapiens, in cui parla delle strategie per tirarsi fuori da questo problema e che, seppur in modo implicito, si rifanno al principio alla base della jomo: scegliere di concentrarsi sul proprio mondo interiore, accantonare per un po’ tutto quello che il web ci mette a disposizione e fare delle scelte di vita ponderate, sulla base dei nostri autentici bisogni.