Per ridare forza alle istanze progressiste serve chiedersi cosa significhi, oggi, essere di sinistra - THE VISION
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Sono un trentacinquenne e sono di sinistra. Come per i miei coetanei e per le generazioni successive, l’ideologia è stata ereditata o plasmata sui canoni di un secolo passato. Da quando sono nato, gli unici esponenti del PD o dell’Ulivo ad aver conquistato Palazzo Chigi sono stati dei centristi spostati a sinistra per necessità o per sopravvivenza politica. Due volte Romano Prodi (più di trent’anni di Democrazia Cristiana), Enrico Letta (Democrazia Cristiana e poi Margherita), e Matteo Renzi (Partito Popolare Italiano, epigono della DC, Margherita e adesso di nuovo al centro). Sono stati traghettatori per breve tempo anche Massimo D’Alema, figura di spicco del tafazzismo di sinistra, e Paolo Gentiloni, tra i fondatori della Margherita. Tecnicamente, da più di trent’anni abbiamo una sinistra fantasma o simulacro e, di conseguenza, diverse generazioni di elettori che non hanno una vera e propria rappresentanza politica e che si sono presentati alle urne per non far vincere gli altri (spesso Berlusconi) o non si sono presentati affatto, come dimostra l’astensionismo galoppante.

Da sinistra: Gerardo Bianco, Walter Veltroni, Lamberto Dini, Romano Prodi, Massimo D’Alema e Carlo Ripa di Meana

Forse, riformulando l’incipit, è dunque giusto dire che sono un trentacinquenne e sono di sinistra per sentito dire. Per anni, il centrosinistra è sopravvissuto per inerzia autoproclamandosi erede dell’esperienza di Enrico Berlinguer, ma in modo improprio. I fasti di quell’epoca, quando i comizi del leader del Partito Comunista Italiano erano seguiti in piazza da folle oceaniche, non solo non sono stati replicati nel presente, ma hanno subìto il tradimento di chi ha mollato la classe operaia e in generale i ceti meno abbienti. Il centrosinistra, e in particolar modo il PD, adesso sta tastando con mano il mancato riciclo elettorale. Gli ex comunisti che dopo il 1994 hanno continuato a votare a sinistra per tentare di arginare l’ascesa berlusconiana, ovvero gli anziani che nei decenni scorsi presenziavano alle sempre più sguarnite feste dell’Unità, adesso non ci sono più e i loro figli – o ancora meglio nipoti – si possono dividere in due schieramenti: quelli che hanno mantenuto un’identità di sinistra pur senza ritrovarla nei nuovi rappresentanti e quelli che hanno chiuso il libro di Storia, lasciandosi magari ammaliare dai cavalli vincenti del momento, spostandosi dal Movimento Cinque Stelle a Salvini e Meloni con la leggerezza delle banderuole. Tra i membri del primo schieramento c’è proprio chi per anni ha continuato a votare a sinistra tappandosi il naso, per il classico paradigma del male minore, e chi alle urne ha preferito le spiagge, consegnandosi alla disillusione.

Enrico Berlinguer

È giusto rinnovarsi e svecchiare i codici della politica novecentesca, ma viene da chiedersi cosa rimane allora del pensiero di sinistra nel 2023. Un po’ per curiosità e un po’ per disperazione, ho digitato su Google: “Cosa vuol dire essere di sinistra?”. Come prima voce mi è spuntato un passaggio tratto da Wikipedia: “La politica di sinistra sostiene l’uguaglianza sociale e l’egualitarismo. I suoi aderenti, in genere, percepiscono alcuni membri della società come svantaggiati rispetto ad altri, e ritengono che ci siano disuguaglianze ingiustificate che devono essere ridotte o abolite”. Fin qui tutto giusto, e può essere riassunto così: essere sinistra è il contrario di ciò che porta avanti il governo Meloni. Eppure, nonostante l’arrivo di Elly Schlein e la speranza di un rinnovamento, il PD continua a fare un’opposizione debole e poco efficace. Alle sacrosante battaglie per i diritti civili, sembra che non si dia seguito con lo stesso slancio quando si tratta di diritti sociali, ovvero quelli citati su Wikipedia e base di partenza dell’esperienza del PCI.

Funerali di Enrico Berlinguer, 1984

I diritti sociali, infatti, sono tutte quelle tutele che lo Stato dovrebbe garantire al cittadino a livello di istruzione, sanità, pensioni, lavoro e servizi assistenziali, mentre nei diritti civili rientrano per esempio la libertà di pensiero e parola, il diritto al voto e la tutela delle minoranze. Questi ultimi sono conquiste che, da un lato, come dimostrano gli avvenimenti recenti, non possono mai essere date per scontate; e, dall’altro, spesso, se non ci riguardano direttamente, vengono sminuite o ignorate o, ancora, diventano territorio di battaglie ideologiche, portate avanti da chi teme di perdere il proprio privilegio, quando, in una democrazia, i diritti civili dovrebbero essere gli stessi per tutti. Ma non garantire certi diritti civili vuol dire avvicinarsi più o meno rapidamente a dei sistemi politici non democratici, come i totalitarismi, o a quegli Stati con democrature, dove la libertà dei cittadini viene limitata dagli stessi rappresentanti del potere, oggi spesso legati al sovranismo, all’estrema destra o a varie forme di fondamentalismo, come avviene per esempio in Ungheria o in Turchia. Ma d’altronde, ottenere i riconoscimenti civili è un’autodeterminazione che tutti i regimi (compresi quelli comunisti) hanno sempre frenato.

Non a caso, sotto Stalin l’omosessualità venne dichiarata una malattia e furono introdotte norme per contrastarla, mentre Fidel Castro la considerava una deviazione di natura e aveva il terrore di “mandare un figlio a scuola e vederselo tornare frocio”. Persino in Italia, inizialmente, il Partito Comunista si concentrava poco sui diritti civili, con Togliatti che criticava il premio Nobel André Gide invitandolo a “occuparsi di pederastia”. Solo con l’avvento di Berlinguer il PCI mosse i primi passi per staccarsi dai dogmi di Mosca. Non fu però un percorso immediato. Alla campagna abortista portata avanti dai radicali e poi dai socialisti, il PCI aderì per ultimo dopo diverse discussioni interne. Fu l’intervento decisivo per isolare DC e MSI e arrivare al referendum, ma diversi membri del partito inizialmente fecero ostruzione. Anche per il referendum sul divorzio, una parte del PCI era tentennante, ed evidentemente furono i vertici del partito a dettare la linea andando contro i membri attanagliati dai dubbi. In entrambi i casi, furono segnali di una segreteria più aperta sui diritti civili e sempre più proiettata all’eurocomunismo, ovvero una strada a metà tra il leninismo e il socialismo democratico. 

Referendum sull’aborto, 1974

Disgregata ogni traccia del leninismo, dagli anni Novanta il centrosinistra si è lanciato verso il socialismo democratico, prendendo però una tangente a tratti neoliberista sulle questioni economiche. Il sogno veltroniano di un partito democratico simile a quello statunitense, quando all’epoca Obama era l’astro nascente della politica mondiale, ha sfaldato le colonne su cui si poggiava l’ideologia di sinistra, considerando che negli USA il socialismo viene visto con stizza anche tra i democratici per il retaggio infinito del maccartismo. È il motivo per cui candidano Biden e non Sanders, per sintetizzare. Traslando l’esperienza statunitense in Italia, il PD è nato come una creatura ibrida che con gli anni ha smarrito i propri punti di riferimento. È inutile esporre le foto di Berlinguer nelle sedi del PD, se poi quei corridoi accolgono Pier Ferdinando Casini, centrista formatosi nella Democrazia Cristiana.

Regna ancora in me parecchia confusione. Di sicuro non riesco a riconoscermi nel comunismo di stampo sovietico, cubano o del PCI dei primi decenni. Intanto erano distorsioni che sconfessavano il pensiero marxista, con la dittatura del proletariato trasformata in una dittatura di un lider maximo. Inoltre i diritti civili venivano considerati giochetti da borghesi. Non posso nemmeno considerarmi un adepto della sinistra della Seconda Repubblica, nonostante sia il periodo delle mie prime partecipazioni elettorali. Quindi, forse, siamo la generazione che associa la sinistra al riflesso di Berlinguer, all’eurocomunismo, al distacco da Mosca e a un’apertura alla NATO non incondizionata. Non so quale sia la proiezione di quella sinistra nella Terza Repubblica.

Elly Schlein

Elly Schlein è in gamba, per anni si è battuta per gli ultimi mostrando coraggio e intraprendenza, ma una volta diventata segretaria è come se il suo ardore si fosse sgonfiato. In un ruolo di responsabilità è inevitabile istituzionalizzarsi, ma lei è stata scelta dagli elettori del suo partito proprio per fare tabula rasa delle scorse esperienze fallimentari del PD, per avviare una nuova stagione da un lato proiettata al futuro (soprattutto sui temi dell’ambiente, della sostenibilità e del contrasto al precariato), dall’altro legata a doppio filo all’opposizione a Meloni. E qui si è arenato il processo di rifondazione, venendo meno la spinta iniziale che aveva determinato l’ascesa di Schlein. In un’ottica a lungo termine, la sua elezione doveva riportare alla base i delusi e conquistare gli elettori del futuro. Adesso la domanda da porsi è solo una: “Cosa spingerebbe un diciottenne a votare per il PD?”.

La risposta per ora è lapidaria: niente. Finita l’era dell’antiberlusconismo e dell’anti-qualsiasi altra cosa, e sbiadendosi sempre di più le memorie della sinistra che fu, a Schlein spetta l’arduo compito di ridefinire il concetto di sinistra. Difesa delle minoranze e lotta contro le disuguaglianze, con le battaglie civili al primo posto. Tutti d’accordo, ma l’opposizione continua a essere timida quando Meloni e soci sviliscono il ruolo della donna, rimettono in discussione l’aborto o trattano gli immigrati come merce da smaltire. Schlein aveva promesso anche una svolta sui diritti sociali. È quindi fondamentale, per esempio, il dibattito sul salario minimo, eppure ormai sembra più un ping pong tra PD e M5S per intestarsi l’iniziativa e dichiarare di aver lanciato la proposta per primi, quando in realtà nessuno dei due partiti ha fatto una legge sul tema una volta arrivati a governare insieme. È così che la destra ha guadagnato consenso tra il ceto medio-basso, più per le carenze delle opposizioni che per le reali azioni sui diritti sociali – che non ci sono state!

Giorgia Meloni

Se oggi gli operai votano Meloni, evidentemente qualcosa è andato storto nel passaggio tra leninismo e socialismo democratico. Ecco, forse l’unica cosa che non può essere scollegata dalla sinistra è proprio il diritto al lavoro. Dunque vorrei vedere Schlein al Pride e nelle fabbriche, a parlare di Lampedusa e di precariato. Una cosa non esclude l’altra, e anzi sarebbe la crasi perfetta di una sinistra moderna, democratica, coraggiosa, dalla parte di tutti – che siano migranti, insegnanti, creativi, operai o infermieri. Eppure, questa crasi non esiste ancora, mentre persiste la guerra intestina tra le correnti del PD e una segretaria che deve abbozzare, restando a galla cercando di accontentare tutti.

Per rendere la sinistra reale, e non l’eco di un passato che ha modellato la nostra ideologia pur non avendolo vissuto, Schlein dovrebbe tornare a essere ciò che era prima di diventare segretaria, a costo di distruggere il partito dall’interno. Quanto a noi, elettori affranti, sinistrorsi per discendenza, primi critici della nostra parte politica, non resta che aggiornarci e unire certi valori di un tempo ad altri moderni, considerando la sinistra non più una materia immobile nella storia. Altrimenti rimarremo intrappolati nella ragnatela della vetero-sinistra, continuando a parlarne e a pensarla al passato. Dobbiamo puntare a Ocasio-Cortez, non a Leonid Breznev. E, se proprio dobbiamo prendere ispirazione da ciò che è stato e debellare certe derive del presente, ad Antonio Gramsci, più che a Bruno Tabacci. 

Forse il primo passo è capire come sia possibile essere di sinistra nel 2023 pur non avendo una forte rappresentanza politica o non riconoscersi pienamente in un partito. Non può essere solo un’eredità famigliare o un’ideologia di rimando. Essere di sinistra vuol dire combattere per una minoranza anche quando non se ne fa parte, contrastando ogni forma di intolleranza e discriminazione. Vuol dire sperare in una tassazione più equa, con i multimilionari e le multinazionali a pagare di più e il ceto medio-basso di meno. Significa prendersi cura dei temi ambientali, in antitesi a una destra che fa finta di non sapere cosa sia il cambiamento climatico. È di sinistra l’indignazione per la privatizzazione della sanità e di altri servizi che è importante rimangano pubblici e gratuiti. Lo è pure il contrasto a chi considera la cultura uno sfizio, perché “non ci si mangia”, e magari privatizza sempre di più anche l’istruzione. Ecco, se questi sono i punti cardinali, nonostante tutto, sono un trentacinquenne di sinistra.

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