Quello che è accaduto a Palermo qualche settimana fa riguarda tutti noi. Le atrocità commesse e pronunciate dai sette stupratori, quelle chat che commentiamo con frasi stereotipate della serie: “Ormai i giovani non hanno più empatia”, “Ma la colpa è dei genitori che non sanno educarli” e via dicendo, dovrebbero indurci a una riflessione più profonda. Dobbiamo chiederci come mai siamo arrivati a questo punto, interrogarci sul perché, nel 2023, il corpo di una donna diventi oggetto di una mattanza del genere e il sesso lo strumento eletto per sfogare ferocia e misoginia. Questa realtà indegna, infatti, rivela la modalità di intendere il sesso e il piacere che ne deriva – o ne dovrebbe derivare – che è strettamente legata al disprezzo, al bisogno di umiliare e di infierire crudelmente su un altro essere umano; di far valere la superiorità numerica del branco contro il singolo, di sopraffare fisicamente e psicologicamente chi non può difendersi annientandolo, seviziandolo.
Che, ancora oggi, si provi e si riesca a ricavare piacere sessuale agendo violenza, mettendo in atto comportamenti coercitivi e brutali, non solo denuncia un’emergenza collettiva nel rapporto che abbiamo con le emozioni, i sentimenti e l’empatia verso gli altri esseri umani, ma ci dice che abbiamo un pessimo ed errato modo di vivere e intendere il sesso. E i problemi in questo senso sono numerosi, a partire dal fatto che fatichiamo, ancora, a riconoscere nel sesso qualcosa di fronte a cui donne e uomini sono uguali. Entrambi hanno infatti impulsi sessuali, entrambi hanno il diritto di ricavare piacere fisico e spirituale da un rapporto; entrambi dovrebbero poter condurre la propria vita sessuale come meglio credono, senza diventare oggetto di giudizi etici, commenti denigratori, battutine allusive o mortificanti. E invece alle donne capita spesso di essere destinatarie di tutto questo.
Ancora oggi, infatti, in molti e molte ritengono che il desiderio femminile sia meno degno rispetto a quello maschile – se non del tutto indegno – di essere agito e vissuto liberamente, oltre che di ricevere rispetto. Esiste ancora chi strumentalizza il desiderio femminile, soprattutto se extraconiugale o non finalizzato alla procreazione, per umiliare le donne, per renderle destinatarie di battute a sfondo sessuale, di goliardia da spogliatoio in cui il corpo della donna è reificato e la sua vita sessuale svilita. E, cosa peggiore, accade che il sesso diventi strumento per accanirsi atrocemente su un corpo che diventa peggio di una cosa – dubito che gli stupratori di Palermo si siano mai accaniti, o mai si accanirebbero, con la stessa ferocia su un oggetto di loro proprietà.
Nelle chat diffuse sul web, uno dei sette stupratori di Palermo scrive: “Eravamo troppi. Mi sono schifato ma la carne è carne”. Questa frase ci racconta che un uomo sente di non potersi tirare indietro davanti a nulla, non può esimersi dal fare il proprio lavoro. L’unica realtà con cui dovremmo fare i conti, di fronte a una dichiarazione del genere, è questa: un ragazzo che pensa e dice una cosa simile dovrebbe apparire come un ragazzo profondamente disturbato, ma a ben vedere ha messo in pratica ai livelli estremi l’educazione che la nostra cultura misogina e patriarcale gli ha trasmesso. Un ragazzo che, come gli altri sei che erano con lui e come chiunque sia in grado di agire tanta violenza, necessita di un lungo percorso di rieducazione, prima di essere reinserito nella società senza costituire un pericolo per gli altri.
Ma poiché conosciamo le condizioni delle carceri italiane, nella gran parte dei casi non adeguate a svolgere efficacemente la loro funzione rieducativa, sappiamo anche che l’emergenza in cui ci troviamo rischia di essere sempre più fagocitante. È un dato di fatto: l’educazione e la rieducazione non sono una priorità in Italia. Per quanti proclami e belle parole si spendano dopo ogni abuso, violenza o femminicidio, lo Stato italiano dimostra nei fatti di non essere disposto a investire somme consistenti nell’irrobustimento di un sistema educativo che oggi risulta debolissimo, se non praticamente inesistente. Il risultato è che ci ritroviamo sole di fronte a un’emergenza valoriale e a una violenza dilagante che si lega strettamente alla sfera sessuale, qualcosa che è protagonista della vita di tutti e con cui dobbiamo, per forza di cose, ricostruire un rapporto sano a partire da zero.
In quella chat il ragazzo si vantava del fatto che “la carne è carne” perché sapeva che, probabilmente, questa ostentazione di presunta “virilità” gli sarebbe valsa la stima e l’ammirazione dei suoi amici. Non si rendeva conto di quanto le sue parole rivelassero assenza totale di umanità perché, probabilmente, nessuno gli aveva mai fatto notare che questi atteggiamenti non hanno nulla di umano, figuriamoci di virile. E ciò accade perché molti di noi sono cresciuti in ambienti in cui la prestazione sessuale è espressione della “capacità del maschio di dominare la femmina”, anche attraverso la sopraffazione e la coercizione. Ma noi non possiamo più permettere che queste credenze obsolete e socialmente pericolose proliferino; invece, ancora oggi, alcune ragazze e ragazzi ricevono questo tipo di diseducazione sessuale, secondo cui gli uomini devono vantare le proprie prestazioni con gli altri maschi, devono accumulare esperienze e, se si sottraggono a un rapporto, persino a uno stupro collettivo, sono “meno uomini” dei loro amici. Le donne, al contrario, devono provare vergogna e senso di colpa per i propri impulsi sessuali, soprattutto quando non finalizzati alla procreazione.
Tutto questo è atrocemente sbagliato, e ci fa sprofondare ogni giorno di più in una gigantesca emergenza sessuale, sentimentale e valoriale. Il grosso problema che abbiamo nel concepire il sesso in modo sano e paritario è un problema per tutti, donne e uomini, che non possiamo più trascurare o banalizzare, e ciò che accade intorno a noi ce lo ricorda costantemente. Da un lato, infatti, assistiamo a un aumento dei casi di stupro soprattutto tra i più giovani, il che avvalora la tesi della sempre più diffusa correlazione tra sesso e violenza; dall’altro, cresce il numero di ragazzi tra i 18 e i 25 anni con gravi problemi di impotenza. Problemi che, in giovani nel pieno del vigore fisico, non possono che avere quasi sempre una matrice psicologica, a causa di un rapporto con la sessualità completamente sbagliato. Un rapporto in cui, probabilmente, non è centrale il piacere dell’incontro fisico e spirituale con l’altro, ma prevale l’ansia da prestazione per il bisogno di dimostrare la propria, presunta, mascolinità.
Dobbiamo interrogarci su come siamo arrivati a vivere il sesso come una prestazione per gli uomini e una colpa per le donne, o addirittura un terreno su cui alcuni uomini sfogano la propria misoginia, la propria frustrazione e violenza repressa; capire per quale motivo gli impulsi sessuali di una donna vengono ancora giudicati, ritenuti vergognosi o indegni, al contrario di quelli degli uomini, per i quali sono un vessillo identitario, un segno di virilità. Siamo, o almeno dovremmo essere, tutti uguali di fronte al sesso, che può sì essere svincolato dalla nostra vita affettiva, ma mai da quella emotiva. E anche se la persona con cui abbiamo un rapporto sessuale non diventerà la madre o il padre dei nostri figli, anche se non trascorreremo l’intera vita con lei o lui, quella persona è e sarà sempre un corpo attraversato da emozioni e sentimenti, un corpo a cui stiamo scegliendo di unirci, anche se per poco tempo, e del quale dovremmo metterci in ascolto, a cui dovremmo essere disposti a donare lo stesso beneficio che riceviamo, felici e soddisfatti di farlo. Questo dovrebbe essere il sesso.
“Cosa possiamo fare, noi, per contribuire alla rielaborazione del modo di concepire la sfera della sessualità?”, è la prima domanda che dovremmo porci di fronte ai fatti come quello di Palermo. Piuttosto che piangerci addosso perché il sistema educativo italiano non funziona – e quello è un dato di fatto – potremmo iniziare a renderci conto di quanto tutti contribuiamo all’errata narrazione sul sesso di cui ci nutriamo, da sempre, e a volte senza accorgercene. Dovremmo smetterla, tutti – e questo è solo un esempio dei molti che si potrebbero fare – di ridere complici degli amici che mettono in imbarazzo una donna con battutine a sfondo sessuale, condite da risatine maliziose e occhiate ammiccanti. E, di fronte a comportamenti del genere, iniziare a mostrare indignazione, a dissociarci con azioni e prese di posizione nette, concrete. Potremmo smetterla di ritenere che il desiderio sessuale maschile sia strutturalmente diverso da quello femminile e, di conseguenza, impossibile da contenere; smetterla di pensare che se un uomo tradisce è perché, poverino, è troppo virile per resistere alla tentazione, e magari applaudire anche tutta questa “virilità”; e di contro, piantarla di credere che se una donna tradisce si merita di essere stigmatizzata ed esposta al pubblico ludibrio, come accaduto qualche settimana fa all’imprenditrice Cristina Seymandi. E, ancora, dovremmo smetterla di invitare le donne a non ubriacarsi, a non vestirsi scollate e a non andare in giro da sole fino a tardi, e iniziare ad agire concretamente sulla rieducazione di chi compie certe violenze.
Oltre a un cambio di mentalità che passi per una trasformazione radicale del modo di pensare la sessualità e il linguaggio per definirla, sarebbe quindi necessario rendere centrale l’educazione sessuale all’interno delle scuole e del sistema educativo. Una materia che non può passare solo per la, seppur fondamentale, educazione all’uso dei contraccettivi – e invece, purtroppo, spesso si riduce a questo – ma deve intrecciarsi con l’educazione emozionale che oggi, per retaggi culturali e religiosi dannosissimi, è così scadente da renderci degli analfabeti sessuali e sentimentali, oltre che persone insoddisfatte, infelici e, talvolta, pericolose.