In questi ultimi giorni, dopo che l’associazione ProVita e la consigliera di Fratelli d’Italia, Barbara Mazzali, hanno criticato i cartelloni pubblicitari della serie Netflix Sex Education, affissi in diverse fermate della metro a Milano, si è riacceso il dibattito sull’educazione sessuale e sull’oscurantismo anacronistico e bigotto del nostro Paese. Le immagini della campagna, raffiguranti diversi frutti che rimandano alla forma della vulva o del pene e accompagnate dalla frase “Se lo/la vediamo in forme diverse è perché non ce n’è uno/a sola. Ognuno/a è perfetta, anche il/la tuo/a”, hanno sollevato le critiche della destra. Barbara Mazzali, consigliera regionale e candidata alle elezioni comunali di Milano del prossimo 3 e 4 di ottobre, ha scritto: “È accettabile che simili poster siano sotto gli occhi di tutti, bambini e ragazzini compresi? L’educazione sessuale deve essere in capo alla famiglia”. Purtroppo, però, con buona pace della consigliera, le più importanti istituzioni al mondo che si occupano di sanità sostengono e ribadiscono da tempo il contrario. Tuttavia, in Italia non esiste ancora una legge nazionale che preveda l’educazione sessuale a scuola e che includa il rispetto delle identità di genere e degli orientamenti sessuali degli studenti.
Già il report europeo del 2013, Policies for Sexuality Education in European Union, aveva mostrato come l’educazione sessuale fosse ormai materia curricolare obbligatoria nella maggior parte dei Paesi europei, tranne che in Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia, Romania e Italia. Al tempo della ricerca, nell’elenco era presente anche il Regno Unito, che però nel 2017 ha colmato questo ritardo. L’Italia, invece, continua a negare questo diritto ai più giovani oltre che a disattendere importanti direttive internazionali. Sugli Standard per l’Educazione Sessuale in Europa dell’Oms (2010) si legge infatti che “la salute sessuale richiede un approccio positivo e rispettoso alla sessualità e alle relazioni sessuali come pure la possibilità di fare esperienze sessuali piacevoli e sicure, libere da coercizione, discriminazione e violenza. Per raggiungere e mantenere la salute sessuale, i diritti sessuali di ogni essere umano devono essere rispettati, protetti e soddisfatti”. È chiaro che in un Paese come il nostro, dove il diritto all’aborto è minacciato dalla massiccia presenza di medici obiettori e subdole realtà pro-vita, dove la distribuzione gratuita dei contraccettivi è disomogenea e non garantita a tutti e dove manca uno sforzo concreto per una sana educazione alla prevenzione, l’educazione sessuale resta un tabù.
Come riporta l’ultimo Atlante europeo della contraccezione stilato da Aidos, l’Italia è ancora molto indietro nell’accesso e nella diffusione della contraccezione. Su quarantacinque Paesi esaminati dallo studio, il nostro, infatti, occupa il 26° posto nella classifica. L’accesso alla contraccezione cambia da regione a regione, poiché si basa sui diversi piani adottati dai consigli regionali. Dallo studio emerge che nelle regioni del Nord l’accesso è più elevato, mentre nelle regioni del Sud è quasi completamente negato, fatta eccezione per la Puglia. A oggi, solo sei regioni hanno deciso di distribuire gratuitamente i contraccettivi: Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Puglia. Un altro problema relativo ai contraccettivi è il loro costo elevato e la difficile reperibilità. Una confezione di profilattici può costare infatti fino a 15 euro, mentre il costo di un diaframma si aggira intorno ai quaranta euro. È vero che ha una durata molto lunga, ma la spirale – compresa la sua applicazione – può arrivare a costare anche 300 euro e, se è vero che ci sono strutture che la forniscono gratis, molti consultori non offrono questo servizio. Anche se non esiste infatti una normativa specifica rispetto alla gratuità della contraccezione riferimenti a essa si trovano però nella legge 405 del 1975, che istituisce i consultori familiari, e nella 194 del 1978, che regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza e la tutela sociale della maternità: eppure sembra vengano sistematicamente ignorati. A questa situazione va a sommarsi lo stato di abbandono in cui versano in molte regioni i consultori familiari, strutture introdotte nell’ordinamento italiano nel 1975, che dovrebbero tutelare la salute riproduttiva delle donne, ma che invece negli ultimi anni sono stati ridimensionati e scarsamente finanziati.
Oltre a questi impedimenti di natura economica e strutturale, c’è la difficoltà dei giovani a informarsi su questi temi: come riportato dallo Studio nazionale fertilità del 2019, l’89% dei ragazzi e l’84% delle ragazze cerca infatti su Internet informazioni riguardanti la salute sessuale e riproduttiva; la maggior parte di loro non conoscono i consultori; il 68% dei ragazzi e il 76% delle ragazze non si sono mai rivolti a queste strutture, sia pubbliche che private; mentre la maggior parte degli studenti (il 94%) ritiene che la scuola dovrebbe garantire l’informazione su sessualità e riproduzione. Riguardo ai metodi contraccettivi, la maggior parte usa il preservativo, il 25% il coito interrotto (che non è un metodo contraccettivo) e il 10% “nessuno in particolare”. È ovvio che in un contesto come questo l’educazione sessuale nelle scuole svolgerebbe un ruolo fondamentale per il corretto sviluppo psico-fisico dei ragazzi e per un approccio al sesso più consapevole e positivo di quello attuale, ancora profondamente distorto, violento, oscurantista e bigotto.
In realtà, dagli anni ’90 a oggi sono state avanzate diverse proposte di legge che non si sono però mai concretizzate, mentre numerose organizzazioni della società civile, spesso vicine al mondo cattolico e conservatore – come ProVita Onlus, Genitori Scuole Cattoliche (AGeSC) e il Movimento per la Vita – continuano indisturbate a fare ostruzionismo e disinformazione sul tema. Recentemente sul tema c’è stata anche un’apertura del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, che in risposta a una domanda dei ragazzi presenti a La Repubblica delle Idee 2021, ha affermato: “È ora di andare avanti, se ne parla da quando ero piccolo io”. Di tutta risposta, le deputate di Fratelli d’Italia, Paola Frassinetti ed Ella Carmela Bucalo, responsabili Istruzione e Scuola di FdI, hanno dichiarato ancora una votla in una nota che questi sono temi “di cui non si devono occupare né Bianchi, né il Ministero perché di esclusiva competenza dei genitori e delle famiglie”.
Così, però, l’insegnamento dell’educazione sessuale viene demandato alle scuole che decidono autonomamente se introdurre o meno questi corsi all’interno del programma di studi, all’iniziativa del singolo e di associazioni volenterose, o, ancora, al porno. Addirittura PornHub, infatti, ha lanciato una serie di video, curati da medici ed esperti, dedicati all’educazione sessuale, Pornhub Sex Ed, per fornire informazioni e consigli sul sesso agli spettatori, anche under 18. Invece di ringraziare serie tv come Sex Education che sfatano miti e tabù sul sesso e svolgono anche suppur in maniera marginale un ruolo di informazione per i più giovani, lasciati soli dalle istituzioni, alcuni arrivano addirittura ad accusare quelle immagini di “ipersessualizzazione” della pubblicità, correlandola a un aumento delle malattie sessualmente trasmissibili (MST) in Europa. In realtà, i dati e gli studi dimostrano esattamente il contrario: come emerge da un’analisi condotta dall’Oms nel 2016 su diversi Paesi europei, infatti, un’adeguata educazione sessuale ha un riscontro molto positivo sulla riduzione delle gravidanze non desiderate e degli aborti aborti nelle adolescenti, sulla diminuzione della diffusione di malattie sessualmente trasmissibili tra i giovani tra i 15 e i 24 anni e sul calo del numero di violenze, abusi sessuali ed episodi di omotransfobia. Oltre ai risultati quantificabili e visibili, questo tipo di approccio ha effetti benefici anche sulle dinamiche comportamentali e affettive dei ragazzi, e quindi sul progresso dell’intera società: aumento dell’autostima, sviluppo di una maggiore empatia e rispetto per il proprio partner sessuale, abilità di negoziazione, oltre alla maggior consapevolezza di sé, del proprio corpo e delle proprie pulsioni sessuali.
Non a caso, quest’anno l’Italia è scesa al 35° posto su 49 della classifica dei Paesi Europei per le politiche a tutela dei diritti umani e dell’uguaglianza delle persone LGBT+, stilata da Ilga Europe; mentre, come riporta una ricerca Ipsos del 2020 effettuata su un campione di ragazze e ragazzi tra i 14 e i 18 anni, per indagare la percezione degli stereotipi di genere nelle opinioni e nei comportamenti dei giovani, il 70% delle adolescenti dichiara di aver subito apprezzamenti sessuali e molestie in luoghi pubblici e il 64% di loro è capitato di sentirsi a disagio per commenti o avance da parte di un adulto di riferimento. L’ignoranza in materia di “victim blaming” è evidenziata poi da quel 15% di adolescenti (il 21% tra i maschi e il 9% tra le ragazze) che pensa che le vittime di violenza sessuale possano contribuire a provocarla con il loro modo di vestire e/o di comportarsi. In generale, l’incidenza delle ragazze che hanno denunciato di essere state vittime di reati a sfondo sessuale è di molto superiore (8 su 10) a quella dei ragazzi. La soluzione per arginare questo tipo di fenomeni e combattere la mentalità machista va ricercata nella prevenzione della violenza di genere e nell’educazione sessuale e affettiva degli adolescenti.
Per rendersi conto di quanto siamo indietro in Italia, basta fare un confronto con alcuni Paesi Ue: in Germania l’educazione sessuale è materia obbligatoria fin dal 1968, in Svezia addirittura dal 1955; in Danimarca, Finlandia e Austria dal 1970; in Francia dal 1998. E poi c’è il caso dell’Olanda, dove l’educazione sessuale e affettiva è prevista fin dalla scuola materna. Il programma si chiama “Educazione sessuale onnicomprensiva” (Cse) e fa parte delle iniziative dell’Unfpa, l’Agenzia di salute sessuale e riproduttiva delle Nazioni Unite. Questo tipo di approccio scientifico è riconosciuto dall’Onu, dal Comitato sui Diritti del Fanciullo e sostenuto anche dall’Unesco, che ha ribadito più volte l’importanza di rendere la Cse obbligatoria in tutti i Paesi del mondo.
Invece di censurare una serie estremamente ben fatta che si inserisce nelle mancanze delle istituzioni in materia di educazione sessuale, sarebbe bene incentivare prodotti d’intrattenimento come questi (oltre a tutti gli altri programmi necessari per educare a una sessualità sana i ragazzi e le ragazze) e, anzi, prendere spunto per capire come i più giovani oggi si approccino al sesso, quali sono le loro fantasie e le loro paure, e imparare a interpretarle, fornendo loro gli strumenti giusti per diventare adulti migliori di quelli che li hanno preceduti.