Da decenni le discriminazioni non erano un’urgenza per l’Europa come adesso. Se è vero che l’effettiva parità di genere per la comunità Lgbtqi+, come per le donne, resta ancora un traguardo per gran parte dei Paesi europei, dentro l’Ue sta accadendo anche qualcosa di più grave: diritti civili che si credevano conquistati si stanno perdendo. In Stati membri come Polonia e Ungheria assistiamo alla demolizione – per legge – di diritti fondamentali come la libertà sessuale, di espressione e di eguaglianza di fronte alla legge. Nel 2020 una sentenza della Corte costituzionale polacca composta a maggioranza di giudici nominati dal partito al governo degli ultraconservatori cattolici (Pis) ha vietato l’aborto per le donne anche in caso di male incurabile o di disabilità permanente del feto. Un’altra legge è in approvazione per una superprocura penale a tutela della famiglia tradizionale che, accedendo ai dati personali dei cittadini, vigilerà contro divorzi, aborti, unioni di coppie arcobaleno.
Su circa un terzo del territorio polacco sono in vigore “zone senza Lgbtq+”. In Ungheria il premier Viktor Orbán continua a cavalcare omofobia e razzismo dopo la censura di libri e di tutti i messaggi arcobaleno con la “legge vergogna”, così definita anche dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, e il pacchetto di norme contro migranti e ong. Quest’involuzione, attraverso leggi fondamentaliste che cozzano con gli Stati di diritto e con i valori pilastro dei trattati dell’Ue e delle stesse costituzioni dei 27 Stati membri, è fortemente condannata dalle istituzioni europee. A luglio la Commissione Ue ha aperto due procedure d’infrazione contro la Polonia e l’Ungheria per la violazione dei diritti fondamentali; quest’anno la Corte di giustizia dell’Ue ha dichiarato contraria al diritto europeo la magistratura polacca, poi illegittima la legge ungherese “anti-Soros” sui migranti. E tuttavia, con gli assetti e i poteri attuali, i meccanismi sovranazionali europei a tutela dei diritti delle democrazie si rivelano a dir poco inefficaci.
Nonostante le risoluzioni di condanna e le pressioni dell’europarlamento, la Commissione Ue non ha applicato verso entrambi i Paesi il Regolamento sulla condizionalità, chiudendo i rubinetti del bilancio ai Paesi con “accertate violazioni dello Stato di diritto che compromettono la gestione dei fondi Ue”. Di tutta risposta, a novembre la Corte costituzionale polacca è arrivata a stabilire incompatibile con la costituzione nazionale la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Siamo al cortocircuito democratico che, per entrare nell’Ue, i Paesi candidati devono essere in linea con i criteri di adesione di Copenaghen sui diritti umani, mentre gli Stati già membri possono violarli per anni. Chiamata a mediare con la Polonia, all’ultimo suo Consiglio europeo da cancelliera, Angela Merkel ha indicato l’assemblea dei cittadini della Conferenza sul Futuro dell’Europa (CoFoE) come “un buon posto” per dibattere sulla rule of law. E in effetti, le 39 raccomandazioni all’Ue votate nel panel dei cittadini e le circa 2900 proposte su diritti e democrazia sulla piattaforma partecipativa online della CoFoE non tradiscono le aspettative.
I cittadini d’Europa chiedono di fissare prima di tutto in una Costituzione comune i diritti umani e i valori democratici, e di inasprire le sanzioni contro i Paesi membri che violano lo Stato di diritto, modificando anche i trattati. A tutela dei diritti fondamentali rivendicano poi competenze più estese dell’Ue sulla protezione dei dati personali e nella lotta alla disinformazione. “Nel mio sottogruppo abbiamo lavorato molto sulla cyber-sicurezza, per rafforzare la protezione dei dati dalle minacce informatiche, a difesa delle democrazie. Ma il mio ideale per questa conferenza è, prima di tutto, contribuire a far riaprire il dibattito su una costituzione europea”, commenta a The Vision Gigliola Vitagliano, funzionaria del Comune di Milano tra i 200 cittadini sorteggiati per il panel sui diritti della CoFoE. “Anche noi, non solo i rappresentanti politici, dovremmo essere capaci di una visione in prospettiva, oltre che di sensibilizzare. Quindi dell’ambizione di una carta fondamentale dei valori che ci contraddistinguono come europei, anche da proiettare, pacificamente s’intende, all’esterno. Semplicemente perché l’Ue deve mirare a essere un modello di convivenza e di reali Stati di diritto. Non di distinguo e di steccati tra Stati”.
Nella raccomandazione numero 35 i cittadini si candidano a “votare per la creazione di una simile costituzione”, che “dovrebbe dare la priorità all’inclusione dei diritti umani e dei valori democratici”, perché così, affermano, si “contrasterebbero le crescenti forze del nazionalismo” e “perché l’Ue ha valori condivisi in materia di democrazia e diritti umani”. Una raccomandazione ancor più precisa sul tema (approvata dall’89% dei votanti del panel) chiede di “modificare il regolamento sulla condizionalità 2020/2092 in modo da applicarlo a tutte le violazioni dello Stato di diritto e non solo a quelle che incidono sul bilancio dell’Ue”. Perché il regime attuale di sospensione dei fondi europei, si motiva, “offre più tutela al bilancio e alle istituzioni dell’Ue che ai cittadini degli Stati membri interessati”. La proposta sui diritti di un gruppo di attivisti sulla piattaforma online della CoFoE si spinge ancora oltre, suggerendo di cambiare “l’articolo 7 dei trattati europei, che prevede un meccanismo di sanzione troppo lento nell’applicazione che richiede l’unanimità”, dando “più potere di sanzione alla Commissione europea come custode dei Trattati, soggetta a ricorrere alla Corte di giustizia Ue”.
“Appoggiamo la raccomandazione di emendare il regolamento sulla condizionalità perché le sanzioni pecuniarie contro gli Stati membri che violano la legge sono rilevanti. Non di meno, crediamo che non possa essere la sola misura”, ci spiega Fernando Pereira, esperto di lungo corso di diritti umani e di diritto europeo che sul sito della CoFoE sostiene la modifica dei trattati Ue. “L’Unione europea è, o dovrebbe essere, un’unione di Stati che condividono valori fondamentali in particolare, seppur non esclusivamente, sullo stato di diritto. È un requisito chiaro nei criteri per l’adesione di Copenaghen, di conseguenza anche le violazioni sistematiche nei Paesi membri dovrebbero sistematicamente essere sanzionate. Ma ciò non avviene, come nel caso della Polonia e dell’Ungheria”. L’articolo 7 resta di prassi inapplicato perché, come per altre decisioni chiave dell’Ue, l’ultima parola non spetta alla Commissione europea ma agli Stati membri, attraverso il voto all’unanimità in seno al Consiglio europeo. Non a caso un’altra raccomandazione del panel propone “se necessario di cambiare i trattati europei” per rivedere proprio la questione dell’unanimità, al momento “una sfida significativa per il processo decisionale dell’Ue”.
Come fondamento di una cultura democratica, i cittadini rivendicano l’accesso a un’informazione il più possibile indipendente e oggettiva. All’Ue chiedono di contrastare seriamente la diffusione di fake news, promuovendo piattaforme online di fact-checking dove sia possibile “trovare e richiedere informazioni verificate”, osservatori sui media digitali e codici di condotta europei. “In un’altra raccomandazione auspichiamo norme dell’Ue più rigorose sulla concorrenza tra i media, perché in tutti gli Stati sia garantito il pluralismo e per vietare la forte influenza politica sugli organi di informazione, che i colleghi rumeni ci dicono per esempio mutare a ogni loro frequente cambio di governo”, racconta a The Vision Chiara Alicandro, 31enne consulente del lavoro di Latina, che è anche ambasciatrice delle idee dei cittadini nell’assemblea plenaria dell’europarlamento. “Riteniamo che l’informazione corretta sia uno dei presupposti per la democrazia. Viceversa, le notizie false la mettono a rischio e polarizzano la società, come vediamo accadere”.
“Fra noi alla conferenza è in atto un grande esercizio di democrazia che richiede anche molto impegno. Un’altra base per educare alla democrazia”, precisa Chiara che ha discusso le raccomandazioni sui diritti con i politici nazionali ed europei e membri della Commissione Ue, “è rendere permanenti nell’Ue assemblee di cittadini come questa”. La raccomandazione è di istituire “per legge o regolamento giuridicamente vincolante” delle consultazioni partecipative ogni 12-18 mesi. Si propongono poi “conferenze annuali sullo Stato di diritto dopo la pubblicazione dell’omonima relazione annuale di monitoraggio”, con l’obbligo per gli Stati membri di inviare delegazioni formate anche da cittadini. Le raccomandazioni del panel sono state approvate con almeno il 70% dei voti, le idee per includere la popolazione europea nel processo decisionale e politico trovano centinaia di supporter anche sulla piattaforma digitale della CoFoE.
Le indicazioni dal basso sulla rule of law sono concrete, circostanziate e vanno in un’unica direzione: non si torna indietro sui diritti. L’Ue ha il chiaro mandato popolare di realizzare, anche sul lavoro e nel welfare, il principio di eguaglianza, indipendentemente da genere, sesso, età, origine, religione. Il revisionismo reazionario che governi come quello di Orbán e della Polonia vorrebbero estendere anche ai trattati europei, in un percorso discriminatorio e antistorico, è inaccettabile, perché prima di tutto incivile e poi espressione di una minoranza nell’Ue. La forza dei leader populisti e autoritari, lo dimostra la voce dei cittadini consultati, nasce dalla propaganda, e cioè dalla disinformazione. E c’è un solo modo per l’Europa per rispondere alla richiesta di civiltà della larga maggioranza della popolazione europea. Riformarsi nei trattati, coinvolgendo i cittadini e facendo proprie le loro istanze, e agire. Non ammettendo più deroghe sui diritti umani, perché un’Europa tollerante sulla loro violazione non può in fine dei conti definirsi Unione europea.