Il cantautore e personaggio televisivo Morgan è stato accusato di stalking e maltrattamenti ai danni della cantautrice Angelica Schiatti, con cui in passato ha avuto una relazione e che lo avrebbe denunciato già anni fa per stalking e maltrattamenti ai danni propri, della sua famiglia e del suo attuale compagno, il cantautore Calcutta. Negli ultimi giorni sono state diffuse sul web le chat intercorse tra Morgan e Schiatti, che rivelerebbero le minacce e gli abusi psicologici che il cantante avrebbe messo in atto ai danni della vittima. Ciò che colpisce è quanto detto da Schiatti, la quale avrebbe denunciato ben quattro anni fa rimanendo, a suo dire, inascoltata dalle istituzioni. “Mi sono sentita sola”, ha dichiarato la cantautrice, per la quale sarebbe sì scattato il codice rosso senza che, però, venisse emesso alcun divieto di avvicinamento. “Questa mia”, dice Schiatti, “è la condizione di una donna che trova il coraggio per denunciare in Italia, che cerca di difendersi e di tutelare la propria dignità e che non dovrebbe mai essere lasciata sola”.
E invece pare che Morgan, dopo la denuncia, abbia addirittura affittato un appartamento vicino casa di Schiatti, e continuato a perseguitarla con minacce, insulti e diffondendo in una chat di gruppo dei video erotici, e delle foto che la donna gli avrebbe inviato ai tempi della loro relazione. A pochissimi giorni fa, inoltre, risale una foto che Morgan avrebbe scattato e pubblicato sui social, in cui Schiatti ha riconosciuto la via della propria abitazione. “Questa nella foto è la via di casa mia”, dice la cantautrice, “dove ovviamente non posso tornare perché ho paura”. Secondo la ricostruzione della vicenda, già tempo fa Schiatti ha deciso di trasferirsi a casa del padre per sentirsi più sicura, mentre Morgan avrebbe assoldato alcune persone per intimorire lei e, addirittura, far picchiare il suo fidanzato. Va detto che il cantante e i suoi legali hanno prontamente rigettato ogni accusa, e che sarà eventualmente il processo nelle aule di tribunale – e non quello mediatico – a ricostruire i fatti. Ma è vero anche che questa vicenda, con la sua risonanza, diventa un pretesto per sottolineare le falle di un sistema che, spesso, non è in grado di tutelare le donne che denunciano – e le cui storie, non di rado purtroppo, finiscono in modi ben più tragici.
La storia del nostro Paese è, infatti, anche quella di donne vittime di persecuzioni, minacce, violenze psicologiche o fisiche che, dopo aver denunciato, vengono lasciate sole nelle grinfie del loro aguzzino, l’uomo che le costringe a una vita di paura costante. Questa è ancora una grossa piaga in Italia: si invitano le donne a denunciare, ma dopo la denuncia non si mette in atto una rete di sostegno adeguata, che consenta loro di sentirsi protette e tutelate. È addirittura frequente che la qualità della vita della donna che ha denunciato, dopo la denuncia, vada peggiorando, con il persecutore che acuisce la propria violenza e diventa ancora più vendicativo. In Italia, lo ricordiamo, ogni tre giorni muore una donna per mano di un marito, un compagno o un ex partner; di queste, una parte cospicua aveva già denunciato in precedenza, ma la denuncia non è bastata a evitare il peggio.
Nell’agosto dello scorso anno, a Piano di Sorrento, una donna di 56 anni, Anna Scala, è stata uccisa con quattordici coltellate dall’ex compagno, che tempo prima aveva denunciato per maltrattamenti. La stessa sorte è capitata a Celine Frei Matzohl, accoltellata dall’ex fidanzato sempre nell’agosto del 2023. I due si erano frequentati per cinque mesi, ma lui era violento e ossessivo e la ragazza lo aveva lasciato. Lui, che si era addirittura licenziato per poterla pedinare meglio, era stato denunciato da Celine a giugno del 2023 ma è stato tutto inutile: due mesi dopo, nel giorno del suo ventunesimo compleanno, la ragazza è morta per mano di quell’uomo che non la lasciava più in pace. Neppure un mese dopo Marisa Leo, 39 anni, viene ammazzata con tre fucilate all’addome dal suo ex, che anni prima aveva denunciato per stalking. Sono solo tre delle centinaia, migliaia di donne che denunciano la violenza di uomini, che chiedono aiuto alle forze dell’ordine, alle istituzioni e che, poco tempo dopo, trovano la morte per mano dello stesso uomo che le minacciava, le perseguitava, che impediva loro di avere una vita normale.
Ogni volta che una donna muore per femminicidio, si alza il consueto coro di persone che credono di saperla lunga: “avrebbe dovuto denunciare”, “avrebbe dovuto accorgersi di quanto accadeva, chiedere aiuto, e magari le cose sarebbero andate diversamente”. Un coro di ipotesi, di verbi al condizionale, che crolla miseramente ogni volta – e purtroppo accade troppo spesso – che la vittima di femminicidio sia una donna che aveva sporto denuncia, rimanendo comunque sola nelle mani del proprio aguzzino. E allora ci si chiede cosa debba fare una donna vittima di violenza per ricevere aiuto e protezione adeguati oltre a denunciare; quali altre precauzioni dovrebbe prendere quando un uomo la minaccia, la perseguita, la ricopre di insulti, spesso anche via chat – e dunque lasciando tracce e prove inoppugnabili della sua colpevolezza. Chi denuncia dovrebbe sentirsi al sicuro, ma questo in Italia non accade. Anzi, e spiace ancora una volta dirlo, chi sporge denuncia si ritrova, talvolta, esposta a un pericolo ancora più grande. E allora non permettiamoci di fare, a posteriori, ramanzine a quelle donne che, per paura o per qualsiasi altra ragione, scelgono di non denunciare.
A livello istituzionale, in Italia, sembrerebbe esserci sempre maggior ascolto, dialogo e allarmismo sul tema della violenza di genere, dello stalking ai danni delle donne e sul femminicidio. Il numero di femminicidi è infatti così alto da farci sempre più paura, e da costringerci a costanti riflessioni sulla disfunzionalità dei rapporti uomo-donna, e alle radici culturali intrise di patriarcato, misoginia, ossessione per il controllo e possesso in cui questa disfunzionalità spesso affonda. Ma il dialogo e l’allarmismo, è chiaro, non sono sufficienti poiché mancano politiche sistemiche, una rete di protezione adeguate, e sono ancora troppe le falle che impediscono alle donne di sentirsi tutelate. E allora va bene parlarne, va bene la rete di solidarietà sui social, va bene persino auspicare che l’educazione sentimentale diventi materia scolastica come la matematica o la religione. Ma quando il pericolo è già in agguato, servono prima di tutto misure tempestive che tutelino le vittime. E invece talvolta chi raccoglie le denunce finisce per minimizzare la gravità della situazione, e ci sono donne che raccontano addirittura di sentirsi dire, dal maresciallo o l’ispettore di turno: “Signora, che cosa ha combinato per farlo incazzare così?”, in una legittimazione della violenza che è imbarazzante e pericolosa in egual misura.
Agli uomini contro cui si sporge denuncia, spesso, viene consentito di aggirarsi nei luoghi in cui le donne che hanno denunciato vivono e lavorano, di mettere in atto appostamenti e, nei casi più gravi, aggressioni fisiche e verbali. Possono continuare a riempirle ossessivamente di telefonate e messaggi, persino con contenuti minacciosi e abusanti, e sono infiniti i casi di cronaca nera in cui si scopre che la vittima aveva chiesto aiuto in ogni modo, perché non solo era pienamente cosciente del pericolo ma, in alcuni casi, sentiva già di essere stata condannata a morte. E anche quando le vittime di violenza o stalking che denunciano hanno la “fortuna” di non essere uccise, talvolta si ritrovano con la vita distrutta per l’inasprimento delle minacce, dei tentativi intimidatori da parte dell’uomo, di abusi psicologici che tolgono l’ossigeno e sarebbero insostenibili per chiunque. E allora mettiamocelo in testa: non sono poche le donne vittime di violenza che hanno il coraggio di denunciare. Sono troppe quelle che, pur denunciando, rimangono completamente sole.
Non possiamo più permettere che tutto questo accada. Non si può permettere a chi è accusato di violenza di continuare a girare indisturbato intorno alla vittima, di perseguitarla, di rovinarle la vita o, nei casi peggiori, di ucciderla; e invece, talvolta, denunciare può rivelarsi una mossa inutile o controproducente. È bello che a oggi esista un gesto convenzionale grazie al quale le donne possono chiedere aiuto, per strada, se avvertono di essere in pericolo; ma al di là di questi, pur utili, codici di mutuo soccorso, le donne devono poter vivere in un Paese che le tuteli quando decidono di denunciare, che sia in grado di tenerle al sicuro, grazie a un sistema che le protegga in modo solido e inossidabile. Nonostante siano stati fatti minimi passi avanti in questa direzione, questo sembra non essere una priorità. L’Italia non è un Paese per donne, non lo è per tutte quelle che rivendicano il diritto ad avere una vita normale, al riparo da violenze, persecuzioni e minacce di ogni tipo. E se anche queste vengono perpetrate “solo” via chat, senza tramutarsi in vera e propria violenza fisica, una donna deve essere anche in quel caso tutelata dallo Stato perché anche quello è un abuso, che nessuno può e deve permettersi di minimizzare o ridimensionare.