Perché a Cuba non cambierà nulla anche senza i Castro - THE VISION
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La narrazione delle vicende legate a Cuba è, storicamente, la quintessenza della distorsione. Una notizia non viene quasi mai riportata per quello che è, ma per quel che rappresenta in un quadro ideologico alimentato dall’utopia. Non fa eccezione la “fine dell’era dei Castro”, sbandierata ovunque, che in realtà è ben lontana dall’essere terminata.

L’Assemblea Nazionale cubana ha eletto Miguel Diaz-Canel presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei ministri. Diaz-Canel prende così il testimone di Raul, fratello di Fidel, dopo 59 anni di dominio castrista; lui di anni ne ha 57 e durante la Rivoluzione del 1959 non era nemmeno nato. La sua è la classica storia di chi ha scalato il partito dal basso, diventando prima leader nelle provincie di Villa Clara e Holguin, per poi entrare nella cerchia più stretta di Raul, che l’ha nominato ministro dell’Istruzione superiore nel 2009 e vicepresidente nel 2013.

Miguel Diaz-Canel

I giornali di tutto il mondo parlano di una svolta storica: la notizia di un presidente cubano che di cognome non fa Castro stuzzica l’opinione pubblica, questo è innegabile. Ma la svolta dove sta?

I dissidenti, coloro che non sono più a Cuba perché lì non possono più stare, hanno pochi dubbi: Diaz-Canel “è un fantoccio”. È quello che afferma Blanca Reyes, fondatrice di Damas de Blanco, movimento per la liberazione dei detenuti politici a Cuba. Secondo la Reyes, Diaz-Canel non apporterà alcuna modifica alla politica nazionale e internazionale, ed è stato messo al potere soltanto perché il figlio di Raul, Alejandro, non è adatto per quel ruolo. Le fanno eco tutti gli esuli che hanno dovuto abbandonare la propria patria, per scelta o per necessità, e che non nutrono la benché minima speranza per il futuro di Cuba: un’isola ormai mummificata, un cimitero degli elefanti che sopravvive solo attraverso la mitologia che le ruota attorno.

Alejandro Castro

La Costituzione cubana parla chiaro. L’articolo 5 stabilisce che: “La forza dirigente della società e dello Stato è il Partito Comunista”. Nessuna decisione sfugge al controllo del partito, che detiene il potere assoluto. Il segretario del partito comunista, almeno fino al 2021, ha il nome di Raul Castro. Lo stesso Diaz-Canel ha voluto ribadire questo concetto con frasi per niente sibilline, spiegando come Raul prenderà le principali decisioni per il presente e il futuro dell’isola. Ha proseguito dicendo che seguirà il percorso intrapreso dai fratelli Castro, e che la linea di politica estera resterà inalterata. La chiusura del suo discorso è stata affidata alla frase: “La Rivoluzione è viva e va avanti”. Rivoluzione che, a prescindere dall’Assemblea Nazionale e dal ruolo del partito, ha creato quello che molti fanno fatica a chiamare con il suo nome: un regime militare. Ed è sempre Raul che comanda le forze armate.

Fidel e Raul Castro – Foto © Desmond Boylan / Reuters
Miguel Diaz-Canel e Raul Castro

La figura di Diaz-Canel è dunque una naturale prosecuzione della linea tracciata dai Castro, nulla di più. In questi giorni i media internazionali hanno provato a far luce su una diversità che riguarda esclusivamente la forma: il neopresidente che va al lavoro in bicicletta, con i jeans, manco fosse sua santità Roberto Fico; che ascolta musica rock, che è sensibile al mondo Lgbt. È visto addirittura come il promotore di una stampa più libera, e di una connessione Internet (che fino a poco tempo fa a Cuba era un tabù) disponibile a tutti. Peccato che si tratti solo di apparenza: in un video dello scorso anno, che i dissidenti non hanno perso l’occasione di far circolare, Diaz-Canel spiega al partito i pericoli dei portali web di notizie indipendenti, definendoli un ostacolo per il partito, e sostiene che i nuovi media siano degli strumenti sovversivi. Si mostra inoltre intransigente nei confronti di qualsiasi voce fuori dal coro, con il probabile obiettivo di reprimere ogni forma di opposizione.

La presunta nuova libertà di Cuba, tanto decantata dall’esterno, assume così i tratti di una leggenda metropolitana.

Il mito cubano è vissuto di riflesso, da quasi sessant’anni, da chi è distante migliaia e migliaia di chilometri dall’isola caraibica. Le acque cristalline, i cayos, i sigari, i murales di Che Guevara, la Baia dei Porci: sono tutti segmenti che da decenni alimentano un sogno collettivo. La caduta del regime di Batista – di fatto poi sostituito da quello dei Castro – e le epiche battaglie del Che e di Fidel hanno obnubilato la mente, facendo perdere il contatto con la realtà. Per un turista il viaggio a Cuba è un’esperienza memorabile: L’Avana in alcuni dei suoi quartieri sembra quasi una città appena bombardata, tra edifici segnati dal tempo e il senso di decadenza che la pervade. Supermercati vuoti, strade dissestate. Poi arriva la zona più turistica, quella da cartolina, che crea un contrasto stridente.

Al momento la situazione è instabile, a partire dall’annosa questione della doppia valuta: tra peso cubano e peso convertibile si crea un sistema di disvalori, aggravato anche da un’economia statale poco produttiva. La fonte principale di entrate del Paese è rappresentata dal turismo, ma anche questo settore crea una rete di contraddizioni. I privati possono offrire una stanza a un viaggiatore per 30 dollari al giorno; un dipendente pubblico guadagna, in media, 35 dollari al mese. Di conseguenza, i giovani laureati scelgono di andare altrove, oppure di restare, evitando gli impieghi nel settore pubblico o, ancora meglio, affittando stanze nelle cosiddette casas particulares ai turisti.

Cienfuegos, Cuba © Alessandra Lanza
Cienfuegos, Cuba © Alessandra Lanza

La politica estera, quella che Diaz-Canel non ha intenzione di modificare, ha sempre rappresentato sia un fardello che un vanto per il popolo cubano. Il sostegno sovietico e venezuelano – peraltro scemato anno dopo anno – non ha attutito il colpo dell’embargo imposto dagli Stati Uniti. El bloqueo poteva anche giungere al termine, soprattutto dopo le prove di disgelo avviate nel 2014 dall’allora presidente Barack Obama. Un evento dalla portata storica fondamentale – quello sì, a differenza di un figlioccio di Raul Castro messo al potere senza apparenti mezzi decisionali – vanificato con l’elezione di Donald Trump. Gli sforzi diplomatici di Obama sono stati spazzati via e si è tornati senza troppi problemi a un clima da Guerra Fredda.

Forse anche questo ostracismo da parte degli Stati Uniti (o più che altro una vessazione a stelle e strisce nei confronti di Cuba) ha portato altri stati ad appoggiare la causa cubana. Le sinistre radicali del mondo hanno preso Cuba come esempio. Di cosa, non si sa. Sinonimo di libertà e ribellione per eccellenza, mentre le sue prigioni accolgono dissidenti, personaggi sgraditi al regime o scrittori che hanno osato scrivere una parola di troppo. È un concetto di ribellione edulcorata ed è la cocciutaggine del sognatore che non vuole svegliarsi ad alimentarlo: ma i disillusi sono sempre di più, insieme a quelli che sognano di ricostruirsi una vita negli Stati Uniti.

Raul Castro e Obama

Le cose però non cambieranno, almeno non nel breve periodo: Cuba galleggia in uno stallo gattopardiano dove tutto cambia perché nulla cambi. Dietro la maschera di Diaz-Canel c’è la figura di Raul Castro, che a sua volta aveva le sembianze di Fidel. Eppure fa comodo dire che Cuba sta entrando in una nuova fase storica. Raul, come segretario del partito, resterà al vertice almeno fino al 2021 – quando avrà 90 anni. Fidel è rimasto al proprio posto fintanto che ha avuto la facoltà di intendere e di volere, quando con la sua iconica tuta Adidas stringeva la mano a Papa Francesco o a Diego Armando Maradona – allora era già Raul a prendere le decisioni.

Papa Francesco e Fidel Castro – Foto © Reuters
Maradona e Fidel Castro – Foto © Reuters

C’è un altro motivo per cui è lecito credere che la svolta non arriverà: a Cuba l’opposizione viene tenuta strettamente sotto controllo. Per anni Oswaldo Paya è stato in prima linea nel contrastare la dittatura di Castro, combattendo per la libertà di parola e di stampa, per una modifica della legge elettorale, per la scarcerazione dei prigionieri politici. All’estero Paya è stato osannato per la sua tenace lotta, insignito del premio Sakharov per la libertà di pensiero, candidato al Nobel per la pace. A Cuba, invece, è stato ostracizzato con ogni mezzo. È morto in un incidente stradale nel 2012, ma sono ancora in molti a credere che non si sia trattato di una fatalità. La figlia, Rosa Maria, è oggi dirigente dell’opposizione e ha pochi dubbi sul futuro del proprio Paese: ha affermato che Diaz-Canel non ha alcuna legittimità, non essendo stato scelto dai cittadini ed essendo manovrato da Raul Castro.

Papa Giovanni Paolo II e Oswaldo Paya

Questa è Cuba, prendere o lasciare: continuerà a esserci una pletora di turisti affascinata dal mito cubano, a godersi le meraviglie del luogo e a ricordare la Rivoluzione. Continueremo a leggere i racconti di Hemingway e di tutti i cantori di questo gioiellino dei Caraibi, compreremo nei centri commerciali europei le magliette del Che, fumeremo ancora i nostri sigari. Perché il sogno è troppo invitante per essere infranto. Contro ogni evidenza, contro ogni verità sotto il naso. Quello che agli occhi di molti rimane l’emblema dello spirito rivoluzionario è forse diventato il Paese più statico del mondo. E dunque, hasta la conservación.

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