Se la guerra continuerà a lungo, per alcuni Paesi il pane potrebbe diventare presto un bene di lusso - THE VISION

L’invasione russa in Ucraina sta avendo ripercussioni sull’accessibilità globale a beni di prima necessità, compreso il frumento. La riduzione delle esportazioni e il blocco produttivo stanno imponendo costi proibitivi ai Paesi dipendenti da Russia e Ucraina per le importazioni di granaglie, aumentando in maniera progressiva l’insicurezza alimentare già estesa, secondo le stime della Fao, a 800 milioni di persone. Secondo i calcoli, questo conflitto coinvolge il 25% della produzione mondiale di grano.

Già durante la Prima guerra mondiale, Impero russo e Impero austro-ungarico si contendevano i territori del granaio d’Europa, intervenendo per ridurre le reciproche influenze e assicurarsi una fornitura massiccia di grano. Il trattato di Brest-Litovsk del 1918, oltre alla cessione di diversi territori, impose a Mosca il riconoscimento dell’autonomia statale dell’Ucraina, autonomia che, però, sfumò presto in un protettorato di Berlino e Vienna che approfittarono delle condizioni concordate per sfruttare le risorse agricole del Paese, tanto che il trattato venne soprannominato la Pace del Pane. Berlino, però, nel timore di una reale indipendenza ucraina, non lesinò in interferenze e intromissioni, sostenendo il colpo di stato del 1918 che pose fine alla serie di riforme sociali avviate dalla Repubblica Ucraina. 

Pochi decenni dopo, durante la Seconda guerra mondiale, i tedeschi entrarono nuovamente in territorio ucraino, all’epoca parte dell’Unione sovietica, con l’operazione Barbarossa del 1941, allo scopo di impadronirsi delle sue notevoli risorse agricole, funzionali al mantenimento dell’esercito e all’acqusizione dello “spazio vitale” a Est teorizzato da Hitler per il futuro della razza ariana. 

L’importanza dei prodotti agricoli dell’Ucraina è richiamata nella sua stessa bandiera bicolore, recuperata dopo la caduta dell’Unione Sovietica, con le due fasce, una azzurra e una gialla, che rappresentano un cielo blu sotto cui si estende un mare dorato di grano, a indicare la prosperità e la risorsa principale del Paese. La storia dell’Ucraina e le sue relazioni internazionali sono quindi profondamente intrecciate con la sua produzione di granaglie. 

L’Ucraina è oggi il quinto esportatore al mondo di granaglie (oltre il 7%), mentre la Russia garantisce il 18% delle esportazioni globali. La produzione combinata dei due Paesi in guerra tra loro raggiungeva nel 2019, come riportato dall’Observatory of Economic Complexity, il 24,5% delle esportazioni mondiali di grano, costituendo quindi un quarto del totale complessivo. Un primato che per diversi Paesi è particolarmente grave, dato che gran parte della loro alimentazione è basata su prodotti derivati dal grano.

Dalla Russia, per esempio, dipende circa il 60% delle importazioni dell’Egitto, primo Paese al mondo per importazione di grano, che ottiene un altro 26% proprio dall’Ucraina – per una spesa complessiva di 4 miliardi di dollari, di cui 265 milioni versati all’Ucraina. Dall’inizio della guerra lo scorso 24 febbraio, l’Egitto ha registrato un aumento del 50% sui prezzi del pane, minacciando soprattutto il terzo della sua popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà.

Un’altra ripercussione che potrebbe avere risvolti gravi è la decisione, il 14 marzo scorso, di interrompere temporaneamente le esportazioni di grano verso le repubbliche ex-sovietiche, voluta da Putin allo scopo di garantire le riserve domestiche. Un blocco che coinvolge direttamente Armenia, Kazakistan, Kyrgyzstan e Bielorussia, Paesi vicini a Mosca e inclusi nel Trattato di Sicurezza Collettiva euroasiatico (CTS), un’alleanza militare di mutuo sostegno in caso di necessità, come accaduto per sedare le proteste anti governative di inizio anno in Kazakistan. Le dipendenze dalle esportazioni da Russia e Ucraina interessano anche Paesi come Turchia, Bangladesh, Nigeria, Azerbaijan, Sudan, Emirati Arabi Uniti, Senegal, Vietnam, Indonesia, Filippine, Tunisia, Thailandia, Marocco, Corea del Sud, Spagna e Israele. 

Vladimir Putin

La Turchia e il suo Presidente Erdogan stesso sono in sofferenza per l’aumento dei prezzi: il Paese per l’aumento congiunto dei costi dell’energia e del grano, il Presidente per la perdita di consenso a favore dell’opposizione. Il malcontento popolare cresce anche in Egitto, dove tra le cause dell’insurrezione del 2011 si ricorda anche l’aumento del prezzo del pane, e in Tunisia, dove il governo avrebbe già avuto difficoltà a pagare spedizioni di grano e in cui la carenza di cous cous e pane è sempre più grave.

Recep Tayyip Erdogan

Il protrarsi del conflitto potrebbe estendere il blocco delle produzioni e delle esportazioni in maniera oculata, che condurrebbe a un ulteriore aumento dei prezzi. Il pane rischia così di diventare un bene di lusso, la cui curva dei prezzi sale verso l’alto con la rapidità e le lunghezze proprie di un evento distruttivo e destabilizzante qual è il conflitto armato. E gli effetti potrebbero non limitarsi al breve periodo, ma inanellarsi con quelli ormai sistemici dovuti all’emergenza climatica e alle siccità diffuse e prolungate in diverse aree del Paese, come nel Corno d’Africa. Cina, Corea del Sud e Giappone, per esempio, riscontrano già una perdita annuale di produzione agricola pari a 63 miliardi di dollari come effetto diretto della concentrazione crescente di inquinamento da ozono, un gas che interferisce proprio sulla produzione di grano. La Cina, in particolare, è il Paese più colpito, con un calo stimato del 33% della sua produzione. 

Come dimostrano le ultime settimane, il controllo del grano accrescerà sempre di più il potere e l’influenza dei Paesi produttori, in particolare a causa del cambiamento climatico.  In vista di un mondo con terreni meno fertili e un clima più ostile e scostante, il valore del grano aumenterà, arricchendo i Paesi che si sono dedicati al land grabbing in Africa, Cina in testa, e gli storici produttori i cui territori sono meno geograficamente fragili, come Russia. L’attuale isolamento politico ed economico nei confronti della Russia potrebbe quindi diventare meno solido via via che i prezzi aumenteranno e che il grano inizierà a scarseggiare. 

Soprattutto perché, parallelamente alla riduzione delle esportazioni, e quindi della disponibilità di grano, anche i fertilizzanti hanno iniziato a scarseggiare. Il Brasile, per esempio, dipende in larga misura dalle esportazioni di fertilizzanti potassici provenienti da Russia e Bielorussia, per una quota pari al 46%. Il blocco o la drastica riduzione di questo canale di approvvigionamento rischiano di compromettere il settore agroalimentare del Paese. 

Al protrarsi del conflitto e all’avanzare delle criticità derivate dal cambiamento climatico, acquistare farinacei non sarà più una garanzia di sopravvivenza per le fasce di popolazione più vulnerabili, che rischiano di perdere un genere alimentare accessibile e fondamentale per la sussistenza. Anche le Nazioni Unite, con una risoluzione presentata all’Assemblea generale, non hanno potuto non ricordare che il protrarsi della guerra avrà un impatto devastante sulla già crescente insicurezza alimentare globale, proprio perché in questo conflitto sono coinvolti due dei maggiori produttori di grano, nonché maggiori esportatori di materie prime alimentari.

Inoltre, la produzione di alimenti basilari non è l’unica destinazione del grano esportato, dato che costituisce uno dei principali elementi del foraggio da allevamento. La scarsità di questo prodotto essenziale si innesta profondamente nella produzione alimentare globale, con il rischio di ridurne l’efficienza su larga scala e per periodi prolungati. L’impennarsi dei prezzi e la scarsità, unite alla devastazione territoriale che affligge e affliggerà l’Ucraina, a sua volta sommata all’inevitabile riduzione della manodopera, influiranno a lungo termine sulla produzione. 

Se la guerra continuerà a lungo, il rischio è scatenare una crisi alimentare di anni, che andrà a colpire i Paesi già fragili e con limitata autonomia produttiva o di importazione. Una crisi che rischia di portare con sé instabilità e conflitti in numerose aree del mondo, aumentando ancora di più il numero dei profughi e sfollati, che già oggi hanno raggiunto il numero massimo nella storia dell’umanità.

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