La Lombardia è la locomotiva d’Italia. Questa frase la sentiamo da anni e, seguendo i parametri economici, non può essere smentita. Il suo Prodotto Interno Lordo rappresenta circa il 22% del Pil italiano ed è in continua crescita, segnando un +5,5% rispetto agli anni pre-pandemia. È addirittura più alto del 34% rispetto alla media europea. Nell’ultimo decennio le principali aziende e imprese italiane si sono spostate da Roma a Milano, trasformandola a tutti gli effetti nella capitale economica del Paese. È una città in costante crescita, moderna ed europea, e secondo le regole del capitalismo dovrebbe quindi scoppiare di salute. Dovrebbe, appunto, ma così non è. Il paradosso del capitalismo è che la ricchezza di una città, di una regione o di uno Stato non equivale a una miglior qualità della vita. E così la ricchissima Milano si è trovata di fronte a una verità incontrovertibile: è diventata invivibile.
Per capire questo fenomeno è necessario spostarsi oltreoceano, considerando che ciò che avviene in Europa è quasi sempre lo specchio di ciò che è già successo negli Stati Uniti cinque o dieci anni prima. Negli USA c’è uno Stato che, in proporzione, ha dei numeri simili alla Lombardia, rappresentando da solo quasi un quinto dell’economia nazionale: la California. Se fosse uno Stato indipendente sarebbe la quinta potenza industriale del mondo, superando persino il Regno Unito. Trainata da Hollywood e dalla Silicon Valley, la California è anche l’epicentro del soft power americano. La sola Los Angeles ha più abitanti dell’intera Toscana e viene vista dall’esterno come il paradiso dell’American dream, il luogo che più di ogni altro influenza e condiziona le nostre vite. Io sto scrivendo questo articolo su un dispositivo creato in California e voi lo avete probabilmente trovato su un social californiano. Anche qui, ci troviamo di fronte allo zenit del capitalismo. E, come per la Lombardia, abbiamo un problema non da poco: la California si sta spopolando perché la gente si è stancata di vivere male.
Se vi è capitato di andare in California, specialmente nelle principali città come Los Angeles o San Francisco, è possibile che abbiate notato una notevole presenza di homeless. E fin qui purtroppo nulla di strano, è una realtà comune in tutto il mondo. Avrete però di certo strabuzzato gli occhi di fronte alle loro caratteristiche: alcuni di loro vivono sì per strada, ma hanno un iPad, vestiti eleganti e vanno persino a lavorare. In California è infatti semplice finire senza una casa: basta un investimento sbagliato, una mensilità d’affitto non pagato o un licenziamento e non ti resta più nulla. Se in Italia stiamo notando in questi anni l’indebolimento del ceto medio, in parecchie zone della California è stato del tutto disintegrato. Oggi, un nucleo famigliare con un reddito di 120mila dollari l’anno – diecimila dollari al mese! – ha diritto ai sussidi statali. Questo perché gran parte dello stipendio percepito finisce nel pagamento dell’affitto, con il costo della vita sempre più alto anche per altri tipi di spese. Il problema degli immobili nasce dal desiderio di soddisfare a pieno il sogno americano. Se in Europa siamo abituati a costruire “in verticale” – e dunque al concetto di condominio, che contiene anche decine di famiglie – in California la gente sogna la villetta a schiera con il proprio giardino, la staccionata, l’angolo per il barbecue. Sì, come nei film. Le pellicole hollywoodiane, però, non ci spiegano che per farlo si è costruito “in orizzontale”, occupando tutto lo spazio possibile e impedendo la costruzione di nuovi edifici. In tal modo mancano le case e gli affitti si impennano. Si arriva a lavorare solo per potersi permettere un tetto sopra la testa e nient’altro. E quest’ultima frase, come avete intuito, vale sempre di più anche per Milano.
Già è dura vivere in una delle città più inquinate del mondo, figuriamoci se per l’affitto bisogna vendere un rene al mercato nero. In questi anni abbiamo assistito a testimonianze di ogni tipo a riguardo, e spendere 900 euro al mese per 30 metri quadri non è di certo un affare sostenibile. Soprattutto per i giovani che arrivano a Milano per studiare o per muovere i primi passi nel mondo del lavoro, che spesso significa essere sottopagati e vivere sotto la mannaia del precariato. Se nelle zone centrali ormai è anche inutile annaspare per cercare una casa a buon mercato, la prima mossa è stata quella di spostarsi nell’hinterland. Anche qui però la logica domanda-offerta ha fatto sì che aumentassero pure i prezzi delle case a San Donato Milanese, Bollate o Sesto San Giovanni. Così molti si sono spostati a Monza, alcuni addirittura a Como. Da un lato si sta riscoprendo la provincia (più per necessità economiche che per chissà quale impulso nostalgico), dall’altro si attende un ulteriore aumento del lavoro da remoto per poter completare definitivamente l’opera: abbandonare la Lombardia.
È quello che in parte sta avvenendo in California, che perde abitanti da tre anni di fila. Impossibilitate a mantenere quel tenore di vita, molte persone hanno infatti abbandonato lo Stato. Secondo i flussi, le migrazioni hanno avuto come principali rotte il Texas e la Florida. Persino la Silicon Valley, un po’ l’Eldorado della California e dello sviluppo tecnologico, ha vissuto queste dinamiche. Durante la pandemia lo smart working è diventato comune per dipendenti di Google, Facebook o di altre aziende del luogo, e negli anni successivi parecchi di loro hanno preferito lasciare la California per risparmiare sull’affitto e sul costo della vita andando a vivere in luoghi meno frenetici, sicuramente anche meno ricchi, ma più a misura d’essere umano. Le trasformazioni nel mondo del lavoro stanno rivoluzionando le abitudini dell’americano medio ed è inevitabile che sia così anche in Italia. Se un tempo ci si trasferiva per andare nelle città con le grandi fabbriche e aziende, oggi si fugge da esse quando si prefigura la possibilità di svolgere lo stesso lavoro da un luogo più confortevole. Quando non è possibile, c’è chi rinuncia all’occupazione pur di cambiare aria – anche perché ci stiamo rendendo conto sempre di più della differenza tra vivere per lavorare e lavorare per vivere.
Ci sono molti altri aspetti in comune tra la California e la Lombardia. Suonerà strano, ma il servizio sanitario è uno di questi. Il paragone può essere solo parziale, in quanto in Italia, rispetto agli Stati Uniti, la sanità pubblica è un caposaldo. La Lombardia è però la regione che più di tutte nel corso degli ultimi decenni l’ha privatizzata, creando disuguaglianze sociali simili a quelle statunitensi: chi può permetterselo si cura prima e meglio. Los Angeles e Milano hanno anche una comune filosofia di vita, spesso bersaglio di comici americani e italiani. Sono le città da cui partono le tendenze, anche quelle che non attecchiscono nel resto del Paese. Aprire locali in cui servono solo avocado può essere un trend milanese o losangelino, mentre diventa motivo di scherno in Calabria o in Ohio. E così l’immagine del “milanese imbruttito” intento a fatturare e a fare aperitivo somiglia a quella dell’abitante di Los Angeles che riscopre pratiche new age mentre investe in borsa, e gli stand up comedians gongolano di fronte all’ostentazione, a una presunta superiorità morale degli abitanti delle due città. Milano vuole americanizzarsi quando nelle chat di lavoro appaiono termini come addami e sendami, mentre i losangelini quando vogliono darsi alla pazza gioia e fare una gita fuori porta vanno a Las Vegas a gustarsi il loro concetto di italianità: una ricostruzione pacchiana di Venezia dentro un casinò.
Nella canzone “Californication”, del 1999, i Red Hot Chili Peppers parlavano già della fine della civiltà occidentale tra ragazzine che sognano di diventare star del cinema, sogni venduti, chirurghi plastici che rompono l’incantesimo dell’età, controllo della popolazione, lo Spazio ricostruito in uno studio hollywoodiano. La “californication” ha invaso tutta l’America così come la milanesizzazione sta prendendo piede in tutta l’Italia. È l’era di plastica figlia della Milano da bere, la frivolezza dell’apparenza che ha la meglio sul Paese reale, quello che cerca di fuggire da realtà insostenibili. Lo studente fuorisede abbandonerà Milano per tornare in Calabria, lo stagista sottopagato per rientrare in Umbria, e persino la piccola borghesia preferirà la vita di campagna alla metropoli del produci-consuma-crepa. La Lombardia potrà pretendere di preservare il suo sogno, quello del Pil sopra la salute mentale delle persone, e nessuno le vieta di farlo, a costo di trovare un manager che viva dentro una tenda in stazione. Ne pagherà le conseguenze come è successo ai sogni capitalistici di Los Angeles o di San Francisco. Liberi di sognare; “and if you want these kind of dreams it’s Californication”.