Alcuni anni fa decisi di andare in analisi. Dopo un primo colloquio, l’analista mi propose un percorso di tre o quattro sedute a settimana, alla maniera di Freud, che riteneva indispensabile, per una psicoanalisi efficace, non scendere mai al di sotto delle tre sedute settimanali. Feci un rapido calcolo: ai tempi ero ancora una studentessa e, sebbene mi aiutassi con qualche lavoretto, sostenere una spesa di oltre 700 euro al mese solo per la terapia era impensabile. “Ripiegai” su un’analisi di una seduta a settimana, che costò meno ma non poco, e che mi lasciò col dubbio di essermi dovuta accontentare per contenere le spese, indirizzandomi verso un percorso economicamente più sostenibile. Oggi, che sono entrata nel mondo del lavoro, mi chiedo comunque quale professionista possa permettersi di investire una somma dai 200 ai 700 euro al mese per una psicoterapia o psicanalisi, magari di qualche anno, essendo già oberato dalle spese di affitto, utenze e per tutti quei beni di prima necessità per cui, con l’inflazione alle stelle, oggi serve quasi l’intero stipendio e oltre.
Sappiamo che in Italia, sul tema della salute mentale, il Sistema Sanitario italiano è spesso assente o comunque carente, e che le spese di una psicoterapia continuano a essere quasi sempre a carico della persona. Anche il bonus psicologico 2022 – e recentemente rinnovato per il 2023 – si è rivelato fallimentare, con oltre trecentomila domande pervenute e solo quarantamila persone che hanno potuto beneficiarne. La somma stimata si è rivelata inadeguata e questo ha solo confermato quanto già sappiamo: l’SSN attribuisce alla salute psicologica un ruolo del tutto marginale. Anche il numero dei consultori familiari, che in queste condizioni diventano l’unico luogo di ascolto da parte di psicologi e professionisti del settore, è di circa 1800, uno ogni 32mila abitanti, ben al di sotto della soglia stimata dalla legge 34/1996 che ne vorrebbe uno ogni 20mila persone. Persino la rete di supporto psicologico telefonico risulta inadeguata in buona parte del territorio italiano, con telefoni che il più delle volte squillano a oltranza e nessuno che risponda.
La rete dei servizi sanitari italiani è un po’ più solida – seppur con molte falle – quando parliamo di disturbi che prevedono cure psichiatriche e terapie farmacologiche, e questo rivela quanto siamo disabituati a considerare un bene di prima necessità quella salute mentale che può arrivare grazie alla conoscenza e alla consapevolezza di sé ottenuta tramite la relazione con un terapeuta e all’esercizio della parola e dell’ascolto, come passaggio fondamentale di comprensione, a cui affiancare quando ritenuto necessario anche la somministrazione di psicofarmaci. La cura che arriva dalla relazione terapeutica può diventare fondamentale per la crescita effettiva dell’individuo, il cui disagio può essere più o meno silente, ma comunque penalizzante, anche senza arrivare alla diagnosi di patologie psichiatriche che richiedono trattamento farmacologico e, in alcuni casi gravi, ricoveri presso strutture specializzate. Ma un disagio che non per questo può essere minimizzato o ignorato dall’SSN – soprattutto in un periodo di emergenza collettiva per il benessere psichico come quello che stiamo vivendo – e che, se non trattato adeguatamente, potrebbe portare a conseguenze anche gravi.
In Italia, da gennaio ad agosto 2022, sono stati registrati circa 350 suicidi e 390 tentativi suicidari; secondo un recente report dell’Osservatorio suicidi della Fondazione Brf, negli ultimi anni c’è stato un incremento del 75% dei suicidi giovanili, con un tentato suicidio al giorno nella fascia d’età adolescenziale – acuiti dalle conseguenze della pandemia. Di qualche settimana fa è la notizia dell’ennesima studentessa suicidatasi perché non riusciva a superare l’ultimo esame prima della laurea, mentre è di pochi giorni fa la tragedia di una diciottenne brianzola morta per un arresto cardiocircolatorio causato da un mix di alcol e psicofarmaci. Due casi tra i molti che si potrebbero citare e che, pur completamente diversi nelle dinamiche, rivelano un malessere giovanile che sta raggiungendo dimensioni così grandi da non poter incontrare più indifferenza e trascuratezza. I disagi e i disordini mentali che, solo per fare alcuni esempi, portano a conseguenze come attacchi di panico, crisi depressive, disturbi alimentari e dipendenze varie, o al ripiegamento nel proprio mondo e all’isolamento come nel caso degli hikikomori, denunciano un’emergenza nazionale cui bisogna far fronte urgentemente, irrobustendo un sistema di supporto carente sotto troppi punti di vista.
Per fortuna negli ultimi anni la narrazione sulla salute mentale è cambiata. Se prima uno stereotipo irricevibile voleva che psicologi e psicoterapeuti fossero considerati i “medici dei pazzi”, oggi in tanti hanno preso confidenza con il concetto di cura della psiche, che passa per la consapevolezza degli agiti dell’inconscio, per un’indagine della propria emotività, per la comprensione di meccanismi interiori attraverso, lo dicevamo, la relazione terapeutica. Molti vip sul web favoriscono questa narrazione positiva, raccontando la propria esperienza con la psicoterapia e sottolineandone i benefici, e questo permette a tutti di compiere un enorme passo avanti rispetto alla corretta percezione della cura della mente. Il rischio in cui si incorre, però, è che la psicoterapia inizi a essere percepita da qualcuno come il capriccio dei benestanti, un vezzo o un lusso che può permettersi solo chi ha delle entrate mensili ben al di sopra della media. A questo proposito, l’attrice Zendaya qualche tempo fa ha rivelato di essere seguita da uno psicoterapeuta e ha consigliato di fare lo stesso a chiunque abbia la disponibilità economica. Ed è qui che si cela l’errore: il supporto psicologico è un diritto civile che oggi dovrebbe essere garantito a chiunque.
Va detto che l’opzione psicanalisi con tre, o addirittura quattro sedute a settimana non è l’unica via possibile, e che molti terapeuti danno la possibilità di accedere a un percorso di cura meno dispendioso. Ma anche laddove si scelga di ripiegare su opzioni più economiche, queste sono comunque al di sopra del tenore di vita di un lavoratore medio, soprattutto se giovane, per non parlare di uno stagista, un tirocinante o uno studente universitario. Uno psicoterapeuta con molta esperienza può arrivare a chiedere anche 100/120 euro a seduta, ed è – giustamente – difficile trovare un professionista che scenda sotto i 50 all’ora. Talvolta, come è capitato a me, è il terapeuta a chiedere al paziente di usufruire, se può, del sostegno economico della famiglia, ma anche questo punto, per quanto esplorato e valutato in analisi, tralasciando il caso degli adolescenti, che è naturale si rivolgano ai propri genitori per le loro spese, per una persona di venticinque o trent’anni può risultare molto frustrante.
A quell’analista che mi propose di spendere quasi 800 euro al mese, dissi che un Paese giusto e lungimirante dovrebbe garantire, soprattutto ai più giovani, l’assistenza per la cura della psiche, non solo nell’interesse della persona, ma della società in cui andrà a inserirsi. Lui mi rispose che alcuni percorsi psicanalitici prevedono che si spendano anche cifre molto alte, perché in questo modo si matura più consapevolezza dell’investimento economico che si sta facendo su di sé, oltre che emotivo e – soprattutto quando non viene spontaneo – si è più portati a dare un effettivo “valore” a questo tempo. Non lo contraddissi, ma ero perplessa: uno studente o un lavoratore alle prime armi, ma in alcuni casi anche un professionista con anni di esperienza, da dove dovrebbe tirare fuori 800 euro al mese, se tra affitti e spese varie a malapena riesce a metterne da parte 200?
In Italia non esiste la figura dello psicologo di base, o meglio non esiste ancora una legge che disciplini il ruolo e le funzioni di questa figura. A partire però dal disegno di legge d’iniziativa del Senato, risalente al 2020 e relativo alla possibile istituzione della figura dello psicologo per le cure primarie, alcune regioni si sono mosse autonomamente. Negli ultimi tempi Veneto, Umbria, Campania, Lombardia e Lazio hanno avviato alcune sperimentazioni per la figura dello psicologo di base – che coadiuverebbe il medico di base nell’assistenza dei pazienti per, in alcuni casi, indirizzarli al percorso terapeutico più indicato – ma tutte hanno incontrato e stanno incontrando numerosi ostacoli. Ciò aggrava ulteriormente un’emergenza che abbandona a sé stessi tutti quei cittadini che non appartengono alla fascia di reddito alta e che non possono permettersi di avviare una terapia in libera professione.
L’inefficienza della rete di sostegno pubblica è causata, in parte, dal modo sbagliato di concepire la salute mentale. Spesso ne sottovalutiamo la gravità perché, a differenza di un disturbo fisico, il disagio psichico è di frequente non facilmente tangibile; e quando diventa molto evidente, perché chi ne è affetto comincia a manifestarlo in maniera inequivocabile, spesso ha già sconfinato in un vero e proprio disturbo psichiatrico. Inoltre, siamo così influenzati da alcuni cliché che ancora cadiamo nell’errore di reagire, di fronte a chi ci manifesta il proprio malessere, con quelle odiose frasi della serie “Pensa a chi sta peggio di te”, “Devi essere felice, guarda che bel sole c’è oggi”, o peggio “E allora chi sta male sul serio? Tu hai la salute, sei fortunato!”, presupponendo quindi che quel malessere non equivalga a un reale problema di salute, ma sia magari solo la smania di una persona viziata e ingrata per la propria fortuna. Ogni volta che diciamo una frase del genere a qualcuno che soffre, anche se lo facciamo animati dai migliori propositi e nel tentativo di aiutarlo, dovremmo pensare che senza volerlo stiamo acuendo il suo malessere. Perché non solo quelle parole non servono a farlo stare meglio, ma potrebbero instillargli anche il senso di colpa e l’idea di essere solo “una persona che fa i capricci”, quando il suo problema è serio e la risoluzione non dipende dalla sua buona volontà.
Il filosofo romano Apuleio diceva che tutti gli esseri umani sanno che l’organo della vita è per eccellenza l’anima ma, tuttavia, non la coltivano. Secoli dopo poco sembra essere cambiato, perché ancora fatichiamo a comprendere quanto il benessere della mente – e dunque ciò che un tempo si chiamava anima – derivi non solo dalla propria volontà, ma anche da una serie di fattori per i quali spesso può essere necessario il supporto di un professionista. Bisogna capire con estrema urgenza che la salute mentale è una priorità assoluta e non un optional a cui dover rinunciare per contingenze come il caro prezzi e l’inflazione. Le tragiche conseguenze della scarsa rete di supporto psicologico in Italia sono purtroppo tangibili, come leggiamo tutti i giorni sulla cronaca nazionale. Risolvere l’emergenza in atto è da considerarsi una priorità e non un dettaglio marginale di cui occuparsi, forse, se rimangono risorse e tempo, e dopo che si è pensato a tutto il resto, ed è per questo che lo Stato deve attuare una serie di misure che rendano la rete di supporto e terapia psicologica accessibile a tutti. Ora.