La CEI aveva mostrato le sue perplessità sul disegno di legge Zan, che prevede l’estensione della Legge Reale-Mancino del 1993, già applicata all’istigazione all’odio per motivi etnici o religiosi, ai reati fondati sul sesso, l’identità di genere, l’orientamento sessuale e l’abilismo, già nel giugno scorso. E anche il 26 aprile, a poche ore dal voto che avrebbe calendarizzato il disegno di legge, ci ha tenuto a ribadire la sua posizione, nella speranza di far leva sul voto di alcuni senatori e senatrici dell’area progressista, ancora non del tutto convinti.
Nella Nota della Conferenza Episcopale Italiana si legge infatti che “sono affiorati diversi dubbi sul testo del ddl Zan in materia di violenza e discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere, condivisi da persone di diversi orizzonti politici e culturali. È necessario che un testo così importante cresca con il dialogo e non sia uno strumento che fornisca ambiguità interpretative”. E si conclude dicendo: “Auspichiamo quindi che si possa sviluppare nelle sedi proprie un dialogo aperto e non pregiudiziale, in cui anche la voce dei cattolici italiani possa contribuire alla edificazione di una società più giusta e solidale”.
Nel corso del tempo le ingerenze della Conferenza Episcopale Italiana nella politica del nostro Paese sono state molteplici e spesso hanno fatto ottenere ai vescovi ciò che auspicavano, per questo è interessante ripercorrere le posizioni della CEI nell’ultimo secolo e capire come “la voce dei cattolici italiani” di alto lignaggio clericale abbia spesso rappresentato le posizioni più retrograde e reazionarie, scontrandosi apertamente non solo con la società civile, ma anche con la voce del popolo cattolico, che in alcuni casi aveva anche opinioni molto diverse.
La relazione fra la Chiesa cattolica e il mondo femminile è ancora una questione difficile da sciogliere, le timide aperture di Papa Francesco sulla questione si sono tradotte, almeno per il momento, in un nulla di fatto. Nel secolo scorso, però, la posizione della Chiesa sul ruolo della donna era molto chiara. Alle prime richieste di suffragio femminile, infatti, nel 1905 Pio X rispose affermando: “Non elettrici, non deputatesse, perché è ancora troppa la confusione che fanno gli uomini in Parlamento. La donna non deve votare ma votarsi ad un’alta idealità di bene umano […]. Dio ci guardi dal femminismo politico”. Seguendo l’esempio del papa, questa era la posizione di molti cattolici, eccezion fatta per Don Luigi Sturzo, che già nel 1919 inseriva nel programma del suo partito l’estensione del diritto di voto alle donne, ponendosi in netto contrasto con la tradizione clericale.
La Chiesa, poi, nel 1945 cambiò idea: quando ormai il progresso democratico era inarrestabile, il voto alle donne praticamente una certezza e la possibilità che l’Italia diventasse una Repubblica, con un partito comunista (e ateo) molto forte, era un concreto pericolo. In quel momento, l’ipotesi che le donne degli anni Quaranta, meno preparate alla politica e più influenzabili soprattutto dai moniti dei preti, potessero votare acquistò una prospettiva diversa, come diverse furono le parole di un altro papa, Pio XII: “Ogni donna, dunque, senza eccezione, ha, intendete bene, il dovere, lo stretto dovere di coscienza, di non rimanere assente, di entrare in azione […] per contenere le correnti che minacciano il focolare, per combattere le dottrine che ne scalzano le fondamenta, per preparare, organizzare e compiere la sua restaurazione”.
Questa strategia funzionò: per stessa ammissione dei vertici comunisti, il voto delle donne divenne un argine invalicabile che permise alla Democrazia Cristiana di impossessarsi del potere. Ma è con le leggi degli anni Settanta che la Chiesa cattolica italiana cercò di usare tutto il suo potere e la sua influenza per mettere un freno ai diritti civili. Il primo dicembre del 1970 si assistette a un vero e proprio terremoto sociale: il partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana, rimase inerme di fronte a un voto che rendeva legale il divorzio. Mancando l’unanimità nell’approvazione della legge e, anzi, essendo contrario il partito di maggioranza relativa, negli anni seguenti si organizzò un movimento politico che si opponeva al divorzio, sostenuto dai partiti contrari all’introduzione della legge e dalla CEI. La posizione della Conferenza Episcopale Italiana fu così netta da spaccare il mondo cattolico: da una parte i Lavoratori cattolici e i Cattolici democratici favorevoli al divorzio, dall’altra la CEI e i movimenti cattolici dei Comitati Civici e di Comunione e Liberazione.
Anche in quel caso il dibattito pubblico venne invaso da politici che scommettevano sulla fine della società come la si conosceva e sulla dissacrazione della famiglia con esiti del tutto imprevisti. Sono rimaste famose le parole di Amintore Fanfani, segretario della Democrazia Cristiana, nel tentativo di aizzare le folle contadine nel suo tour di campagna elettorale contro la legge: “Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!”. I vescovi italiani avevano covato in un primo tempo, con l’appoggio di Giulio Andreotti, il progetto di un divorzio ammissibile per i matrimoni civili e vietato per i matrimoni concordatari, ma c’era il rischio che questa normativa facesse aumentare enormemente il numero dei matrimoni civili. Davanti alla possibilità di perdere altro potere e credibilità, allora, ritirarono la proposta.
La battaglia sull’aborto iniziata nel 1978, invece, continua tutt’ora. La sacralità della vita fin dal concepimento è un concetto ribadito più volte anche dal pontefice, ma è nel campo della politica italiana che è cambiato qualcosa. Negli ultimi mesi abbiamo visto come le amministrazioni regionali di destra stiano spesso rendendo praticamente impossibile alle donne l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza: come nel caso della leghista Donatella Tesei, che nel giugno scorso ha bloccato in Umbria l’aborto farmacologico in day hospital, subito seguita da Piemonte, Abruzzo e Marche.
I rapporti dei vescovi con i politici di destra contrari ai diritti delle donne sembrano ottimi. Tesei dopo la sua elezione ha ricevuto “vivissimi rallegramenti ed auguri” da parte della Conferenza episcopale umbra. E ovviamente la simpatia crea ambigue reciprocità, come nel caso dell’increscioso silenzio del governatore marchigiano, Francesco Acquaroli, dopo le parole di Andrea Leonesi, vicario del Vescovo di Macerata, che ha definito: “La pedofilia grave, ma l’aborto il più grave degli scempi”.
Il contrasto alla legge sulle unioni civili è di più recente memoria. La CEI nel 2016 ha mancato di dare l’esplicito appoggio ai movimenti ultra cattolici come il Family Day che, da sempre, si stagliano contro i diritti delle coppie omosessuali e contro la stessa esistenza delle persone LGBTQ+. Il mancato appoggio, però, non rappresentava una diversa posizione, anzi critiche e intromissioni sono emerse da parte della CEI per tutta la durata della discussione della legge. La discrezione è esito di una tattica molto più acuta: in Italia si è iniziato a parlare seriamente di unioni civili dopo che in Francia è stato approvato il matrimonio egualitario. Il confronto faceva apparire la politica italiana seriamente arretrata in materia di diritti e l’allora governo Renzi tentò di rimediare. Una legge sulle unioni civili, istituto ben diverso dal matrimonio, era un compromesso accettabile che allontanava, almeno in Italia, lo “scempio” appena accaduto in Francia di una sovrapposizione perfetta fra matrimonio omosessuale ed eterosessuale. In quei mesi, emersero voci di corridoio che vedevano Papa Francesco segreto sostenitore della legge Cirinnà, proprio in quest’ottica di allontanamento in Italia della possibilità del matrimonio egualitario. I fatti dimostrano che il compromesso, però, non era sufficiente e a pochi giorni dalla votazione importanti esponenti del Movimento 5 Stelle ebbero un’udienza in Vaticano e di lì a poco i pentastellati addussero la scusa del canguro per non sostenere più la legge. Si fu così costretti a moderare con l’area cattolica di Alfano e a perdere la parte di legge che tutelava i figli delle famiglie arcobaleno.
Oggi la CEI minaccia guerriglia contro una legge il cui solo scopo è quello di proteggere i soggetti più discriminati nel nostro Paese, includendo, ed è doveroso ricordarlo, non solo le persone LGBTQ+ ma anche le donne e le persone disabili. Leggi simili negli altri Paesi sono state varate decenni fa, la Norvegia lo fece nel 1981. L’Italia risulta al momento l’unico Paese dell’Europa occidentale a non avere alcuna forma di tutela. Ancora una volta la CEI dimostra di non essere al passo con i tempi non solo della società che, secondo i più recenti sondaggi, è ampiamente favorevole al ddl Zan, ma, con un imbarazzante contrasto interno, non essendo nemmeno al passo con i tempi delle altre Chiese cattoliche. La Chiesa cattolica tedesca ha infatti promesso di muoversi nella benedizione delle coppie omosessuali autonomamente, visto l’inutile rigorismo del Vaticano.
Quello che sta avvenendo all’interno del mondo cattolico è l’ennesima frattura che vede da una parte la società civile e dall’altra il mondo clericale che trova un valido alleato nella destra contraria ai diritti. L’imbarazzo politico di questa scelta è evidente quando si parla di migranti: la posizione cattolica di protezione della vita sempre e comunque, a costo d’inimicarsi l’elettorato leghista, a volte è vacillato e non sono pochi gli esponenti episcopali ad aver condiviso la politica di Salvini di chiusura dei porti ai migranti extracomunitari. Cambiamenti all’interno della CEI e della Curia romana potrebbero anche portare alla linea voluta da Ruini, che mira ad aprire il dialogo con la Lega non solo sul tema dei diritti LGBTQ+ e dell’aborto, ma anche su altri fronti. La presa di posizione dei vescovi legittima le dichiarazioni di quegli esponenti politici che, come Pillon, usano il cattolicesimo per avvalorare le proprie dichiarazioni, allontanando sempre di più, verrebbe da dire per fortuna, i giovani dalla Chiesa. La nostra generazione, infatti, secondo un recente sondaggio è la più atea di sempre. Se il Coronavirus non è riuscito a svuotare le chiese, forse ci stanno riuscendo gli stessi vescovi.