Pochi giorni fa, le forze dell’ordine avrebbero dovuto effettuare un blitz nella sede centrale dell’organizzazione neofascista CasaPound, in via Napoleone III, a Roma. La notizia è stata prontamente smentita dal Presidente dell’organizzazione, Gianluca Iannone, secondo il quale non era previsto nessuno sgombero, ma solo un controllo, rimandato per tutelare i residenti. Il segretario nazionale, Simone Di Stefano, ha dichiarato invece che sarebbe sì dovuta esserci un’ispezione, ma che questa sarebbe saltata per via del clamore mediatico, che avrebbe rotto i patti di discrezione presi non si sa bene con chi. Secondo le ricostruzioni della stampa, lo sgombero sarebbe invece stato bloccato dalla minaccia, lanciata alla Guardia di Finanza da alcuni militanti dell’organizzazione di estrema destra, di provocare un “bagno di sangue” in caso di irruzione dei militari. Comunque stiano le cose, le forze dell’ordine hanno fatto retromarcia per “evitare disordini”, e la procura ha chiesto accertamenti.
CasaPound non è nuova a violenze, verbali e fisiche. Pestaggi a sangue, piani per dare alle fiamme negozi sgraditi, aggressioni ad attiviste femministe, gli assalti ai cortei pacifici di Bari, le “passeggiate per la sicurezza” corredate da calci e sputi a chi la pensa diversamente. Per non parlare del round di boxe fuoriprogramma a Ostia, l’anno scorso, quando due giornalisti di Nemo sono stati aggrediti da Roberto Spada, fratello di Carmine, condannato in primo grado a 10 anni per estorsione aggravata dal metodo mafioso e ritenuto dagli inquirenti uno dei vertici dell’omonimo clan. Roberto Spada è stato poi a sua volta condannato in primo grado a 6 anni di reclusione per lesioni e violenza privata aggravate dal metodo mafioso, proprio per l’aggressione ai giornalisti. L’amicizia tra Spada e due esponenti di spicco di CasaPound, Luca Marsella e Carlotta Chiaraluce, è stata acclarata da un’inchiesta de L’Espresso, che ha individuato vari scambi intercorsi tra i tre sulla pagina Facebook dello stesso Spada.
Ma se fosse vero che lo Stato, rappresentato dalle forze armate – chiamate in causa non per effettuare uno sgombero istantaneo ma per stimare eventuali danni erariali di un edificio abusivamente occupato – anziché trovare una soluzione, preferisce eclissarsi con la coda tra le gambe, allora avremmo un problema, un’impunità latente che deve preoccupare.
Evidentemente, questi sedicenti “Fascisti del terzo millennio” hanno qualche carta in più da giocarsi, una protezione diversa rispetto agli altri comuni mortali che, anche se hanno diritto a una casa, in seguito al piano sgomberi del ministro dell’Interno Matteo Salvini, finiranno per strada, come ha fatto notare il segretario nazionale dell’Unione inquilini. Una protezione la cui ragion d’essere non è del tutto chiara, visto che in Parlamento non sono determinanti – anche se pericolosi. Eppure, secondo un’inchiesta de L’Espresso, riescono persino ad aggirare le leggi e ottenere il 5 per mille (che non è previsto per i partiti) nascondendosi dietro una cooperativa, L’isola delle tartarughe. Nel 2015, con questo escamotage, hanno raccolto più di 40mila euro.
È questa stessa inspiegabile protezione che permette a CasaPound di vivere a scrocco in un elegante immobile nel centro della capitale dal valore di affitto di 300mila euro all’anno (4 milioni in 14 anni di occupazione), dove non si riesce nemmeno a tracciare chi paga le bollette. Nonostante questo, lo sgombero non è mai stato prioritario, e si è lasciato che l’organizzazione neofascista predicasse per anni il culto della legalità, facendo propaganda contro gli immigrati, ladri e delinquenti, mentre violava regolarmente la legge.
E intanto CasaPound cresceva. Circa 272mila like su Facebook, più di 100 sezioni attive in tutte le regioni italiane, oltre 230mila simpatizzanti: questa è oggi la sua potenza, anche grazie a un riscontro mediatico di gran lunga superiore al consenso effettivo accordatogli dagli elettori. Nonostante infatti lamentino la scarsa attenzione della stampa, ne ricevono di gran lunga di più di altre organizzazioni (in primis Potere al Popolo) che contano su un seguito maggiore ma più silenzioso. Un’evidente dimostrazione di come, nell’Italia di oggi, fare la voce grossa e il pugno di ferro paghi, e pure bene.
CasaPound è una fenice sorta insieme a Forza Nuova dalle ceneri del movimento neofascista Terza Posizione, pilotato da personalità del calibro di Gabriele Adinolfi e Roberto Fiore. Cresciuto a suon di “Occupazioni Non Conformi”, il gruppo è arrivato, nel dicembre del 2003, a insediarsi nel cuore pulsante di Roma, con quella che loro chiamano “occupazione a scopo abitativo”. Dopo un’esperienza all’interno di Fiamma Tricolore, nel 2008, diventa un’associazione indipendente di promozione sociale, l’attuale CasaPound Italia.
Come ormai è noto, il gruppo prende il nome da Ezra Pound. Quello che forse è meno risaputo è che la stessa figlia di Pound lotta da anni per scollegare il nome del poeta americano da quello dell’organizzazione, anche se un tribunale italiano ne ha recentemente legittimato l’uso. Forse, la famiglia Pound non è particolarmente fiera di vedere il proprio nome associato alle semplificazioni populiste contro le banche, l’Europa, i neri ed Equitalia.
Senza che nessuno se ne accorgesse, a settembre, durante la loro festa nazionale a Grosseto, hanno lanciato un partito davanti a spettatori come l’autodefinitosi filosofo sovranista Diego Fusaro e altri illustri ospiti. Il nome è già un programma: un rassicurante Direzione rivoluzione – che effettivamente avrebbe potuto essere riciclato anche per la Leopolda. E se Salvini, in queste ultime elezioni, con i suoi modi da fascismo più subdolo, digeribile e pret-à-porter, ha preso i loro voti, facendo sì che CasaPound restasse al di sotto dell’1%, ci sarebbe da scommettere su un prossimo rafforzamento visti i risultati ottenuti in Alto Adige e lo scontento serpeggiante tra l’ultradestra leghista. Tanto più che i finanziamenti, in modi più o meno limpidi, continuano ad arrivare all’estrema destra italiana da una galassia imprenditoriale occulta che, come rivelato da L’Espresso, si estende dall’Italia alla Francia e al Regno Unito, passando per Cipro e arrivando fino alla Russia di Vladimir Putin.
Questa è CasaPound oggi. Un insieme di persone più o meno equilibrate e socialmente accettabili, nascoste dietro un leader che ha messo il chiodo sotto la cravatta a favor di telecamera. Un gruppo che, usando le maniere forti, impedisce che la propria sede, ottenuta con un’occupazione abusiva, venga toccata e restituita a chi ne ha diritto. Il problema ancora più grave però, è un altro. Perché questa cedevolezza mansueta, questa delicatezza volta a preservare fragili equilibri ed evitare che situazioni scomode degenerino sembra esistere solamente verso una certa direzione. Altrove, certi scrupoli o problemi non ci sono stati.
Nella stessa Italia, lo scorso agosto, l’ex sede della Federconsorzi di Roma, abitata da centinaia di profughi, è stata sgomberata a suon di cani lupo e lacrimogeni. A Sesto San Giovanni, intere famiglie, molte delle quali italiane o stranieri regolari, sono state gettate per strada in seguito allo sgombero di Aldo dice 26×1, un collettivo che aveva dato vita a un’esperienza di residenza sociale. O ancora, il rifugio Chez Jesus, in una piccola chiesa di Claviere, vicino al confine francese, dove venivano accolti, sfamati e vestiti i migranti. Ora non esiste più grazie alla denuncia di chi la carità in terra dovrebbe rappresentarla: il parroco del paese. Quella stessa Italia che ha lasciato decine di persone a incontrare, vedere o sfiorare la morte al largo delle nostre acque perché il ministro dell’Interno, a capo della polizia, non voleva concedere l’accoglienza. Ma niente paura, agiva per tutelare l’interesse del Paese, e quindi è stato parzialmente assolto. Speriamo che la stessa sorte attenda anche il sindaco di un Paese che ha creato un modello di accoglienza riconosciuto come vincente a livello globale, ma che non può più esercitare la carica né entrare nella propria casa.
Mentre, da oltre 14 anni, CasaPound occupa la sua sede, il Baobab di Roma, un presidio di accoglienza ai migranti, viene circoscritto da muri in cemento e reti alte 3 metri, in vero stile apartheid. Così come la Casa Internazionale delle Donne, collettivo storico che lotta per l’emancipazione femminile, è costretta a una continua lotta contro il suo sfratto, aggrappandosi allo slogan “la Casa siamo tutte” e sperando nel fatto che Virginia Raggi, prima sindaca dell’Urbe, non voglia infangare il suo curriculum aggiungendoci un gesto del genere.
Una circolare del Viminale del primo settembre 2018 ha promulgato una stretta verso le occupazioni abusive, invocando censimenti e sgomberi tempestivi. Al tempo stesso però, un gruppo di facinorosi ha la meglio sulle forze dell’ordine senza muovere un dito. Lasciando un’organizzazione come CasaPound libera di agire indisturbata, mettiamo nelle sue mani un potere che non può avere, le diamo una rilevanza che sulla carta e nei numeri non ha. Con il silenzio e l’omertà di azione, si legittimano pratiche sbagliate e legate a un mondo che la nostra Costituzone condanna senza appello, quello fascista.
Non resta che sperare e vedere se e come la situazione si evolverà, se la legge sarà uguale per tutti oppure se, per questioni politiche di orwelliana memoria, “Alcuni sono più uguali degli altri.”