Non credo di essere l’unica fortunata, ma ultimamente mi sono resa conto di essere circondata da molte persone che vogliono avere sempre ragione. Anzi, mi sono accorta che hanno iniziato a manifestare questo comportamento anche persone che non lo avevano mai avuto. Forse è perché viviamo in un’epoca dalle coordinate esistenziali sempre più confuse che qualcosa, dentro di noi, ci spinge a dover avere l’ultima, affermarci durante qualsiasi scambio, confronto, o addirittura semplice chiacchierata informale fra amici, che in teoria dovrebbe rappresentare uno spazio rilassato e sicuro. No, bisogna far entrare l’ansia di primeggiare anche lì. E non è semplice “celolunghismo”, comunque fastidioso, ma qualcosa di ancor più radicato e sistematico. A volte mi sembra di parlare con dei muri di gomma, che magari dopo un’ora di confronto tornano al punto di partenza, arrivando a piegare il significato stesso di frasi e parole pur di sentirsi di nuovo nello spazio sicuro “della loro ragione”, appiattendo qualsiasi altra voce, punto di vista, esperienza, diversità.
Per dar vita a qualsiasi tipo di scambio e comunicazione – vitale per la nostra specie – è fondamentale infatti coltivare la capacità di mettersi in discussione e dubitare delle proprie opinioni e certezze – attitudine peraltro alla base di uno dei nostri strumenti più importanti, la scienza. Anzi, più sei sicuro di qualcosa più dovresti aggredire dall’interno questa sicurezza, metterne alla prova la solidità, farla vacillare, magari per sostituirla con una verità più solida. Eppure, siamo sempre meno disposti a farlo, proprio per cercare di non andare in pezzi, mentre tutto intorno a noi già sembra disgregarsi e crollare. Al pari dell’evitamento, infatti, anche questo è un meccanismo di difesa e di sopravvivenza difficile da abbandonare.
Dio è morto da più di un secolo, nonostante le apparenze e gli attentati in suo nome; gli eroi sono ormai ampiamente tramontati, nonostante gli sforzi della Marvel; i nostri genitori si sono dimostrati fallibili, sicuramente per quanto riguarda la relazione con il pianeta e la gestione della politica; abbiamo sempre meno amici; i maestri sono stati sostituiti da falsi guru improvvisati e, in questo deserto, influencer frettolosi e con competenze superficiali e attivisti del marketing finiscono per sembrare le uniche vaghe figure di riferimento che ci restano. Così, il desiderio di avere ragione – imponendo la propria visione del mondo – a volte diventa una vera e propria pulsione irrefrenabile, tanto che quando la propria parola viene messa in dubbio, o fatta vacillare, ci si infastidisce immediatamente fino ad arrivare – se l’interlocutore si ostina e non lasciar perdere ritirandosi dal match dialettico improvvisato – a vere e proprie crisi di rabbia.
Finiamo per confondere la nostra identità con le nostre idee e quindi quando veniamo smentiti, o si apre la possibilità di dover cambiare posizione, sentiamo messo in pericolo il nostro senso del sé, perché siamo insicuri, ma vogliamo dimostrare invece di non esserlo. Così diventiamo aggressivi, come se ci sentissimo perennemente minacciati e in pericolo di vita, anche quando evidentemente non lo siamo. Questo modo sgangherato e violento di far valere a tutti i costi le proprie idee, infatti, corrisponde all’affermazione della propria autorità, e quindi a un meccanismo di potere, dominio e sopraffazione sull’altro tutt’altro che positivo e costruttivo, e men che meno piacevole. Quindi, se in un primo momento questo comportamento farà sì che alcune persone ci ammirino, o ci considerino forti, magari perché ancora più insicure di noi, per altre appariremo tipo kriptonite, o uranio impoverito, e comunque a lungo andare in molti si allontaneranno.
In certi casi questo desiderio degenera, diventando il nucleo fondante intorno al quale si struttura tutta la nostra personalità, sintomo di un quadro psicologico che ci tiene in trappola e magari ci fa perdere legami importanti, perché chi vuole avere sempre ragione è davvero fastidioso e noioso. In primo luogo perché non dimostra la disponibilità a farsi cambiare dalle relazioni, di qualsiasi genere esse siano, e quindi resta perennemente uguale a se stesso; e in secondo luogo perché è incapace di ascoltare le ragioni degli altri e quindi interrompe qualsiasi tipo di scambio autentico e profondo, sferzando chiunque non si dimostri allineato ai suoi pensieri, come una sorta di piccolo dittatore. È come se la vita di queste persone dipendesse dall’avere ragione, per questo non possono accettare di non averla, anche se questo comporta aggredire gli altri, svalutarli, umiliarli, farli sentire insignificanti. In questi casi il voler aver ragione a tutti costi, al pari di un bambino che non accetta la sconfitta – anche se all’inizio può essere scambiata per sicurezza – diventa un vero e proprio ostacolo sociale, intaccando profondamente la vita di chi non riesce a controllare questo tipo di difesa.
Questo accade perché ad essere insicuro e sempre meno accogliente e scontato è il nostro ambiente, e non solo dal punto di vista ecologico, ma anche sociale, economico, sanitario, emotivo. Tutto ci minaccia, tutto è incerto. Ma a ben vedere, lo è sempre stato. L’essere umano, al pari degli animali ha sempre vissuto in un ambiente pericoloso, a volte inospitale, ha sempre dovuto in qualche modo lottare per la sua sopravvivenza. Solo che la rivoluzione industriale e lo sviluppo della medicina e della tecnologia, il boom economico e il capitalismo ci hanno fatto credere non fosse così, spingendoci sempre più lontani da questa condizione di natura, che invece in alcuni luoghi resta ben più concreta e tangibile, a causa di guerre, carestie, o semplicemente habitat selvaggi, che non siamo più abituati a frequentare, e che invece ci permetterebbero di “rimisurarci”, se ci stessimo a contatto, riconsiderando le nostre proporzioni. Per questo ci siamo illusi per decenni di essere al sicuro, di poter controllare tutto, di vivere in una sorta di enorme parco divertimenti, strutturato a nostra immagine e somiglianza, e soprattutto per il nostro bene e la nostra felicità. Oggi, la crisi climatica e geopolitica, così come la costante insorgenza di malattie come il cancro che ancora fatichiamo a curare e comprendere, hanno aperto una breccia sempre più ampia in questa illusione collettiva che ci faceva andare avanti e dava un senso alla parabola della nostra vita.
Basta fermarsi un attimo a pensare, però, facendo i conti con la nostra coscienza e raschiando il barile del coraggio e della sincerità, per capire come evidentemente la nostra vita, nonostante i tanti pregiudizi che coltiviamo per proteggerci, sia imperscrutabile e in balia degli eventi, il nostro presunto libero arbitrio fragile e volubile se non esercitato con costanza. Ciò ci pone davanti al baratro dell’assurdo, che però è necessario scrutare, proprio per evitare di farci guidare dall’ignoranza, intesa come falsa convinzione, quella che i latini chiamavano religio e in maniera ancora più precisa i filosofi asiatici chiamavano avidya, incapacità di vedere ciò che è per ciò che è. È necessario imparare a convivere con l’incertezza e con tutto ciò che ne deriva, solo così potremo imparare a non farci calpestare dall’ansia, rimanendo padroni di noi stessi, ovvero consapevoli della nostra finitezza e transitorietà.
Il sentimento che innesca il voler avere sempre ragione è molto simile a quello del fallimento e del suo rifiuto. Ma come per imparare a fare bene qualcosa devi averla provata a fare molte volte, e per forza di cose molte volte male, o anche malissimo; anche per avere ragione bisogna aver avuto torto molte, molte volte – e averlo riconosciuto e accettato. Per questo l’unico modo di aiutare a uscire chi ci sta vicino da un simile circolo vizioso è non accontentarlo, non abbandonare la discussione, non arrendersi a propria volta, trovando strategie di dialogo sempre più fini. Chi infatti non viene mai contraddetto finisce per sviluppare un sistema di pensiero estremamente povero e ridotto. Mentre chi ha dovuto lottare per difendere le proprie idee le avrà rafforzate sempre di più, proprio perché per primo le avrà messe al vaglio, scartate, modificate, perfezionate, e magari avrà anche cambiato diametralmente posizione, rafforzando però il sistema interno di verifica del valore di quegli oggetti astratti che gli popolano la mente. E questo farà la differenza a livello sociale tra il regredire e l’evolvere.
C’è una poesia di Umberto Fiori che come alcune grandi composizioni sa sintetizzare alla perfezione tutto questo, dimostrando quanto il linguaggio – che da vita a questi mostri – possa sì essere un bene, ma anche uno dei nostri malanni più tediosi, si intitola proprio “Aver ragione” e fa così: “Quando a furia di prove e di argomenti / e obiezioni e domande sei riuscito / a farti dare ragione / e l’altro, quello che ha torto, / lo vedi zitto lì davanti, / sgonfio, come morto, / questa scena di uno abbandonato / dalle parole / ti fa talmente patire / che pur di farlo ancora un po’ parlare, / pur di non essere più / lì da solo / vorresti dire che non importa, che la cosa non è / poi tanto chiara. / Proprio allora / ti accorgi che il discorso / ha lasciato anche te”.