Tutto ciò che non conosciamo dell’autismo ci fa pensare che sia una malattia, ma non è affatto così - THE VISION

Non tutti sanno che le persone “affette da autismo” non esistono. Esistono infatti le persone “con autismo”. Utilizzare l’espressione “affetto da autismo” è sbagliato e fuorviante perché presuppone che l’autismo sia una malattia: è più opportuno parlare di “disturbo” o “condizione”. Il linguaggio è molto importante, perché l’uso che ne facciamo contribuisce da un lato a creare e a modellare l’immaginario sociale, dall’altro a determinare la percezione che le persone hanno di sé e il modo in cui i parenti ne avvertono la presenza all’interno del proprio nucleo famigliare. Al contrario di quanto si pensi l’autismo non è una condizione rara. Si è iniziato a parlarne dopo la seconda guerra mondiale e se nel 1966 la stima nel mondo era di circa 4 casi ogni 10mila persone, oggi solo in Italia si parla di un rapporto di 1 a 77. Sulle cause del disturbo sono state fatte diverse ipotesi e numerose ricerche, ma nessuna, a oggi, è stata conclusiva.

Fino a qualche decennio fa la concezione dell’autismo era diversa da quella attuale: si riteneva infatti che insorgesse in età infantile, per lo più a causa di una stortura nella relazione con la madre, ritenuta non “sufficientemente buona”. Negli anni Novanta, con l’emanazione della Classificazione Internazionale delle Malattie, Incidenti e Cause di morte (ICD-10) dell’OMS, si è arrivati a un cambio di prospettiva importante, che afferma che il disturbo non deriva da qualche esperienza infantile ma nasce e muore con l’individuo. Si tratta infatti di una condizione che riguarda la conformazione neurobiologica e il funzionamento neurologico della persona, che risultano diversi da quelli delle persone a cosiddetto sviluppo tipico.

La differenza tra il funzionamento della mente autistica e della mente a sviluppo tipico non è una questione astratta: si può osservare con la scansione cerebrale delle cortecce visive, che appaiono diverse nella loro conformazione. Lo spiega bene la celebre zoologa statunitense e attivista per la difesa dei diritti delle persone con autismo Temple Grandin. Grandin paragona il funzionamento della sua mente a un motore di ricerca come Google Immagini; definisce il suo modo di pensare un “cinema nella testa”, perché, al contrario della maggior parte delle persone, pensa per lo più attraverso il canale visivo e non quello linguistico. Se qualcuno le chiedesse di immaginarsi un “campanile”, la sua mente scorrerebbe in successione tutti i campanili che ricorda di aver visto, nella realtà o sui libri, ma di sicuro non lo assocerebbe alla figura astratta di un campanile, simile a quella che la maggior parte di noi potrebbe immaginare. Oltre a quella del pensatore visivo esistono altri tipi di mente, orientate al canale orale, verbale, oppure astratte e schematiche, tipiche di chi ha una spiccata intelligenza musicale e matematica.

Temple Grandin

L’autismo, infatti, può essere associato ad altre patologie ma non è, di per sé, sinonimo di disabilità intellettiva, anche se i due elementi possono coesistere. Con il rilascio della versione aggiornata del Manuale statistico e diagnostico delle malattie Mentali (DSM-5) nel 2013, i disturbi generalizzati dello sviluppo, di cui l’autismo faceva parte, sono stati riuniti nei cosiddetti “disturbi dello spettro dell’autismo”, dove la parola “spettro” è usata per evidenziare un vasto continuum di caratteristiche, che va dalle forme più severe fino a quella che fino al 2013 appariva come “sindrome di Asperger” ed è poi stata eliminata come codice diagnostico, la forma più lieve dello spettro, un tipo di autismo ad alto funzionamento che sembra aver caratterizzato artisti celebri e menti brillanti di tutti i tempi. Nella serie Prison Break, il protagonista Michael Scofield possiede alcuni tratti tipici dell’autismo ad alto funzionamento: dotato di grande intelligenza e memoria fotografica è geniale nel mappare la prigione dalla quale vuole evadere creando soluzioni ingegnose e anticipando le mosse degli altri. Apparentemente freddo, è in realtà profondamente altruista e possiede un grande senso della giustizia. Ironia della sorte, o forse no, l’attore Wentworth Miller, anni dopo aver interpretato il personaggio, ha riferito di aver ricevuto una diagnosi di autismo alla soglia dei cinquant’anni.

Wentworth Miller

Le persone autistiche possono essere molto diverse tra loro – proprio come chiunque altro – ma sono accomunate da una serie di tratti che risultano più evidenti nei casi più gravi, ovvero quando è presente anche una compromissione intellettiva. Hanno infatti modalità diverse di percepire la realtà, di cui i genitori si accorgono in un periodo precoce dello sviluppo, solitamente nell’infanzia, quando le richieste sociali diventano più elevate e il bambino non riesce più a gestirle. Per configurare un disturbo dello spettro autistico e arrivare a una diagnosi è necessario che siano fortemente intaccate due aree: la prima riguarda il deficit di comunicazione e interazione sociale, la seconda i comportamenti ripetitivi e gli interessi ristretti.

Il fallimento della pragmatica comunicativa è tipico di chi ha il disturbo, in quanto non possiede una teoria della mente; è grazie a essa, infatti, che riusciamo a comprendere la valenza della comunicazione e siamo in grado di attribuire agli altri degli stati mentali. L’approccio sociale caratteristico di chi vive con autismo è quindi anomalo perché non riesce a interpretare il comportamento altrui: indipendentemente dal suo QI, non comprende il linguaggio metaforico, può non salutare, non tendere la mano o avviare l’interazione sociale, non fornire feedback nella comunicazione (gesti delle mani e del capo). Anche le funzioni esecutive – come la memoria di lavoro, l’attenzione focalizzata e la flessibilità – per chi ha un disturbo dello spettro autistico sono deficitarie.

Se gli individui a sviluppo tipico comprendono perfettamente l’importanza di adattarsi alle situazioni ed essere flessibili, infatti, la rigidità di pensiero tipica dell’autismo rende difficile assimilare questo aspetto, in favore di una predilezione per la routine e l’abitudine a fare sempre le stesse attività nello stesso modo. La capacità di focalizzare l’attenzione su alcuni elementi è poi particolarmente spiccata: la mente autistica tende a fissarsi su precisi interessi, è una mente specialistica, estremamente brillante in qualcosa e molto carente in qualcos’altro. È capace di categorizzare agevolmente le informazioni, individuando velocemente quelle più specifiche. Si occupa dei dettagli e non afferra immediatamente la realtà nella sua globalità; le persone a sviluppo tipico, invece, arrivano prima a una comprensione globale e solo successivamente all’analisi, perché vedono la realtà nel suo insieme e nella sua complessità. Per le persone autistiche la realtà è simile ai pezzi di un puzzle sparpagliati dentro alla scatola. Ad esempio, quando entrano in una stanza nuova devono compiere un’operazione di ricostruzione enorme; anche per questo motivo temono il cambiamento e preferiscono la routine: ogni modifica vuol dire dover ricominciare da capo e sottoporsi a ulteriore stress, in risposta al quale reagiscono mettendo in atto i comportamenti e movimenti ripetitivi tipici del disturbo.

Questi tratti sono descritti bene nelle serie televisive Atypical e The Good Doctor, che hanno per protagonisti due ragazzi con la sindrome di Asperger. Nella prima il protagonista diciottenne Sam, per reagire a situazioni di stress, strofina una matita contro un elastico, un comportamento autostimolatorio che lo aiuta a sciogliere una tensione, oppure utilizza un paio di cuffiette per gli ambienti particolarmente frequentati e rumorosi. Ha interessi specifici e circoscritti: è appassionato dei pinguini dell’Antartide, di cui sa ogni cosa, e manifesta difficoltà nelle abilità sociali. Gli risulta difficile comprendere il modo di agire degli altri perché si sofferma sui significati letterali del linguaggio, senza riuscire a cogliere quelli sottostanti e impliciti. In The Good Doctor, invece, il giovane chirurgo specializzando Shaun Murphy salva vite umane grazie a idee brillanti frutto del suo pensiero divergente e di un’incredibile memoria fotografica. Anche lui ha diverse fissazioni come l’ordine con cui vanno disposti i barattoli in cucina e importanti difficoltà negli scambi comunicativi, nella comprensione del linguaggio metaforico e nelle relazioni sociali. Gradualmente lavora sui propri punti deboli, si innamora, stringe amicizie, fa della propria diversità un punto di forza e diventa un riferimento per i colleghi, prova quello che provano tutti e ha gli stessi desideri degli altri: essere felice e svolgere con passione e competenza il lavoro a cui è chiamato, senza rinunciare alle proprie caratteristiche e particolarità.

Atypical
The Good Doctor

Ma l’aspetto più caratteristico dell’autismo è probabilmente la sensibilità e la reattività agli stimoli: la sensorialità rappresenta la nostra prima porta di accesso sul mondo e le difficoltà maggiori derivano dal non riuscire a tollerare il fastidio che deriva da un sovraccarico di stimoli. Chi lo vive spesso non riesce a pensare ad altro, perché il fastidio è enorme e la stimolazione del mondo risulta devastante. Si può provare a intuire cosa prova una persona autistica guardando uno dei tanti video che ne simulano il vissuto in presenza di un sovraccarico di stimoli ambientali: si tratta dei momenti che precedono il cosiddetto melt-down, il crollo che si verifica attraverso una risposta fisiologica e involontaria del corpo, quando gli stimoli disturbanti sono superiori alla soglia di sopportazione. Tutto questo crea grande sofferenza in chi vive con una forma medio-grave di autismo e nei suoi familiari.

Negli Stati Uniti esiste una consapevolezza diffusa, probabilmente dovuta in parte all’aumento di casi diagnosticati, e oltre al lavoro dei professionisti, molti genitori fanno informazione condividendo la propria esperienza attraverso la rete, con video amatoriali in cui mostrano le sfide che affrontano quotidianamente insieme ai loro figli e spiegano come comportarsi nelle situazioni più critiche. Queste persone sono il motore di un circolo virtuoso che supera la vergogna e si mette al servizio degli altri, aiutando chi, magari, ha appena ricevuto una diagnosi per suo figlio e non sa come aiutarlo. È infatti molto importante riuscire a ottenere una diagnosi precoce in modo da agire di conseguenza e rendere la vita dei bambini con autismo il più semplice possibile. 

Per entrare in relazione con chi ha un disturbo dello spettro autistico bisogna infatti conoscere il disturbo nelle sue molteplici sfaccettature. Spesso il dramma di chi vive questa condizione è la solitudine di sentirsi mai compresi, una solitudine condivisa dalla famiglia, in Italia spesso lasciata sola e senza alcun tipo di supporto da parte delle istituzioni. I familiari sono coloro che, di fatto, devono farsi carico a livello emotivo, economico, e sociale di tutto ciò che riguarda la persona con il disturbo. Ne ha parlato più volte il giornalista Gianluca Nicoletti, che ha condiviso pubblicamente la storia di suo figlio Tommy. Anche l’impresa sociale I Bambini delle Fate si occupa di assicurare sostegno economico a progetti di inclusione sociale a beneficio delle famiglie con autismo, raccontando il potenziale di bambini e ragazzi e la forza dei loro parenti. Protagonisti dei progetti sono ragazzi autistici e non, che si arricchiscono a vicenda e da cui nascono collaborazioni e amicizie profonde.

Le caratteristiche dell’autismo insieme alle potenzialità del singolo dovrebbero essere viste come opportunità di arricchimento, crescita educativa e personale prima che come limiti. Su un punto di sicuro si dovrebbe concordare: le persone autistiche non sono infatti come gli altri. Non è una questione di accettazione ma di rispetto delle loro specifiche caratteristiche. Se si assume questo punto di vista, gli interessi circoscritti possono rivelarsi un terreno fertile, a partire dalla scuola. La diagnosi è il primo passo, ma l’evoluzione del disturbo dipende soprattutto dal contesto e dalle situazioni che la persona incontrerà. La conoscenza, a partire dall’uso appropriato del linguaggio, è ciò che permette di entrare in una relazione autentica con la diversità.

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