Il 6 gennaio doveva essere il giorno della ratifica da parte del Congresso della vittoria di Joe Biden alle ultime elezioni presidenziali statunitensi. La seduta al Campidoglio di Washington è stata però interrotta dall’irruzione di centinaia di sostenitori di Donald Trump, che appare come una delle più grandi minacce alla democrazia occidentale. L’immagine di facinorosi che prima mettono a ferro e fuoco Capitol Hill e poi, di soppiatto ma non troppo, scattano selfie con la polizia, inoltre è particolarmente inquietante. Però, queste “proteste pro Trump”, come le hanno chiamate in molti, si avvicinano pericolosamente ai contorni di un tentativo di colpo di Stato.
La fauna trumpiana è riuscita a raggiungere l’aula della seduta, con i senatori costretti alla fuga secondo i protocolli. Stando ai dati rispetto al comportamento delle forze dell’ordine nei confronti della popolazione Nera, è facile pensare che se al posto di un manipolo di incel stempiati con bomber ci fossero stati degli afroamericani avremmo assistito a una reazione probabilmente diversa. Per le manifestazioni del movimento Black Lives Matter degli scorsi mesi, Trump aveva chiesto l’invio di 10mila soldati (poi negato dal Pentagono) per sedare le proteste in seguito alla morte di George Floyd. Lo spiegamento delle forze dell’ordine era stato comunque ingente, con un’allerta massima in tutte le principali città e il presidente occupato a minacciare la popolazione in piazza e a vantarsi della sicurezza del suo Paese. Rispetto ai fatti di ieri, invece, si potrebbe restare stupiti proprio dal fatto che degli eversivi siano riusciti a entrare nel più importante luogo della politica americana dopo la Casa Bianca e che le misure, per quanto estremamente rigide, siano state prese con un grande ritardo.
Sono passati più di due mesi dalle elezioni di novembre, e Trump non si è ancora rassegnato all’esito dei risultati. Accecato dall’ira – e probabilmente dal timore di perdere quell’immunità presidenziale che per quattro anni l’ha tenuto lontano da diversi processi a suo carico – ha cercato in tutti i modi di esasperare i sentimenti dei cittadini che lo appoggiano, sostenendo sistematicamente che ci fossero stati dei presunti brogli elettorali da parte dei democratici. Ha chiesto riconteggi e interventi giudiziari appellandosi a qualsiasi stratagemma per restare aggrappato alla sua poltrona, ma non gli è andata bene: la Corte Suprema ha infatti respinto il ricorso del Texas e di altri 18 Stati nel quale si paventava la frode dei voti postali. Senza alcuno straccio di prova e sorretto esclusivamente dalla propria mitomania, Trump ha continuato a inasprire i toni del dibattito pubblico fino all’apice del comizio di ieri, tenuto a pochi passi dalla Casa Bianca. La cosa più disarmante è che le persone lo hanno seguito in quelli che suonano come veri e propri deliri.
Davanti alla sua folla Trump ieri ha ribadito: “Non riconosco la vittoria, Biden è un presidente illegittimo. Fermeremo il furto dei voti. Non concederemo la vittoria, non ci arrenderemo mai”. E se non saper perdere è da vili, aizzare un popolo rischiando una guerra civile è da criminali. Da quel momento, infatti, i manifestanti hanno preso d’assalto il Parlamento partendo dalla scalinata, per poi scavalcare le mura e dare vita a un vero e proprio assalto ai palazzi della democrazia. La polizia di Washington ha cercato di tenere a bada i manifestanti con il numero limitato di uomini che aveva a disposizione, mentre la Guardia Nazionale è intervenuta in ritardo. La città di Washington rientra infatti sotto la giurisdizione del Distretto di Columbia, e un eventuale intervento della Guardia Nazionale va deciso dal governo federale e Trump per ovvie ragioni non lo ha fatto. La situazione si è sbloccata solo quando lo Stato della Virginia ha inviato una parte dei suoi riservisti della Guardia Nazionale. Negli scontri successivi, secondo i dati diffusi dalla polizia di Washington, hanno perso la vita 4 persone, molte altre sono state ferite (anche in modo grave) e 52 sono state arrestate. Biden ha chiesto dunque a Trump di invitare i suoi sostenitori a placare la loro furia e quest’ultimo a quel punto ha chiesto loro di tornare a casa, pur ribadendo ancora di essere stato derubato alle elezioni. Anche dopo il tentativo di rovesciare il voto popolare impedendo l’insediamento del nuovo presidente, Trump ha dimostrato di non avere alcun rispetto per la democrazia e di essere un soggetto politicamente e socialmente pericoloso.
È anche normale nutrire dei dubbi di fronte ai fatti di ieri: o la più forte potenza militare del Paese è in realtà vulnerabile, o abbiamo assistito a un atto di connivenza. In un video condiviso sui social diventato virale si vede infatti un agente prestarsi a un selfie con uno degli assalitori, senza alcun tentativo di fermarlo, mentre in un altro, pubblicato su Tik Tok da un utente presente sul luogo, si vede come la polizia sembri rimuovere le transenne per permettere ai sostenitori di Trump di accedere agli scalini che conducono all’edificio. Secondo un rapporto del Brennan Center for Justice, ci sarebbe inoltre una grande presenza di poliziotti affiliati al Ku Klux Klan e a gruppi neonazisti nelle forze dell’ordine americane. A questo, va aggiunto che spesso i colpevoli delle morti degli afroamericani restano impuniti: martedì, è stato annunciato che Rusten Sheskey, agente che lo scorso 23 agosto aveva ferito con sette colpi di pistola il 29enne Jacob Blake, non subirà alcun processo.
Dopo anni di incitamento all’odio e alla violenza è ormai chiaro che siamo arrivati all’inevitabile esplosione. Durante le proteste di Black Lives Matter Trump chiedeva dieci anni di prigione per i manifestanti più accesi, mentre oggi rimanda a casa i violenti con la sua benedizione, quasi come una dimostrazione di forza e del suo potere. Forse allora non si dovrebbero più tollerare gli intolleranti, dato che fenomeni del genere sono i sintomi di un chiaro sentimento politico che peraltro si ramifica in tutto il mondo. La destra nazionalista, xenofoba e razzista ha ormai preso piede ovunque. Ricordiamo tutti le apparizioni di Matteo Salvini con la mascherina del tycoon, così grottesche da aver portato l’Independent a definirlo come “la cheerleader di Trump”. Lo stesso vale per i sovranisti europei che da anni avvelenano l’opinione pubblica con un concetto di democrazia a dir poco sui generis, sconfessandone attraverso una narrazione distorta le istanze basilari. E così le persone si convincono di “governi non eletti da nessuno”, “maggioranze abusive” e persino di “dittatura”, accusando e guardando con preoccupazione dalla parte sbagliata. Come insegnano i fatti di Washington, a furia di incattivire la popolazione si arriva alla saturazione e all’attacco alla democrazia, che sembra proprio essere ciò che queste forze desiderano.
Si potrebbe dire che gli Stati Uniti abbiano “esportato” così tanta democrazia da esserne rimasti scoperti, ma in realtà, al netto dei difetti storici e delle prepotenze della nazione, siamo di fronte a una situazione anomala, che ha trovato la sua incarnazione nella figura di Trump. Se avesse accettato i risultati delle urne e avesse mantenuto un comportamento civile, di certo non avremmo assistito ai disastri di ieri. Inoltre, Trump si è dimostrato irresponsabile fino all’ultimo, considerando che non è stato lui a chiamare la Guardia Nazionale, ma il vicepresidente Mike Pence, il repubblicano che ha comunicato di non poter ribaltare il risultato delle elezioni, causando l’ennesimo moto di rabbia dell’ex presidente. A Pence è stato poi chiesto, con una lettera firmata da 18 parlamentari, di applicare il 25esimo emendamento e rimuovere il presidente uscente dalla Casa Bianca, assumendo il controllo ad interim fino all’insediamento di Biden. Il tutto è avvenuto nel giorno in cui i repubblicani hanno perso anche il Senato, grazie ai due seggi vinti in Georgia dal reverendo Raphael Warnock e da Jon Ossoff. Trump, in questo modo, sta finendo col perdere pure l’appoggio dei repubblicani, che hanno votato insieme ai democratici contro il suo veto per la spesa di 750 miliardi per la difesa ed è stato sfiduciato anche da dieci ex capi del Pentagono – due di questi addirittura nominati da lui stesso – che gli hanno ricordato che “Le elezioni si sono tenute, sono stati effettuati controlli e riconteggi e che sono stati esaminati appropriati ricorsi legali dai tribunali. Bisogna rispettare la Costituzione e lo Statuto”. Nel frattempo, il Congresso ha certificato la vittoria del neo eletto presidente democratico e della sua vice Kamala Harris.
Sembrerebbe l’epilogo di un leader ormai abbandonato a se stesso, ma l’assedio di Washington dimostra il suo ascendente su una grande fetta della popolazione americana. La verità è che Trump è disposto a sacrificare la tenuta sociale degli Stati Uniti in nome di una battaglia privata, sconclusionata, che non porterà a nulla se non a ulteriori tensioni. Certo, sarebbe il primo colpo di Stato in cui il popolo si ribella per aiutare un multimiliardario a non finire in galera. È proprio questo a stridere: i manifestanti che assaltando il Congresso urlano “Fight for Trump” stanno rischiando la vita e la fedina penale per il capitalista per eccellenza che antepone i suoi interessi a quelli dell’intera umanità; stanno combattendo per il presidente che ha gestito indegnamente l’epidemia di Covid-19 con un enorme numero di morti che si potevano evitare, che ha fomentato le violenze contro le proteste degli afroamericani e che ha avallato, in più occasioni, le teorie cospirazioniste di QAnon, di cui molti degli assalitori presenti facevano parte, come la prima vittima. Viene da chiedersi da dove nascano questa confusione e questo odio che si mescolano, Da chi sono stati nutriti e coltivati. E la stessa domanda si può fare riguardo ai sostenitori dei sovranisti nostrani, quelli che si augurano un naufragio per i migranti, che minacciano gli avversari politici e che si sono riscoperti – o lo sono sempre stati – intolleranti, come se l’intolleranza fosse una virtù necessaria al presente.
L’intolleranza oggi si diffonde e si rafforza in particolare sui social e su Internet, che contribuiscono a estremizzare determinate tendenze. Con i fatti di ieri si è avuta qualche reazione in tal senso: Twitter ha bloccato l’account di Trump per 12 ore, e Facebook e Youtube hanno eliminato il suo ultimo video, dove continuava a parlare di brogli. Questi gesti sono utili, ma non risolutivi e comunque in ritardo sulla realtà: se un megalomane ha portato la gente ad attaccare il Parlamento, significa che il mondo democratico ha bisogno di una profonda riflessione sulle sue dinamiche, per cominciare a riconoscere, a prescindere dalle ideologie, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. È la Storia a insegnarcelo: dalla marcia su Roma a quella su Washington il filo conduttore è la tendenza della popolazione, in determinati momenti storici, a seguire i leader prepotenti, perché il sentimento che più di tutti smuove le coscienze finisce per essere l’odio.