In occasione della Giornata nazionale della psicologia del 10 ottobre, Giuseppe Conte ha detto al Consiglio nazionale degli Ordini degli psicologi: “La centralità del tema del diritto alla salute non può prescindere dalla consapevolezza dell’importanza della salute psicologica, soprattutto nella prevenzione del disagio di tutti coloro chiamati a un così grande sacrificio”. Il benessere mentale dei cittadini nell’ambito dell’emergenza sanitaria che stiamo attraversando, quindi, è un tema che si sta finalmente facendo strada – con estremo ritardo – anche a livello politico, dove, però, la strategia comunicativa non ha aiutato, anzi. Le modalità che il governo ha usato per comunicare con i cittadini – dall’incontrollata circolazione delle bozze dei decreti alle continue conferenze stampa, sempre in ritardo rispetto agli orari annunciati, alla martellante colpevolizzazione dei cittadini, su cui è stata scaricata la responsabilità dei contagi – hanno forse persino aggravato l’ansia e l’incertezza delle persone e, quindi, in definitiva il loro disagio emotivo. Come sempre, poi, le parole e le intenzioni non si traducono automaticamente in azioni concrete e infatti, come denuncia l’Ordine degli Psicologi stesso, fino a oggi è stato fatto troppo poco. Così, dopo sette mesi di pandemia, il disagio psicologico, non supportato dal Servizio Sanitario Nazionale – che in questo ambito è quantomeno carente – è diventato un problema sociale e di salute pubblica urgente, per il quale bisogna subito mettere in campo le risorse necessarie e un piano d’azione concreta.
Dopo che durante il primo lockdown l’unica misura presa è stata l’attivazione di una linea telefonica di sostegno psicologico, il mese scorso la conversione in legge del Decreto Agosto ha rimarcato il valore della professione psicologica nella riorganizzazione della rete assistenziale territoriale, prevedendo l’adozione di linee di indirizzo per garantire il benessere psicologico individuale e collettivo nel contesto della pandemia. Peccato che, almeno fino ad ora, non siano state messe a sistema le risorse psicologiche nelle Aziende sanitarie, che non hanno quindi la possibilità di coordinare le professionalità psicologiche, per ottimizzare il rapporto tra operatori e bisogni nei diversi contesti e servizi. Eppure il ministero ha sottolineato la necessità di fornire assistenza psicologica, in primo luogo agli operatori sanitari, ma anche agli studenti, bambini e ragazzi che magari sembrano reagire bene alla situazione, ma che possono covare un disagio profondo; e ha previsto quindi l’attivazione del servizio psicologico in tutte le oltre 8.200 direzioni scolastiche del Paese fino alla fine dell’anno scolastico, redigendo anche un protocollo dedicato. Solo che i 40 milioni di euro stanziati permettono solo 15 ore di servizio al mese per ogni direzione scolastica. Per il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi si tratta solo un primo passo, che va assolutamente potenziato, anche perché la situazione attuale non lascia prevedere un ritorno alla normalità nell’immediato.
La seconda ondata epidemica e il secondo lockdown si stanno facendo sentire: “L’indice [di stress] è risalito con il riacutizzarsi della pandemia e ha raggiunto gli stessi livelli del marzo 2020” spiega il presidente nazionale dell’Ordine degli psicologi, David Lazzari, che avverte che il rischio ormai è che l’ansia si trasformi in dolore psicologico, una condizione più seria con ricadute importanti sulla salute nel suo complesso e sui diversi aspetti della vita delle persone, dal lavoro ai rapporti sociali, alle relazione familiari. Per evitarlo, l’Ordine degli psicologi chiede al governo di istituire urgentemente un voucher per permettere ai cittadini – a partire dagli operatori sanitari, da chi è malato di Covid-19 e dai redditi più bassi – di godere di prestazioni psicologiche anche in studi privati, misura necessaria perché in questo campo il settore pubblico è insufficiente.
Già in condizioni normali, infatti, l’accesso al supporto psicologico non è affatto garantito: come se non bastasse la sopravvivenza dello stigma nei confronti di chi si rivolge allo psicologo, ci sono i costi a carico del cittadino, dato che l’assistenza fornita dal Sistema Sanitario copre appena il 25% dei bisogni previsti dai Livelli Essenziali di Assistenza, ovvero tutti quei servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a fornire gratuitamente o quasi, dietro pagamento del ticket: insufficiente, cioè, a rispondere alle necessità della cittadinanza, che è costretta, quando può permetterselo, a rivolgersi a professionisti privati, con costi che partono da un minimo di 35 euro a seduta, ma che facilmente arrivano a 80. Le modalità d’accesso allo sportello psicologico pubblico, come sempre, variano poi da regione a regione e in alcuni casi viene accolto solo chi soffre di disturbi psichiatrici. Considerando che solitamente non bastano due o tre sedute, ma sono necessari cicli anche di mesi o anni, anche se detraibile la spesa non è comunque alla portata di tutti. Questa situazione contribuisce allo stereotipo assurdo dell’immagine come un capriccio da borghesi da commedia, che hanno il tempo per occuparsi della propria psiche. Come se questa non dovesse essere la priorità per tutti e come se non fosse un cosa essenziale.
Proprio per rispondere alle difficoltà di medici e infermieri, che il peso della pandemia lo subiscono doppio (da privati cittadini e sul lavoro), denuncia l’Ordine, è urgente innanzitutto mettere in campo risorse per assumere psicologi professionisti in loro supporto, oltre che in ambito pubblico e in interventi di emergenza, come peraltro previsto sulla carta dal Decreto n.14 del 9 marzo. Nella primavera scorsa molti psicologi hanno prestato servizio come volontari: scelta lodevole ma insostenibile sul lungo periodo, di cui non è corretto abusare, e che inoltre non può che essere complementare a una rete pubblica capillare di assistenza psicologica. Secondo David Lazzari “I provvedimenti […] non bastano e comunque Regioni e Usl li hanno ampiamente ignorati. Quanti psicologi sono stati arruolati per rispondere a questa emergenza che dura ormai da sette mesi? Ora sta tornando in pieno la pandemia e siamo al punto di prima. Vogliamo aspettare che la situazione si aggravi, che si moltiplichino le tragedie?”.
Il disagio psichico non è causato solo dalla paura del contagio: a pesare sono anche l’incertezza economica, i lutti non elaborati e il prolungato isolamento che ci ha così disabituati alla socialità che alla fine del primo lockdown il 62% degli italiani aveva paura a tornare alla normalità. I rapporti interpersonali sono già cambiati e quando potremo tornare a incontrarci dovremo affrontare i problemi di fiducia nell’altro, che si riversano anche sulla capacità di instaurare nuovi rapporti amorosi e di amicizia. Il governo belga, per esempio, prova a evitare che i suoi cittadini perdano completamente le capacità sociali concedendo a tutti uno – o due per chi vive solo – knuffelcontact (“compagno di coccole”) da incontrare a casa per alleviare la solitudine e la routine, in modo simile alla support bubble (“bolla di sostegno”) introdotta in Regno Unito. Misure come queste non sono certo sufficienti a risolvere in toto il problema, ma dimostrano un’attenzione dei governi per il benessere psicologico ed emotivo dei cittadini, che da noi è rimasta solo sulla carta. Va tradotta in azione concreta al più presto, ora che, dopo una breve tregua estiva (le cui conseguenze, peraltro, stiamo pagando), tornati in isolamento, il 40% dei cittadini – secondo le ultime rilevazioni fatte a metà settembre – presenta gli stessi livelli di stress di marzo: livelli definiti elevati (con un indice tra 80 e 100 su un massimo di 100) popolazione.
La strategia del contenimento dell’epidemia da Covid-19 basata su isolamento e quarantena – l’unico strumento che si sia fin qui rivelato davvero efficace, fino a quando non sarà disponibile e diffuso il vaccino – ha un impatto rilevante su alcuni bisogni fondamentali delle persone come l’autonomia decisionale, la libertà di movimento, il senso di sicurezza fisica e il contatto con i cari. Le conseguenze in parte le viviamo già ogni giorno, ma soprattutto le vedremo sul lungo periodo. E, poiché nel campo della salute mentale si fa poco ricorso agli strumenti del Public Health Impact Assessment – una combinazione di procedure e strumenti di rilevazione per valutare l’impatto positivo di interventi e programmi sulla salute della popolazione – le conoscenze attuali sono ancora troppo scarse per farci prevedere come tutto questo evolverà nei prossimi anni. Un monitoraggio – fondamentale per valutare la frequenza, la presenza e l’intensità di ansia, depressione, atti autolesivi, pensieri suicidi e altre condizioni – fornirebbe inoltre la base per valutare le azioni da intraprendere nell’immediato, quelle che a questo punto non sono più procrastinabili.
I danni sono già stati fatti e c’è da chiedersi quanti se ne faranno ancora se non si attua immediatamente un programma concreto per la salute mentale dei cittadini. Si spera che, almeno, la pandemia abbia imposto all’attenzione della politica l’importanza del benessere psico-emotivo e che questa nuova sensibilità sproni finalmente a rivedere la disponibilità e l’accesso al supporto psicologico all’interno del Sistema Sanitario Nazionale, un bisogno che, in tempi di pandemia, è più urgente che mai e che dobbiamo affrontare prima di aggiungervi anche le conseguenze di un Natale in solitudine e di un mesto brindisi all’anno nuovo, sperando che segni davvero un nuovo inizio.