Nel libro 1984, “L’ignoranza è forza” è uno dei tre slogan del Socing, il socialismo inglese che costituisce l’ideologia dominante di uno dei tre Paesi del mondo distopico costruito da George Orwell. Insieme ad altre due affermazioni ossimoriche – “la pace è guerra” e “la libertà è schiavitù” – lo slogan è inciso sulla facciata del Ministero della Verità, che fa della mancanza di conoscenza delle masse il proprio punto di forza. Più le masse ignorano ciò che accade, come e perché accade, più queste rinunciano all’umano bisogno di conoscenza e diventano manipolabili dai poteri forti. Oggi, “L’ignoranza è forza” sembra diventare uno dei capisaldi su cui si fonda il nostro Paese: se da una parte vengono investite sempre meno risorse nell’istruzione, dall’altra assistiamo al proliferare della disinformazione, che attecchisce maggiormente in chi, privo di conoscenza e della capacità critica che ne deriva, finisce per abboccare a qualsiasi “verità assoluta” gli venga propinata da tutti quei media che diffondono notizie e informazioni inesatte.
In Italia, nel 2021, abbiamo assistito a una battuta d’arresto sia per quanto riguarda il numero dei diplomati sia quello di chi ha conseguito un titolo terziario. Inoltre, il livello di persone che nel nostro Paese raggiunge un grado di istruzione superiore al diploma di terza media continua a essere più basso rispetto alla media europea. Le prove INVALSI che si sono svolte recentemente, poi, hanno dimostrato che, nonostante il crollo delle competenze del 2021 si sia arrestato, uno studente su due porta a termine il percorso scolastico senza le abilità di base; a essere penalizzati sono soprattutto gli studenti del sud e chi proviene da aree socio-economicamente svantaggiate. A questo scenario drammatico, si somma la riduzione delle risorse investite nell’istruzione, il cui ammontare si attesta da tempo su una media inferiore a quella europea; riduzione che non si arresta dal 2008 e che – complici gli effetti della pandemia e della guerra sull’economia – sta subendo un nuovo contraccolpo con i tagli previsti dal Governo Draghi. La perdita del ruolo di primo piano un tempo affidato all’istruzione e alla formazione dell’individuo, con la conseguente proliferazione dell’ignoranza, nel nostro Paese è una realtà con cui dobbiamo fare i conti.
Esiste una scienza che spiega le ragioni dell’aumento e della diffusione endemica dell’ignoranza: l’agnotologia. La parola ha un’etimologia greca (agnosis, mancanza di conoscenza), ed è stata coniata nel 1995 da Robert Proctor, biologo e docente di Storia della Scienza all’Università di Stanford. Diversamente dalla gnoseologia e dall’epistemologia, che indagano come funziona l’acquisizione della conoscenza, l’agnotologia è la scienza che studia i processi sociali e i fenomeni culturali che ci conducono alla perdita del sapere. L’agnotologia è stata indagata nel libro Agnotology: The Making and Unmaking of Ignorance, che Proctor ha scritto e pubblicato nel 2008 insieme a Londa Schiebinger, anche lei docente di Storia della Scienza.
Alla fine del Novecento, Proctor ha studiato il fenomeno arrivando a teorizzare l’esistenza di un’ignoranza “costruita ad arte”, al fine di orientare l’opinione delle masse senza che queste possano fare affidamento al proprio spirito critico – proprio come accadeva nel romanzo di Orwell. Secondo Proctor esisterebbero tre tipi di ignoranza: allo stato nativo, di scelta selettiva e indotta. Se il primo tipo è dovuto a semplice incompletezza di conoscenza, il secondo tipo si verifica quando scegliamo, per mancanza di interesse o di tempo, di non informarci su un certo argomento o di non approfondirlo. Ma è il terzo tipo, l’ignoranza indotta, a costituire l’oggetto dell’agnotologia: una vera e propria fabbricazione del dubbio al fine di seminare paura e diffidenza verso il sapere scientifico.
Proctor, secondo il quale staremmo vivendo “nell’età dell’oro dell’ignoranza”, afferma che la parola agnotologia è stata coniata per “designare la scienza dell’ignoranza, la storia dell’ignoranza, la politica dell’ignoranza e specialmente i sistemi di produzione dell’ignoranza. I filosofi si sono sempre occupati della conoscenza […], ma quello che abbiamo trascurato a lungo è l’ignoranza, una realtà che ha una sua storia e una sua geografia. Noi siamo circondati dall’ignoranza, che viene deliberatamente prodotta da potenti forze per lasciarci nel buio”. Tra i casi di ignoranza prefabbricata, lo studioso statunitense cita le fake news e le inserzioni pubblicitarie che diffondono informazioni inesatte, manipolate o fuorvianti per soddisfare le esigenze del mercato.
Gli studi del docente della Stanford University si sono concentrati su campagne come quella realizzata nella seconda metà del Novecento dall’industria del tabacco, finalizzata a generare dubbi sugli effetti nocivi del fumo sulla salute e incrementare così l’acquisto di sigarette. “La mia ricerca,” dice Proctor, “si concentra soprattutto sulla vasta influenza che hanno avuto i gruppi economici organizzati, come big tobacco, produttori di sigarette, o big oil, industria del petrolio, o ancora come big soda, le grandi imprese che vendono bibite con dannosi quantitativi di zucchero. Questi soggetti diffondono informazioni fuorvianti nella società: fanno credere che il fumo non provochi il cancro, che la produzione di idrocarburi non sia poi così inquinante e che le bibite zuccherate non siano una delle cause dell’obesità”.
Lobby e industrie capaci di orientare l’opinione pubblica diffondendo dati falsificati sarebbero i principali fautori dell’ignoranza indotta. Ma nell’ambito dei suoi studi sull’agnotologia, Proctor ha fatto riferimento anche a un certo tipo di propaganda politica, che mistifica la realtà e manipola i dati per ottenere consensi. In particolare ha citato la campagna per le presidenziali americane del 2016, con Trump che “ha condotto attacchi diretti, personali contro gli avversari repubblicani e contro Hilary Clinton”, facendo uso su larga scala dello strumento delle fake news e servendosi anche del meccanismo dell’omissione (“Trump non ha mostrato la sua dichiarazione dei redditi e quindi non sappiamo quali siano le sue relazioni d’affari”).
A proposito del legame tra politica e fake news, viene subito in mente la lunga schiera di leader nostrani le cui dichiarazioni fallaci – diffuse con particolare frequenza durante la pandemia – vengono sempre più spesso smascherate. Il web, infatti, in alcuni casi diventa servo dell’agnotologia: è qui che, per esempio, i fautori della teoria del complotto instillano il terrore in chi prova a orientarsi nel caotico serbatoio dell’informazione, e della tanta disinformazione. La velocità di circolazione delle notizie sui social media diventa terreno fertile per negazionisti e complottisti che con la loro propaganda seminano panico, diffidenza e disinformazione tra coloro che mancano di un bagaglio di conoscenze solido e di strumenti per riconoscere e selezionare le fonti autorevoli.
Per arginare il dilagare della cattiva informazione, bisogna prendere coscienza che l’ignoranza indotta è una realtà da cui metterci in salvo tempestivamente, affidandoci a fonti attendibili, facendo sempre riferimenti a dati certi e mai approssimativi e imparando a discernere la verità dalla menzogna. Per farlo è necessario investire energie, tempo e soprattutto maggiori risorse nell’istruzione e nello sviluppo del pensiero critico, perché crearsi un bagaglio di conoscenze è un requisito essenziale per destreggiarsi nella moltitudine di stimoli e informazioni che riceviamo ogni giorno.
Ad attenuare gli effetti dell’ignoranza indotta, dice Proctor, devono essere anche i media, dando risalto a fatti comprovati da studi scientifici e a dati certi piuttosto che all’opinione del singolo, utile ad accendere il dibattito sul web ma capace di generare dubbi e disinformazione in lettori e utenti. Ciascuno deve poi praticare un costante lavoro di vaglio critico delle notizie perché, essendo costantemente sommersi da input e informazioni contrastanti, se assorbissimo ogni cosa senza applicare un filtro ci ritroveremmo in balia della disinformazione e dell’ignoranza indotta. Per questa ragione, quando ci si trova davanti a una notizia bisognerebbe applicare le tre regole citate da Proctor per stabilirne la credibilità: chiedersi quale sia la fonte, capire quale sia la reputazione di questa fonte e infine domandarsi se c’è qualcuno che può trarre vantaggio dalla diffusione della notizia. Se riuscissimo a seguire queste accortezze, investendo del tempo nel selezionare ciò a cui dare credito piuttosto che accumulare informazioni senza sosta, forse riusciremmo a non farci sopraffare da esse.